10 Ottobre 2023

L’istituto della collazione assicura la parità di trattamento tra i vari condividenti nella formazione della massa ereditaria

di Corrado De Rosa, Notaio Scarica in PDF

Cassazione civile sez. II, ordinanza 4 luglio 2023, n. 18823 (FALASCHI – Presidente – SCARPA – Relatore)

(Articoli 737, 566 e 537 Codice civile)

Di Corrado De Rosa

Massima: “In tema di divisione ereditaria, l’istituto della collazione, che, in presenza di donazioni (dirette e indirette) fatte in vita dal de cuius e salva apposita dispensa di quest’ultimo, impone il conferimento del bene che ne è oggetto in natura o per imputazione, ha la finalità di assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti nella formazione della massa ereditaria, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote determinate attraverso la sommatoria del relictum e del donatum al momento dell’apertura della successione, sicché il relativo obbligo sorge automaticamente in seguito ad essa, senza necessità di proporre espressa domanda da parte del condividente, essendo a tal fine sufficiente che sia chiesta la divisione del patrimonio relitto e che sia menzionata, in esso, l’esistenza di determinati beni quali oggetto di pregressa donazione. Tuttavia, in caso di donazione indiretta, è pregiudiziale all’obbligo di collazione la proposizione della domanda di accertamento dell’esistenza della stessa.

Fonte:

Guida al diritto 2023, 30

CASO

L’ordinanza in rassegna riguarda una contesa ereditaria intervenuta fra le quattro eredi di C.A., defunta alla cui morte era risultato che il patrimonio relitto della medesima fosse costituito soltanto da un deposito bancario di Euro 2.217,46. Poiché la de cuius aveva sottoscritto in vita (nel 1998) un fondo di investimento del valore di Lire 386.025.295, poi trasferito nello stesso anno a due soltanto delle predette eredi, l’originaria citazione in giudizio, proposta dalle due eredi non intestatarie del fondo ora citato, aveva ad oggetto la falsità della firma apposta sul modulo di investimento, la nullità degli atti di disposizione e l’accertamento delle quote di spettanza alle attrici.

Poiché l’ultima delle domande attoree richiamate non veniva decisa dalla sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Bergamo, le attrici, fattesi appellanti, reiteravano la domanda di collazione presso la Corte di Appello di Brescia, la quale, qualificando il menzionato trasferimento del fondo di investimento quale donazione indiretta – a seguito dell’ammissione da parte delle resistenti circa la provenienza materna del denaro ivi investito – ed effettuando la collazione del donatum e del relictum, ripartiva l’asse ereditario così ricostruito in quattro quote eguali, secondo il disposto dell’articolo 537, secondo comma, del Codice civile, condannando le due eredi beneficiarie del trasferimento del fondo d’investimento al versamento di quanto dovuto nei confronti delle due eredi appellanti.

Le due eredi soccombenti in grado d’appello proponevano dunque ricorso per Cassazione articolato in cinque motivi:

  1. il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli articoli 737 e 55 del Codice civile per avere la Corte d’appello “confuso gli effetti dell’azione di riduzione con quella di collazione implicitamente individuata nella domanda di divisione ereditaria”. In particolare le ricorrenti evidenziano che gli attori non avevano svolto una domanda di riduzione della donazione eccedente la quota disponibile;
  2. il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione dell’articolo 112 del Codice di procedura civile in ragione del fatto che la Corte d’appello ha disposto la riduzione della donazione indiretta quantunque gli attori non l’avessero richiesta, e anzi avessero, in sede di conclusioni, espressamente rinunciato alla domanda di nullità degli atti di disposizione, l’unica riferita alla violazione delle quote di riserva attoree;
  3. il terzo motivo del ricorso denuncia la violazione degli articoli 566 e 537 del Codice civile, avendo la Corte d’appello disposto la divisione dell’asse ereditario secondo le quote della successione legittima anziché di quella necessaria, pur avendo statuito disponendo la riduzione della donazione indiretta in favore dell’asse ereditario. Si assume che l’asse ereditario dovesse essere suddiviso fra gli eredi nella misura di 1/4 ciascuno solo per la quota di 2/3 e non per l’intero, tenuto conto della disponibile;
  4. il quarto motivo di ricorso lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, perché la Corte d’appello ha ritenuto che gli attori avessero implicitamente svolto una domanda di collazione, ancorché le convenute avessero eccepito che quel petitum (mai espressamente formulato) non potesse ricavarsi in via interpretativa dalle loro alternative causae petendi in relazione al generico petitum di accertamento della consistenza dell’asse ereditario e di divisione dello stesso tra gli eredi;
  5. il quinto ed ultimo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’articolo 112 Codice di procedura civile, per avere la Corte d’appello disposto la divisione dell’asse ereditario, integrandolo con i titoli mobiliari oggetto di donazione indiretta, nonostante la domanda svolta dagli attori fosse, in via principale, quella di reintegrare l’asse ereditario stesso di quanto illecitamente sottratto alla de cuius commettendo il reato di appropriazione indebita e, in via subordinata, per l’effetto della declaratoria della nullità della donazione per difetto della forma solenne.

