L’invalidità delle delibere assembleari in tema di interventi di manutenzione straordinaria su beni di proprietà esclusiva
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFCorte di Cassazione, Ordinanza del 25.05.2022 n. 16953, Presidente Dott. L.G. Lombardo, Estensore Dott. A. Scarpa
«In tema di condominio, l’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., imponendo l’allestimento anticipato del fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori, configura una ulteriore condizione di validità della delibera di approvazione delle opere di manutenzione straordinaria dell’edificio; è, dunque, dal testo di tale deliberazione assembleare che deve necessariamente emergere il prezzo dei lavori, al cui importo occorre che equivalga quello del fondo speciale nella prima ipotesi di cui all’art. 1135, comma 1, n. 4, c.c., non potendo, viceversa, trarsi implicitamente dall’importo del fondo in concreto costituito quale sia l’ammontare delle spese necessarie.».
CASO
Tizio, condomino del Condominio Alfa sito in Pietra Ligure, adiva in primo grado il Tribunale di Savona, onde ottenere la declaratoria di nullità, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1137 c.c., di quattro delibere condominiali, adottate rispettivamente in data 2 maggio, 19 agosto, 28 novembre 2015 nonché del 5 marzo 2016, tutte aventi ad oggetto il rifacimento della facciata del detto edificio.
A fondamento della nullità, il condomino assumeva che dette delibere accordavano l’intervento sulle facciate in questione ripartendo le spese di esecuzione in quote fra l’intera compagine condominiale, senza tener conto del fatto che parte di esse fosse di proprietà esclusiva.
Il Tribunale rigettava le domande attoree, in quanto infondate.
Avverso detta sentenza, l’attore in primo grado interponeva appello innanzi la Corte d’Appello di Genova.
Con sentenza n. 194 depositata il 16 febbraio 2021, la Corte distrettuale rigettava il gravame confermando la decisione del giudice delle prime cure.
In particolare, il giudice del gravame menzionava il rogito del 3 settembre del 1959 a Ministro del Notaio Dott. Caio con il quale Sempronio, unico proprietario di un fabbricato costituito da due piani fuori terra in corso di costruzione, aveva alienato “l’intera area sovrastante la soletta di copertura del primo piano sopra il piano terreno (e cioè del secondo piano fuori terra) alla Società Beta S.n.c.”.
Lo stesso atto notarile evidenziava che “sull’area come sopra acquistata la società compratrice avrà il diritto di costruire più piani che resteranno di assoluta ed esclusiva proprietà della società compratrice stessa, e ciò senza dover corrispondere alcuna indennità al venditore, o suoi aventi causa, per la sopraelevazione, in deroga all’art. 1127 c.c. del Codice civile”.
Inoltre alla postilla n. 2, si allegava che “in parziale deroga a quanto sopra convengono le parti che i muri perimetrali sino all’altezza dell’area, oggetto del presente atto, permangano in proprietà esclusiva del venditore; i detti muri perimetrali restano, però, gravanti da servitù di attraversamento per le tubazioni, canali, ed altro necessario al servizio degli alloggi, costruendi sull’area compravenduta, e ciò limitatamente a quanto sarà eseguito dalla società compratrice sino alla data di ultimazione dei lavori e relativa dichiarazione di abitabilità dell’intero fabbricato”.
Orbene, la Corte d’Appello di Genova, rilevava che la delibera, del novembre 2015, relativa alla ripartizione delle spese di intervento, fosse stata adottata facendo ricorso, quanto al criterio di calcolo, alle risalenti tabelle millesimali realizzate nel 1961, poi sempre adottate e richiamate.
Si evidenziava che la facciata oggetto di manutenzione, benchè in parte di proprietà esclusiva, ha comunque un ruolo strutturale per tutto il fabbricato derivandone che gli oneri per gli interventi, siano essi ordinari che straordinari, sono posti in capo all’intera compagine condominiale, la quale partecipa secondo le normali regole di ripartizione: in misura proporzionale al valore delle singole proprietà – ancorchè esclusive – così come definite nelle tabelle del 1961 summenzionate.
Sul punto precisava inoltre che “la pattuizione di cui al rogito sopra menzionata nel 1959 non prevede che le spese dei muri perimetrali sino all’altezza dell’area, oltre tutto gravati dalla servitù di attraversamento per tubazioni, canali, ed altro necessario al servizio degli alloggi soprastati siano poste a carico del proprietario esclusivo di detti muri in base a una specifica ed espressa pattuizione, non potendosi altrimenti presumere che quest’ultimo – Sempronio all’atto del rogito – per il solo fatto di essersi riservata la proprietà esclusiva abbia inteso assicurare le basi strutturali della facciata condominiale ai proprietari delle unità immobiliari soprastanti, con esonero dei medesimi da ogni concorso nelle spese di manutenzione”.
Inoltre la Corte di seconde cure reputava che apparisse evidente la volontà della compagine assembleare di stabilire un prezzo dei lavori inferiore a quelli previsti nel capitolato dei lavori anche in regione della previsione della costituzione di un fondo cassa pari ad € 13.000,00 oltre I.V.A. “salvo i necessari aggiustamenti derivanti da varianti in corso d’opera”.
