Litispendenza e cause pendenti in differenti gradi di giudizio
di Massimo Montanari, Professore ordinario di Diritto processuale civile e di diritto fallimentare – Università degli Studi di Parma Scarica in PDFCass., ord., 18 giugno 2018, n. 15981 – Pres. Amendola – Rel. Olivieri
Litispendenza – Pendenza di cause identiche in diversi gradi del giudizio – Sospensione per pregiudizialità della causa successivamente promossa – Inammissibilità (C.p.c. artt. 39, 295, 337)
[1] Qualora una stessa causa venga proposta davanti a giudici diversi, quello successivamente adito è tenuto a dichiarare la litispendenza anche se la controversia previamente instaurata sia già stata decisa in primo grado e figuri radicata davanti al giudice del gravame, senza, correlativamente, possibilità di far luogo alla sospensione del giudizio promosso per secondo.
CASO
[1] La Cassazione ha pronunciato a séguito di regolamento di competenza spiegato contro un’ordinanza con la quale il Tribunale di Messina aveva disposto la sospensione, ai sensi dell’art. 295 c.p.c., di un giudizio incardinato su due distinte domande proposte dalla curatela di un fallimento avverso, rispettivamente, l’amministrazione comunale della stessa città, per la condanna al pagamento del saldo prezzo di una vendita immobiliare, e un istituto di credito, per la declaratoria di estinzione di un’ipoteca accesa sul complesso immobiliare oggetto della predetta vendita. La sospensione era stata decretata in relazione alla contestuale pendenza in seconde cure, innanzi alla Corte d’appello di Messina, di una causa ove il credito vantato dal fallimento era stato dedotto in via di compensazione avverso una contrapposta pretesa creditoria azionata dal Comune, convenuto nell’altro giudizio, nelle forme dell’insinuazione tardiva al passivo fallimentare ex art. 101 l. fall, (nel testo anteriore alla riforma). Con il regolamento di competenza il curatore fallimentare ha contestato la sussistenza degli estremi della sospensione con riguardo specifico alla causa promossa contro la banca per l’accertamento dell’intervenuta estinzione dell’ipoteca.
SOLUZIONE
[1] La Corte ha accolto il proposto regolamento, osservando che l’accertamento, da parte della Corte d’appello, del credito opposto in compensazione in sede di verificazione del passivo fallimentare non potrebbe in ogni caso generare effetti vincolanti rispetto al giudizio, pendente davanti al Tribunale, ove dibattuta è l’estinzione dell’ipoteca: vuoi per difetto dell’indispensabile coincidenza dell’elemento soggettivo tra le due cause; vuoi per l’estraneità dello stesso credito al novero degli elementi di cui si compone la fattispecie costitutiva dell’ipoteca in discussione.
A ciò si è aggiunto che, essendosi promossa la causa davanti al Tribunale a mezzo di ricorso ex art. 702-bis c.p.c., necessariamente avrebbe dovuto trovare applicazione il principio per cui, sussistendo le condizioni per far luogo alla sospensione a norma, a seconda dei casi, degli artt. 295 ovvero 337 c.p.c., la stessa non potrebbe essere disposta se non previa conversione del rito – nella specie, evidentemente, mancata -, da sommario in ordinario.
[2] Il giudice di legittimità non si è limitato, però, a quanto sopra, sottoponendo, ancorché non richiesto, al proprio sindacato critico il provvedimento sospensivo impugnato anche nella parte concernente il giudizio sul credito per il saldo prezzo della vendita immobiliare. Tra questa e la causa vertente, in appello, sullo stesso credito, ivi dedotto in compensazione, non intercorre una relazione di pregiudizialità-dipendenza, bensì di identità, non rilevando in senso contrario la circostanza dell’inversione del ruolo processuale delle parti nel passaggio dall’un giudizio all’altro. E questo fa sì che a ricevere applicazione, nella fattispecie, debba essere la disciplina della litispendenza ex art. 39, 1° comma, c.p.c., a ciò non potendosi rinvenire ostacolo nel fatto della pendenza delle due cause in gradi differenti di giudizio, dal momento che anche in tal caso si profila quel rischio di duplicità di giudizi e confliggenti regolamentazioni dello stesso rapporto che soltanto l’eliminazione dalla scena di una delle due cause, e non il suo artificioso mantenimento in vita sebbene nello stato di quiescenza, è in grado di prevenire.