SOLUZIONE

La Suprema Corte ritiene di procedere ad un esame congiunto dei cinque motivi ora riportati, diffondendosi nell’analisi del differente funzionamento degli istituti della collazione e della domanda di riduzione.

La collazione, secondo una consolidata interpretazione della Corte, è un istituto che presuppone l’esistenza di donazioni fatte in vita dal de cuius e queste, salvo apposita dispensa, vanno conferite dagli eredi in natura o per imputazione. Questo istituto ha la finalità di mantenere la proporzione stabilità dalla legge o dal testamento tra gli aventi diritto attraverso la sommatoria del relictum e del donatum al momento dell’apertura della successione. Non è necessario che venga esplicitamente richiesta poiché sorge in automatico quando viene chiesta la divisione del patrimonio relitto e sia fatta menzione di determinati beni fatti oggetto di donazione. Fa eccezione la donazione indiretta in cui la proposizione della domanda di accertamento dell’esistenza della stessa è pregiudiziale all’obbligo di collazione.

Avendosi nel caso in esame riguardo ad una divisione tra legittimari, la Suprema Corte osserva che non occorreva proporre azione di riduzione della donazione indiretta oggetto di lite (ovverosia quella collegata alla sottoscrizione del citato fondo d’investimento da parte della de cuius, poi trasferito alle ricorrenti, neppure essendo stata dedotta alcuna prova circa la volontà della donante di sottrarre tale donazione all’obbligo della collazione). Il meccanismo della collazione e dei prelievi è infatti sufficiente a ricondurre le situazioni soggettive dei condividenti alla legge, rimanendo annullato l’effetto della donazione: perciò, prosegue il Giudice di Legittimità, correttamente la Corte bresciana ha fatto applicazione della collazione – essendo stata proposta dalle resistenti (allora ricorrenti) azione di divisione ereditaria tra eredi legittimari – poiché in virtù di tale istituto i beni donati devono essere compresi o conferiti, insieme al relictum, nella massa attiva del patrimonio ereditario, al fine di conservare tra gli eredi stessi la proporzione stabilita nel testamento o nella legge, permettendo la divisione tra i coeredi in proporzione delle quote a ciascuno spettanti.

Ciò in maniera da assicurare l’equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, indipendentemente dall’esperimento dell’azione di riduzione, la quale invece serve a salvaguardare esclusivamente la quota di legittima e quindi sacrifica i donatari nei limiti della legittima lesa.

La collazione, aggiunge la Cassazione può nondimeno comportare l’eliminazione di fatto di eventuali lesioni di legittima, e tuttavia questo non esclude la possibilità che il legittimario possa anche esercitare l’azione di riduzione nei confronti del coerede che ha ricevuto una donazione durante la vita del defunto, poiché solamente l’accoglimento di tale domanda assicura al legittimario leso la reintegrazione della sua quota di riserva con l’assegnazione di beni in natura, privando così i coeredi della facoltà di optare per l’imputazione del relativo valore. Allo stesso tempo, e specularmente, l’azione di riduzione, una volta che sia stata esperita, non impedisce l’applicazione della collazione rispetto alla donazione oggetto di riduzione.

