Liquidazione giudiziale di società incorporata
di Federica Pasquariello, Ordinario di Diritto commerciale, Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCassazione Civile, Sez. I, 23 maggio 2024, n.14414 (ordinanza) ¾ Abete Presidente Vella Relatore
Fusione per incorporazione – Insolvenza società incorporata – Fallimento/Liquidazione giudiziale – Ammissibilità
Parole chiave: Crisi ed insolvenza d’impresa – Liquidazione giudiziale – Società cancellata – Società incorporata
Massima: “In tema di fusione per incorporazione, la società incorporata, qualora insolvente, è assoggettabile a fallimento, ai sensi dell’art. 10 l.fall., entro un anno dalla sua cancellazione dal registro delle imprese”.
Riferimenti normativi: (art. 10 l. fall.; art. 33 c.c.i.i.)
CASO
Il Tribunale di Catania aveva dichiarato il fallimento di una società editrice, fusa per incorporazione, sulla scorta della natura estintiva della operazione di incorporazione e conseguente applicazione del termine annuale per la dichiarazione di fallimento, secondo l’art. 10 l. fall. ( oggi, art. 33 c.c.i.i.). La Corte d’Appello di Catania ha rigettato il reclamo e contro la sentenza è promosso ricorso per Cassazione, denunciandosi, tra l’altro, violazione e falsa applicazione da un lato degli artt. 10 l.fall., 2495 e 2504-bis c.c., per avere la Corte d’appello affermato l’assoggettabilità a fallimento della società incorporata entro l’anno dalla realizzazione della fusione – in ragione del ritenuto effetto estintivo dell’operazione di fusione – senza dare rilievo alla assoggettabilità a fallimento della società incorporante; d’altro lato, per violazione e falsa applicazione degli artt. 5 l.fall. e 2504- bis c.c., per avere la Corte territoriale ritenuto irrilevante ogni accertamento circa la solvibilità dell’incorporante.
SOLUZIONE
La S.C., in linea con il proprio più recente orientamento, conferma la sentenza impugnata e ritiene applicabile alla società incorporata – e, dunque, cancellata dal R.I., il termine annuale per la dichiarazione di fallimento, secondo l’art. 10 l. fall.
COMMENTO
La percezione in termini estintivi della vicenda del soggetto fuso o incorporato; scisso; trasformato, con conseguente tendenza all’applicazione di un meccanismo per certi versi successorio in relazione ai rapporti giuridici già in essere porta alla lettura di fusione, scissione, trasformazione come eventi suscettibili di rendere applicabile alle società preesistenti il meccanismo di cui all’art. 10 l. fall./33 c.c.i.i., per un’insolvenza pregressa: nella ovvia logica di protezione dei creditori di quella. Tale lettura trova riscontro in un formante giurisprudenziale, che si riallaccia ad un orientamento tradizionale per vero emergente non solo in sede di merito, ma anche di legittimità; e non solo in tempi risalenti, ma pure recenti ( da ultimo cfr. Cass., sez. un., 30 luglio 2021, n. 21970, in Giur. it., 2022, p. 663, con commento di D. Vitale; in Società, 2021, 1193, con nota di O. Cagnasso, Le Sezioni Unite sugli effetti della fusione: un ritorno al passato?; in Notariato, 2021, p. 513, con nota di F. Magliulo. Sulla scissione v. U. Belviso, La fattispecie della scissione, in Giur. comm., 1993, I, p. 521 ss.; A. Magrì, Natura ed effetti delle scissioni societarie: profili civilistici, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1999, p. 11 ss.; A. Picciau, Art. 2506, in Trasformazione – Fusione – Scissione, Commentario alla riforma delle società, diretto da Marchetti, Bianchi, Ghezzi, Notari, Milano, 2006, p. 1040 ss.; L. Picone, Art. 2506-bis, ibidem, p. 1086).
Vigente l’art. 10 l.fall., questa lettura poteva anche poggiare sull’argomento letterale, che portava ad applicare il decorso dell’anno dell’art. 10 l.fall. ad ogni cancellazione, poiché era senz’altro dalla cancellazione che testualmente trovava applicazione il termine annuale per il fallimento postumo. Questa chiave di lettura per vero esce indebolita, ora che l’art. 33 c.c.i.i. ricolloca a fondamento della disciplina il fatto sostanziale della cessazione dell’attività; salvo poi presumerne la coincidenza con la cancellazione della società. In effetti, ove l’imprenditore societario attui un’operazione di propria riorganizzazione, la cessazione di attività non si verifica, ma anzi si verifica continuità – per lo meno, in senso oggettivo –.
A consigliare il persistente assoggettamento a fallimento della società poi trasformata, fusa o scissa, milita(va) poi l’opportunità di dare applicazione al regime penalistico, che trova(va) nel fallimento la condizione per la punibilità dei reati fallimentari, in relazione a condotte delittuose degli amministratori ed organi della società (cfr. artt. 322 ss. c.c.i.i., già artt. 216 ss. l. fall.).
Su questi passaggi insiste la più recente elaborazione della Suprema Corte, che ha avallato la lettura in chiave successoria della fusione per incorporazione, affermando che essa comporta l’estinzione della società incorporata, con i conseguenti effetti devolutivo-successori nei confronti della società incorporante.