Quale delle due cause vada rimossa, mediante declaratoria della litispendenza e annessa cancellazione dal ruolo, è chiaramente, in forza del criterio di prevenzione di cui a detto art. 39, 1° comma, c.p.c., quella radicata davanti al tribunale: al qual riguardo la Corte ha ritenuto di poter provvedere direttamente e “in prima persona”, senza bisogno di rinviare la causa al giudice di merito, nell’esercizio dei poteri attinenti alla prosecuzione del processo che le sono conferiti dal successivo art. 49, 3° comma.
QUESTIONI
[1] Se la ratio primaria della sospensione per pregiudizialità-dipendenza regolata dall’art. 295 c.p.c. va identificata nella necessità di evitare un conflitto pratico tra giudicati (Cass. 24 giugno 2014, n. 14274, Lavoro nella giur., 2014, 920; Cass. 3 ottobre 2012, n. 16844; S. Menchini, voce Sospensione del processo civile. A) Processo civile di cognizione, in Enc. dir., XLIII, Milano, 1990, 26 s.), è di assoluta evidenza, come la Corte ha ribadito nell’occasione, che tale sospensione possa essere disposta solamente in quanto le parti del processo sulla causa pregiudiziale coincidano con quelle del processo sulla causa dipendente, giacché, diversamente, la sentenza che sarebbe resa all’esito del primo processo non sarebbe opponibile come res iudicata nel secondo (Cass. 11 agosto 2017, n. 20072; Cass. 17 luglio 2015, n. 15094; Cass. 30 giugno 2015, n. 13423; E.T. Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, 4a ed., Milano, 1981, 189).
Nel solco della communis opinio giurisprudenziale, la presente decisione mostra di mantenersi anche per quanto attiene all’affermata inammissibilità della sospensione ex art. 295 c.p.c. in sede di procedimento sommario di cui ai successivi artt. 702-bis ss. (Cass. 24 ottobre 2014, n. 22605; Cass., 2 gennaio 2012, n. 3, in Giur. it., 2012, 2326, con note critiche di F. Cossignani e C. Bechis). L’impostazione non è, peraltro, andata immune da censure in àmbito dottrinale, dove si è posta in luce l’apoditticità di quello che ne rappresenta l’autentico cardine argomentativo, vale a dire l’asserto secondo cui l’accertamento degli estremi di pregiudizialità-dipendenza cui è subordinata nel caso la sospensione non sarebbe mai suscettibile di istruzione sommaria ma richiede lo spiegamento delle forme della cognizione piena proprie del rito ordinario (A. Tedoldi, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, Bologna, 2013, 480 ss.; F. Cossignani, Della sospensione per pregiudizialità del procedimento sommario di cognizione, in Giur. it., 2012, 2329 s.).
[2] Per lungo tempo la giurisprudenza è rimasta attestata sul principio per cui, pur a fronte di due controversie identiche sul piano oggettivo e soggettivo, non sarebbe comunque consentito procedere alla dichiarazione della litispendenza, potendosi al più far luogo, in sua vece, alla sospensione ex art. 295 c.p.c. allorché si tratti di controversie pendenti in differenti gradi di giudizio (cfr. Cass. 15 dicembre 2011 n. 27018; Cass. 18 aprile 2007, n. 9313; Cass. 18 giugno 2002 n. 8833). Questa posizione è stata però ripudiata dalle Sezioni unite con la pronuncia n. 27846 del 12 dicembre 2013 (in Riv. dir. proc., 2014, 1254), che ne ha denunciato lo stridente contrasto con la lettera dell’art. 39, 1° comma, c.p.c. – secondo cui la litispendenza può essere rilevata «in qualunque stato e grado del processo» – e con la ratio, quale sopra illustrata, che vi è sottesa. Neppure sotto il profilo che si sta ora considerando, dunque, la decisione in commento rappresenta una novità: ma in una ad altre pronunce che parimenti si sono conformate ai dettami delle Sezioni unite, autorizza a parlare di revirement ormai definitivamente acquisito sul punto.