Tuttavia, mentre la collazione, se richiesta in modo esclusivo, riporta il bene donato nella massa ereditaria senza distinguere tra legittima e disponibile, nel caso di suo concorso con l’azione di riduzione interviene in un secondo momento: dopo che la reintegrazione della legittima, allo scopo di redistribuire l’eventuale eccedenza, cioè il valore aggiuntivo della donazione rispetto alla disponibile.

L’articolo 746 comma 1 prevede che nel caso in cui sia richiesta la collazione di beni mobili, sia attribuita al coerede donatario la facoltà di scelta tra il ricevere beni in natura o l’ottenere una compensazione in denaro; è possibile esercitare questa facoltà pure quando il valore dei beni donati supera il valore della sua quota ereditaria. Nella prassi, l’articolo 746 del Codice civile viene applicato comunemente quando il valore dei beni donati è inferiore o al massimo uguale al valore della quota spettante al beneficiario della donazione. Il beneficiario può decidere di rinunciare all’eredità e così evitare l’obbligo di restituire la donazione ricevuta ai coeredi che hanno diritto alla collazione.

È importante notare, tuttavia, che la norma non consente al beneficiario che sceglie di restituire la donazione in denaro di trattenere la differenza tra il valore della donazione ricevuta e il valore della sua quota ereditaria. In ogni caso, deve “imputare alla sua quota” il valore della donazione ricevuta fino a coprire il valore della sua quota, e quindi versare all’eredità l’equivalente in denaro dell’eventuale eccedenza. Dunque il fatto che un coerede donatario opti per la collazione mediante l’imputazione o sia obbligato a farlo non comporta la risoluzione della donazione; ma fa sì che il coerede mantenga i beni oggetto della donazione e nei suoi confronti sorga soltanto l’obbligo di versare un equivalente pecuniario nella massa ereditaria. Questo conferimento solitamente avviene attraverso una riduzione proporzionale della massa ereditaria su cui il donatario può far valere il suo diritto alla sua quota. Tuttavia, per la parte in eccesso del valore dei beni donati rispetto al valore della sua quota ereditaria, il coerede è tenuto a versare l’effettivo equivalente pecuniario. Questo pagamento è considerato un “debito di conguaglio” in senso improprio, come previsto dall’articolo 747 del Codice civile. L’eccedenza viene quindi assommata all’asse ereditario e distribuita tra tutti i coeredi che non hanno ricevuto donazioni, in base alle quote di rispettiva spettanza.

In base a questi principi, la sentenza impugnata ha aggiunto al modesto importo dei beni rimasti nell’eredità, paro a 2.217,27 euro l’importo del denaro imputato inerente alla donazione indiretta fatta in vita dalla de cuius, della quale le attrici avevano domandato l’accertamento. La sentenza ha poi calcolato le quote ereditarie spettanti a ciascun coerede, garantendo la parità di trattamento.

Per i motivi sin qui richiamati il ricorso è stato dalla Corte rigettato, dichiarando tutti i motivi addotti a suo fondamento “del tutto infondati”.

QUESTIONI

Il Collegio di Legittimità, con la sentenza in commento, approfondisce in tema di divisione ereditaria la differenza e i rapporti tra l’azione di riduzione (articoli 553 e seguenti del Codice civile) e l’istituto della collazione (articoli 737 e seguenti del Codice civile).

“Mentre la riduzione sacrifica i donatari nei limiti di quanto occorra per reintegrare la legittima lesa ed è quindi imperniata sul rapporto fra legittima e disponibile, la collazione, nei rapporti indicati nell’articolo 737 c.c., pone il bene donato, in proporzione della quota ereditaria di ciascuno, in comunione fra i coeredi che siano il coniuge o discendenti del de cuius, donatario compreso, senza alcun riguardo alla distinzione fra legittima e disponibile.”

Dunque, l’azione di riduzione è volta a far dichiarare l’inefficacia delle disposizioni lesive dei diritti di legittima e precede l’azione di restituzione volta al recupero dei beni oggetto di tali disposizioni. La collazione invece è un istituto preordinato alla formazione della massa ereditaria e alla salvaguardia della quota spettante a ciascun erede.

