Lo smaltimento di rifiuti: un’analisi giurisprudenziale del reato di attività di gestione di rifiuti non autorizzata
di Emanuele Nagni Scarica in PDFA partire dal 2005, l’Unione Europea ha dato avvio ad un complesso iter di riforma che ha condotto all’emissione della Direttiva 2008/98/CE e del Regolamento 2014/955/UE, rinnovando l’intero sistema della gestione dei rifiuti, soprattutto in relazione alle attività di prevenzione, recupero e riciclo.
Nell’ordinamento nazionale, in materia di smaltimento di rifiuti, le fonti comunitarie sono state recepite con il D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, poi modificato dal D. Lgs. 3 dicembre 2010, n. 205, consentendo la fissazione dei principali obiettivi da raggiungere nel rispetto della scadenza fissata dalla direttiva comunitaria, nell’ambito del Programma Nazionale di Prevenzione dei Rifiuti, adottato dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare con decreto direttoriale del 7 ottobre 2013.
Ciò premesso, partendo dalle finalità di produzione sostenibile, contenimento e riduzione dei disastri ambientali, oltre che di conservazione degli equilibri ecologici e ragionevole impiego delle risorse naturali, con il D. Lgs. n. 152/2006 – meglio noto come Testo Unico dell’Ambiente – è stata introdotta l’ipotesi di reato contravvenzionale di attività di gestione di rifiuti senza autorizzazione con la previsione di cui all’art. 256.
Invero, la fattispecie incrimina chiunque realizzi condotte, fra loro alternative e non cumulative, di raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio e intermediazione di rifiuti, in mancanza di una prescritta autorizzazione, iscrizione o comunicazione. A tal proposito, si precisa che il D. Lgs. n. 205/2010 ha riscritto la disposizione di cui all’art. 183 del Testo Unico, definendo come ‘rifiuto’ «qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi». Si distingue, infatti, una distinta forbice edittale di sanzione detentiva per le ipotesi aventi ad oggetto i rifiuti c.d. ‘pericolosi’ (arresto da sei mesi a due anni) e per quelle concernenti i rifiuti c.d. ‘non pericolosi’ (arresto da tre mesi a un anno), pur restando invariata la sanzione pecuniaria dell’ammenda, che oscilla da 2.600 a 26.000 euro.
Tornando alla disciplina dell’elemento oggettivo del reato, la giurisprudenza di legittimità ha inteso specificare che, in mancanza di reiterazione, la condotta contra ius di smaltimento non autorizzato di rifiuti non sia – in re ipsa – sintomo di assoluta occasionalità, poiché l’ipotesi contravvenzionale trova configurazione anche nella mera circostanza in cui un comportamento integri una delle ipotesi stabilite dalla norma incriminatrice. Nondimeno, sulla scorta delle recenti pronunce della Suprema Corte, non sussiste alcuna episodicità nel caso in cui siano rinvenuti in stato di abbandono raggruppamenti di diversi rifiuti, pericolosi e non pericolosi, prima di essere incendiati (Cass. Pen., 11 maggio 2018, n. 20876), anche se distinti per «composizione e natura (materiali edili misti, plastiche, pneumatici fuori uso e oggetti vari) [e] quantità» (Cass. Pen., 26 gennaio 2021, n. 4770).
Inoltre, gli Ermellini hanno recentemente precisato che la fattispecie di abbandono incontrollato di rifiuti presenti la natura di reato istantaneo con effetti permanenti, posto che si erige su una volontà dell’agente esclusivamente di carattere dismissivo che, in ragione dell’occasionalità, esaurisce la sua portata antigiuridica al tempo in cui si verifica l’azione della derelizione, senza che vi sia la gestione protesa al recupero o allo smaltimento del rifiuto (Cass. Pen., 17 febbraio 2021, n. 6149).
Poi, la giurisprudenza di legittimità ha più volte chiarito che la contravvenzione di cui al secondo comma dell’art. 256 del Testo Unico, in ossequio al criterio di specialità ex art. 15 c.p., trovi applicazione nelle circostanze in cui l’agente sia il titolare di un’attività imprenditoriale ovvero il responsabile di un ente. Diversamente, è ascrivibile in capo all’autore delle medesime condotte di abbandono, deposito incontrollato e immissione l’illecito amministrativo previsto dal primo comma dell’art. 255, purché sia un soggetto privato che non rivesta una peculiare qualifica. Ciononostante, una simile distinzione non deve essere letta con esclusivo riferimento all’autore materiale dell’atto, dovendo rientrare nell’apprezzamento anche la tipologia di rifiuto derelitto. Invero, il legislatore ha inteso riservare un diverso trattamento sanzionatorio per lo stesso comportamento illecito in virtù del presunto minore impatto ambientale generato dall’abbandono da parte di soggetti che non svolgono attività di impresa o di gestione di enti. Invero, la ratio normativa mira ad impedire ogni rischio di inquinamento che possa derivare dalla produzione continua di rifiuti per finalità aventi carattere economico, con esclusione delle attività che presentano la propria incidenza in ambienti domestici (Cass. Pen., 14 aprile 2021, n. 13817).
Infine, la Suprema Corte ha riconosciuto che non sia possibile muovere alcun giudizio di rimproverabilità penale neppure nei confronti del proprietario di un terreno ove si svolge gestione di discarica non autorizzata da parte di terzi. Secondo un orientamento ermeneutico consolidato, in effetti, non sarebbe sufficiente la sua colpevole inerzia, in ragione della necessità di verificare l’esistenza di un preciso apporto causale che sia indicativo di una forma di consapevolezza in capo al proprietario dello svolgimento dell’attività dismissiva (Cass. Pen. 4 giugno 2019, n. 27692; Cass. Pen., 8 febbraio 2019, n. 13606).