Soccombente anche in secondo grado Tizio proponeva ricorso per Cassazione sulla base di quattro motivi.
L’intimato Condominio Alfa di Pietra Ligure non svolgeva alcuna attività difensiva.
Il giudice relatore riteneva che detto ricorso potesse essere accolto per manifesta fondatezza con la definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., il Presidente, pertanto, fissava l’adunanza in camera di consiglio.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 16953 del 25 maggio 2022, integralmente accolto il ricorso proposto dal condomino Tizio, disponeva la cassazione della sentenza impugnata e rinviava la causa alla Corte d’Appello di Genova, in diversa composizione, per la decisione della controversia, nonché per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
QUESTIONI
Con il primo motivo il ricorrente denunciava la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1123, comma uno e 1137 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., dovendo considerare che l’assemblea non ha la facoltà di decidere della sorte dei beni che non costituiscono parti o servizi comuni e neppure quello di prevederne l’obbligatorietà ed il relativo costo ai condomini assenti ovvero dissenzienti.
Con il secondo motivo deduceva la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1069 c.c. e dell’art. 68 disp. Att. c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., considerando che se è vero che la manutenzione delle opere in re aliena è posta a carico dei proprietari dei fondi dominanti, è comunque vero che gli interventi manutentivi della porzione di fondo servente non coinvolta dagli stessi interventi permane a carico degli esclusivi proprietari del medesimo fondo.
Con il terzo motivo censurava la violazione e/o falsa rappresentazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., avendo ritenuto che l’interesse di Tizio fosse circoscritto alla ripartizione delle spese – ed alla delibera in questione, e non già all’esercizio del potere decisionale dell’assemblea rappresentato da tutte le delibere impugnate dal medesimo.
Con il quarto motivo lamentava la violazione e/o falsa rappresentazione dell’art. 1135, primo comma, n. 4, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. avendo ritenuto legittima la determinazione del fondo speciale in maniera arbitraria e non “pari all’ammontare dei lavori”.
La Corte di Cassazione riteneva tutti e quattro i motivi fondati e li esaminava congiuntamente come di seguito esposti.
In primo luogo occorre premettere che la costituzione dell’assemblea nonché la validità delle deliberazioni assunte da quest’ultima è disciplinata all’art. 1136 c.c. il quale individua le modalità di costituzione della stessa nonché i quorum necessari per la regolarità delle deliberazioni ivi assunte.
Segnatamente, esse costituiscono espressione non della volontà dell’assemblea, in sé per sé considerata, bensì della sola maggioranza in essa formatasi, tale da vincolare anche la minoranza dissenziente e coloro che in quella sede si sono astenuti.
In quanto tali esse sono da intendersi a tutti gli effetti come atti negoziali relativi all’organizzazione condominiale, pertanto munite di attitudine gestoria dello stesso.
Ai sensi del successivo art. 1137, comma 2, c.c., si prevede che “contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condominio assente, dissenziente o astenuto può adire l’autorità giudiziaria chiedendone l’annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per gli assenti”.
Sul punto infatti la giurisprudenza di legittimità ritiene che “in tema di impugnazioni di delibere condominiali annullabili, la legittimazione ad agire compete al condomino che abbia espresso in merito il suo dissenso, ne consegue che è specifico onere dello stesso di provare ai fini della relativa impugnativa, la propria qualità di condomino dissenziente”[1].
Invero, ad avviso della Corte di legittimità oggetto del giudizio di validità della delibera ai sensi dell’art. 1137 c.c. è “il valore organizzativo della deliberazione, dovendosi accertare se quel valore merita di essere conservato o va, piuttosto eliminato con la sentenza di annullamento o con la declaratoria di nullità”.
Pertanto la scelta tra l’applicazione della sanzione della nullità/annullabilità ovvero la conservazione della determinazione – in ragione delle esigenze di stabilità delle stesse in sede di assemblea nonché di certezza dei traffici giuridici – è orientata sulla base dell’essenza organizzativa della stessa delibera.
Nel caso di specie, i lavori oggetto delle delibere per cui è causa e la ripartizione delle successive e relative spese per la riscossione dei contributi dei condomini sono sussumibili all’interno del contenuto essenziale della deliberazione prevista dall’art. 1135, comma 1, n. 4), c.c., il quale specificamente prevede che “oltre a quanto stabilito dagli articoli precedenti, l’assemblea dei condomini provvede […] alle opere di manutenzione straordinaria e alle innovazioni, costituendo obbligatoriamente un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori; se i lavori devono essere eseguiti in base a un contratto che ne prevede il pagamento graduale in funzione del loro progressivo stato di avanzamento, il fondo può essere costituito in relazione ai singoli pagamenti”.