La collazione consiste nel conferimento all’asse ereditario di tutte le liberalità che i soggetti indicati dall’articolo 737[1] abbiano ricevuto dal de cuius quando il medesimo era in vita. La ratio giustificativa dell’istituto, secondo la dottrina, risiederebbe nel fatto che le donazioni fatte ai soggetti destinati a rivestire la qualifica di eredi necessari rappresenta un’attribuzione a titolo di anticipazione dell’eredità, ossia un’anticipazione di quanto loro spettante a seguito della successione[2], sicché il computo di esse, ai fini della divisione del patrimonio ereditario, andrebbe a rimuovere la disparità di trattamento che le donazioni fatte in vita dal de cuius altrimenti potrebbero determinare tra i coeredi.

L’obbligo della collazione sorge automaticamente e i beni donati in vita dal de cuius devono essere conferiti indipendentemente da una espressa richiesta, essendo sufficiente, a tal fine, la proposizione della domanda di accertamento della lesione della quota di legittima e di riduzione e la menzione in essa dell’esistenza di determinati beni facenti parte dell’asse ereditario da ricostruire[3].

La domanda di collazione non è, quindi, sottoposta ai termini di cui all’articolo 167 del Codice di procedura civile, a cui soggiace invece la domanda di accertamento dell’esistenza di una donazione indiretta che sia pregiudiziale e prodromica ad una domanda di collazione[4].

La collazione, inoltre, presuppone l’esistenza di una comunione ereditaria e, quindi, di un asse da dividere, sicché, se l’asse sia stato esaurito con donazioni o con legati, o con le une e con gli altri insieme, venendo a mancare un “relictum” da dividere, non si fa luogo a divisione e, quindi, neppure a collazione, salvo l’esito dell’eventuale azione di riduzione[5]. Per le stesse ragioni l’istituto non trova applicazione quando la divisione sia effettuata dal testatore ex articolo 734, dal momento che non sorge la comunione ereditaria[6]. La collazione ha ad oggetto sia le donazioni dirette che quelle indirette e riguarda anche le donazioni modali, limitatamente, tuttavia, alla differenza tra il valore dei beni donati e il valore dell’onere imposto dal donante[7]. Nell’ipotesi, invece, di acquisto di un immobile con denaro proprio del disponente ed intestazione ad altro soggetto, che il disponente medesimo intenda in tal modo beneficiare, si configura la donazione indiretta dell’immobile e non del denaro impiegato per l’acquisto, sicché, in caso di collazione, secondo le previsioni dell’ art 737, il conferimento deve avere ad oggetto l’immobile e non il denaro[8]. L’obbligo della collazione non riguarda i beni oggetto di trasferimento a titolo oneroso, anche se a favore del coerede, salvo che sia accertata e dichiarata la simulazione dell’atto, in accoglimento di apposita azione formulata dal coerede che chiede la divisione[9].

L’azione di riduzione ha lo scopo di far dichiarare l’inefficacia, totale o parziale, delle disposizioni testamentarie e delle donazioni che eccedono la quota di cui il testatore poteva disporre.

La maggior parte della dottrina ritiene che l’azione di riduzione, indirizzata contro le disposizioni testamentarie o le donazioni, abbia carattere costitutivo e sia diretta, su iniziativa del legittimario integralmente pretermesso o leso nella legittima, ad incidere sulla situazione validamente determinatasi per effetto di tali disposizioni o donazioni: si nega, cioè, che le disposizioni testamentarie e le donazioni lesive della legittima siano affette da nullità, e si ritiene che esse rimangono valide ed efficaci fintanto che il legittimario non eserciti con successo l’azione in questione.

In tal senso è orientata anche la giurisprudenza, la quale identifica nell’azione di riduzione l’esplicazione di un diritto potestativo consistente nel rendere, in tutto o in parte, inoperante nei confronti del legittimario, la disposizione lesiva. Dunque, la riduzione della disposizione testamentaria conseguente all’accoglimento della domanda del legittimario che si ritenga leso nella sua quota di riserva, non derivando da un vizio di nullità dell’atto dispositivo, rende tale atto soltanto inefficace ex nunc nei confronti del legittimario vittorioso, cosicché fino a quando non sia intervenuta la pronuncia di accoglimento della domanda di riduzione, le disposizioni testamentarie o le donazioni lesive della quota di legittima esplicano la loro efficacia[10].