In senso critico milita la più moderna ricostruzione delle operazioni straordinarie in chiave modificazionista (sulla fusione come “riorganizzazione” di una pluralità di imprese societarie, cfr. G. Ferri, G. Guizzi, Il progetto di fusione e i documenti preparatori. Decisione di fusione e tutela dei creditori, in Il nuovo diritto delle società, Liber Amicorum Gian Franco Campobasso, diretto da Abbadessa, Portale, 4, Torino, 2007, p. 235 ss. In giurisprudenza il leading case è rappresentato da Cass., sez. un., 8 febbraio 2006, n. 2637, in Foro it., 2006, I, p. 1739, con note di D. Dalfino, I. Paola, R. Rordorf), sulla scorta del principio di continuità che, importato dall’ordinamento comunitario, risulta codificato in tutti i diritti nazionali europei; la continuità nei rapporti obbligatori e contrattuali, attivi e passivi, che vanno “versati” nei nuovi contenitori rispettivamente rappresentati dalle società che risultano dall’operazione trova riscontro nella preclusione di forme di surrettizia liquidazione e restituzione dei conferimenti ai soci, posto che il conguaglio in denaro che gli stessi possono percepire resta circoscritto alla soglia massima del 10% del valore nominale delle azioni o delle quote attribuite (art. 2506 c.c.).
È fondato quindi ricostruire la medesima identità dell’imprenditore-società, pur in un nuovo assetto organizzativo (Così anche da ultimo Cass., 9 ottobre 2017, n. 23575, in www.unijuris.it.) ed in una rinnovata scelta per una determinata modalità di regolazione della struttura finanziaria e corporativa. Peraltro, i diritti di opposizione dati al creditore sociale che assiste ad operazioni straordinarie della società debitrice si fondano proprio su quel profilo di merito di “convenienza” che accoglie ed assorbe la loro posizione meritevole di tutela anche nello scenario di un’eventuale liquidazione giudiziale. Benché i rimedi di tutela del credito di diritto societario – l’opposizione dei creditori; la responsabilità solidale tra le beneficiarie ex art. 2506 c.c. – a fronte della possibile diminuzione della garanzia generica, o comunque, della sua modifica qualitativa risultano meno efficienti della possibilità di fare valere ancora la responsabilità del patrimonio della debitrice/società scissa ed estinta (purché già insolvente) .
A tenere preclusa la procedura liquidatoria secondo l’art. 10 l. fall./33 c.c.i.i. va aggiunta la sua incompatibilità con l’effetto definitivo e sanante della pubblicità relativa all’atto di trasformazione, fusione e scissione, sancito dagli artt. 2498; 2504-quater; 2506-ter c.c. (cfr. ex multis L. De Angelis, La trasformazione delle società: profili generali, in Trasformazione fusione e scissione, Opa, società quotate, a cura di Schiano di Pepe, Milano, 1999, p. 22; M. Sarale, Trasformazione e continuità nell’impresa, Milano, 1996): tale effetto, capace di rendere irrilevante sul piano reale l’eventuale irregolarità della procedura, resta conciliabile coi soli rimedi risarcitori di eventuali soggetti danneggiati (Cfr. per tutti A. Genovese, L’invalidità della fusione, Torino, 1997), mentre comporta irretrattabilità degli effetti ed esclude quei rimedi invalidanti di carattere demolitorio che sarebbero sostanzialmente conseguiti ove fosse operata la liquidazione giudiziale della società esistente in epoca anteriore all’operazione. Infatti, non solo la liquidazione giudiziale postuma pratica la fictio iuris della persistente esistenza del soggetto, ma soprattutto la procedura concorsuale dovrebbe ricreare quella segregazione patrimoniale – il patrimonio della società preesistente versus i suoi creditori concorsuali – che l’operazione straordinaria ha fatto venire meno, in caso di fusione; o ha comunque diversamente perimetrato, in caso di scissione. Quindi è solo scardinando gli effetti di queste operazioni che potrebbe trovare realizzazione la ricostruzione delle masse attive e passive, nell’eventuale liquidazione giudiziale della società, per come preesisteva prima dell’operazione.
L’effetto sarebbe anche iniquo a considerare le esternalità negative a carico dei creditori sociali aventi titolo successivo alle operazioni, i quali avrebbero confidato sulla sua definitività e, così, sulla garanzia generica rappresentata dal patrimonio della (nuova) società (cfr. A. Genovese, Fusione di società in pendenza di istruttoria prefallimentare, in nota ad App. Perugia, 16 dicembre 2008, in Fall., 2009, p. 1304)..
Inoltre, il profilo della tutela del credito, che è quello che qui maggiormente preoccupa, trova comunque congrua collocazione. Ed infatti delle due l’una: o la società che risulta dall’operazione non mostra (più) una condizione di insolvenza, e allora l’operazione potrà avere prodotto l’effetto di riallocare proficuamente l’azienda ed il patrimonio della società preesistente, con vantaggio per i suoi creditori ed alcun risvolto concorsuale rilevante. Oppure questa insolvenza risulterà attualmente in relazione alla società risultante dall’operazione, e allora certamente opera la soggezione a liquidazione giudiziale, ma non già in forza dell’art. 33 c.c.i.i./10 l. fall., facendosi questione di società esistente.
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