In punto di nullità e annullabilità delle delibere adottate dall’assemblea la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, è granitica nel ritenere che “in tema di condominio degli edifici, l’azione di annullamento delle delibere assembleari costituisce la regola generale, ai sensi dell’art. 1137 c.c., come modificato dall’art. 15 della l. n. 220 del 2012, mentre la categoria della nullità ha un’estensione residuale ed è rinvenibile nelle seguenti ipotesi: mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali, impossibilità dell’oggetto in senso materiale o giuridico – quest’ultima da valutarsi in relazione al “difetto assoluto di attribuzioni” -, contenuto illecito, ossia contrario a “norme imperative” o all'”ordine pubblico” o al “buon costume”. Pertanto, sono nulle le deliberazioni con le quali, a maggioranza, siano stabiliti o modificati i generali criteri di ripartizione delle spese previsti dalla legge o dalla convenzione, da valere per il futuro, trattandosi di materia che esula dalle attribuzioni dell’assemblea previste dall’art. 1135, nn. 2) e 3), c.c., mentre sono meramente annullabili le deliberazioni aventi ad oggetto la ripartizione in concreto tra i condomini delle spese relative alla gestione delle parti e dei servizi comuni adottate in violazione dei criteri generali previsti dalla legge o dalla convenzione stessi, trattandosi di deliberazioni assunte nell’esercizio di dette attribuzioni assembleari, cosicché la relativa impugnazione va proposta nel termine di decadenza previsto dall’art. 1137, comma 2, c.c..”[2].
A fronte di detto orientamento, sono da ritenere nulle le delibere rispetto alle quali è evincibile: a) una mancanza originaria degli elementi costitutivi essenziali nonché b), in caso di impossibilità dell’oggetto in senso materiale o giuridico.
La possibilità o impossibilità dell’oggetto va valutata in relazione alle attribuzioni dell’assemblea, va da sé che la stessa non possa “occuparsi dei beni appartenenti in proprietà esclusiva ai singoli condomini o a terzi, giacchè qualsiasi decisione adottata seguendo il metodo decisionale dell’assemblea, che è il metodo della maggioranza, ma esige il ricorso al metodo contrattuale, fondato sul consenso dei singoli proprietari esclusivi”.
Ne deriva, pertanto, che, come nel caso di specie, è da considerarsi nulla e pertanto slegata dai termini di cui all’art. 1137 c.c., quella determinazione che approvi e provveda alla ripartizione delle spese estranee alla gestione condominiale, ivi compresa quelle relative alla manutenzione di beni in regime di proprietà esclusiva.
Deve ritenersi errata la sentenza di seconde cure laddove accorda ai poteri dell’assemblea la competenza in ordine di spese di manutenzione della frazione dei muri perimetrali esclusi dal novero dei beni comuni, ai sensi dell’art. 1117 c.c., perché di proprietà esclusiva, né la servitù di attraversamento come sopra descritta può essere parimenti idonea a giustificarne l’accollo a sfavore dei singoli condomini.
Ai sensi del predetto art. 1117, comma uno, c.c., nonché come confermato da costante giurisprudenza, i muri maestri o perimetrali, come le facciate di prospetto, di un edificio condominiale, sono, invero, oggetto di proprietà comune, a patto che non risulti il contrario dal titolo.
Il richiamo alle tabelle millesimali del 1961, parimenti non è idonea ad integrare una approvazione per fatti concludenti delle medesime, essendo a tal fine necessaria la forma ab substantiam, così come confermato dalla Corte di legittimità secondo la quale “nondimeno, in base al combinato disposto degli artt. 68 disp. att. c.c. e 1138 c.c., l’atto di approvazione (o di revisione) delle tabelle, avendo veste di deliberazione assembleare, deve rivestire la forma scritta “ad substantiam”, dovendosi, conseguentemente, escludere approvazioni per “facta concludentia””[3].
Inoltre, ove si voglia giustificare la partecipazione dei condomini nelle spese di manutenzione di un bene di proprietà esclusiva – come nel caso di specie perché gravato da servitù in favore del condominio – detta partecipazione può essere ammessa in proporzione con i rispettivi vantaggi.
La sentenza di appello è parimenti errata laddove desume dalla costituzione di un fondo speciale la volontà dell’assemblea di “deliberare un costo dei lavori più contenuto di quelli messi a capitolato” e che “fosse la quantificazione dei lavori approvata”.
Invero l’art. 1135, comma uno, n. 4), c.c., impone la costituzione di un fondo speciale di importo pari all’ammontare dei lavori, come condizione di validità della delibera che approva le opere di manutenzione, la cui effettiva sussistenza deve essere verificata dal giudice in sede di impugnazione della delibera medesima.
In conclusione, è dal tenore letterale della delibera che deve sussumersi il prezzo dei lavori, cui deve equivalere l’ammontare del fondo speciale non potendosi, al contrario, desumersi il prezzo delle opere di manutenzione dall’importo del fondo costituito in concreto.
[1] Cass. Civ. n. 5889/01.
[2] Cass. Civ. SS.UU. n. 9839/21.
[3] Cass. Civ. n. 26042/19
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