Allo stesso modo la dottrina considera la posizione del legittimario pretermesso, che proprio in ragione della validità ed efficacia delle disposizioni lesive della legittima fino alla loro caducazione per mezzo dell’azione di riduzione, non è erede , ma ha solo il diritto potestativo di agire in giudizio in riduzione. Nel senso della dottrina prevalente è stabilmente orientata anche la giurisprudenza che afferma che il legittimario pretermesso non è chiamato alla successione per il solo fatto della morte del de cuius, ma acquista la qualità e i diritti di erede solo dopo l’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione[11].

Il legittimario che agisce con l’azione di riduzione ha l’onere di provare gli elementi necessari a stabilire se vi sia stata e in quale misura, la lesione della quota di riserva. Egli deve provare l’appartenenza dei beni al de cuius, l’ordine cronologico e il valore dei vari atti dispositivi posti in essere dallo stesso, l’an ed il quomodo della lesione verificatasi, e l’inesistenza nel patrimonio del defunto di altri beni, oltre a quelli oggetto dell’azione di riduzione[12].

Per la prova in discorso non ricorrono limitazioni, ed essa ben può essere ravvisata dal giudice di merito in presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti.  E dunque, nel caso di esercizio dell’azione di riduzione, il legittimario, ancorché abbia l’onere di precisare entro quali limiti sia stata lesa la sua quota di riserva, indicando gli elementi patrimoniali che contribuiscono a determinare il valore della massa ereditaria nonché, di conseguenza, quello della quota di legittima violata, senza che sia necessaria l’indicazione in termini numerici del valore dei beni interessati dalla riunione fittizia e della conseguente lesione, può, a tal fine, allegare e provare, anche ricorrendo a presunzioni semplici, purché gravi precise e concordanti, tutti gli elementi occorrenti per stabilire se, ed in quale misura, sia avvenuta la lesione della riserva[13].

Inoltre, la ricostruzione dell’intero patrimonio del defunto, mediante la riunione fittizia di ciò che è stato donato in vita a ciò che è residuo al momento della morte, e l’imputazione della quota del legittimario di quanto egli ha ricevuto dal defunto, costituiscono i necessari antecedenti dell’azione di riduzione: ne consegue che le richieste volte all’esatta ricostruzione sia del relictum, sia del donatum, mediante l’inserimento di altri beni, non costituiscono domande, ma deduzioni che attengono ai presupposti dell’azione di riduzione e, come tali, da ritenere implicitamente contenute nella domanda introduttiva[14].

[1] E cioè «i figli e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione».

[2] Cfr. L. Balestra, M. Di Marzio (a cura di), Successioni e donazioni, Padova, CEDAM, 2014, 1498.

[3] Cass. Civ. sez. II, sentenza 6 aprile 2018, n. 8510.

[4] Cass. Civ. sez. II, sentenza 23 luglio 2019, n. 19833.

[5] Cfr. L. Balestra, M. Di Marzio (a cura di), Successioni e donazioni, cit., 1496.

[6] Cass. Civ. sez. II, sentenza 23 maggio 2013, n. 12830.

[7] Cass. Civ. sez. II, sentenza 27 novembre 1985, n. 5888.

[8] Cass. Civ. sez. II, sentenza 4 settembre 2015, n. 17604.

[9] Cass. Civ. sez. II, sentenza 21 febbraio 2007, n. 4021.

[10] Cass. Civ. sez. I, sentenza 11 giugno 2003, n. 9424; Cass. Civ. sez. II, sentenza 12 aprile 2002, n. 5323.

[11] Cass. Civ. sez. II, sentenza 2 dicembre 2011, n 28632; Cass. Civ. sez. VI, ordinanza 26 ottobre 2017, n. 25441.

[12] Cass. Civ. sez. II, sentenza 30 giugno 2011, n. 14473.

[13] Cass. Civ. sez. II, sentenza 2 settembre 2020, n. 18199.

[14] Cass. Civ. sez. II, sentenza 10 gennaio 2020, n. 17926.

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