L’intestazione fiduciaria di partecipazioni: tra azione di accertamento e presunzioni
di Gian Luca Grossi - Studio Pirola Pennuto Zei & AssociatiMarcello Guerzoni - Studio Pirola Pennuto Zei & Associati Scarica in PDFParole chiave: società di capitali – negozio fiduciario – adempimento negozio fiduciario – interposizione reale – interposizione fittizia – simulazione assoluta – azione di accertamento – titolare effettivo – onere probatorio – prove – presunzioni – quote – riparto finale di liquidazione
Massima: “Nel caso in cui due soggetti si accordino per creare una società di capitali, l’intestazione ad uno di essi della partecipazione dell’altro non dà luogo né ad una fattispecie di interposizione fittizia di persona – che presuppone un accordo simulatorio trilaterale tra stipulante effettivo (interponente), stipulante apparente (interposto) e terzo contraente – atteso che (…) manca il soggetto terzo, né alla simulazione assoluta del contratto costitutivo di società, posto che gli stipulanti intendono davvero realizzare l’effetto della creazione di una persona giuridica con una soggettività distinta e separata da quella dei singoli soci. Ne consegue che l’unico strumento attraverso il quale far emergere la realtà dei rapporti non è quello dell’azione di simulazione, ma quello dell’accertamento (o della richiesta di adempimento) di un negozio fiduciario”.
Disposizioni applicate: 1322, 1362, 2721, 2722, 2725, 2729, 2948 e 2949 c.c.
Con la sentenza in commento, il Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di Impresa, si è espressa su di una controversia riguardante una delle ipotesi di “interposizione reale di persona”, vale a dire, nello specifico, la intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie.
Preme innanzitutto precisare come l’istituto del patto fiduciario sia espressamente regolato dal Legislatore civilistico, solo in tema di disposizioni testamentarie fiduciarie (art. 627 c.c.: norma peraltro già presente anche nel codice civile del 1865, all’art. 829); mentre ha trovato un più ampio spazio nell’ambito delle Leggi speciali, si pensi, in particolare, alle società fiduciarie introdotte con la legge 23 novembre 1939, n. 1966 (ossia “quelle che, comunque denominate, si propongono, sotto forma di impresa, di assumere l’amministrazione dei beni per conto di terzi, l’organizzazione e la revisione contabile di aziende e la rappresentanza dei portatori di azioni e di obbligazioni“).
Tuttavia già la dottrina tradizionale aveva ricostruito il negozio fiduciario come caratterizzato dall’eccedenza del mezzo utilizzato rispetto al fine e dalla possibilità di abuso da parte del fiduciario del diritto trasferitogli. Due sono infatti le più comuni configurazioni di patto fiduciario: con la c.d. “fiducia cum amico”, viene trasferito un determinato bene dal fiduciante al fiduciario, con l’accordo di ritrasferirlo, in un secondo momento, ad un terzo soggetto (beneficiario finale); con la c.d. “fiducia cum creditore”, invece il bene viene trasferito dal titolare al proprio creditore (a scopo di garanzia) con l’impegno di quest’ultimo, una volta estinta l’obbligazione, di restituirlo al debitore. Si rammenta, in proposito, come tale seconda ipotesi potrebbe essere considerata nulla, qualora fossero accertati i caratteri del patto commissorio (art. 2744 c.c.); figura introdotta, come noto, dal Legislatore del 1942 (ma già presente nel codice del commercio del 1882), al fine da un lato di evitare la violazione del principio della par condicio creditorum e dall’altro di tutelare il debitore da situazioni di eccessiva coartazione della volontà negoziale.
Più in particolare, l’intestazione fiduciaria di partecipazioni societarie è stata oggetto di plurime pronunce da parte della Cassazione, secondo la quale “mediante il collegamento di due negozi, parimenti voluti, l’uno di carattere esterno, efficace verso i terzi, e l’altro, “inter partes” ed obbligatorio, diretto a modificare il risultato finale del primo, l’intestazione fiduciaria di quote di partecipazione societaria integra gli estremi dell’interposizione reale di persona, per effetto della quale l’interposto acquista (diversamente dal caso d’interposizione fittizia o simulata) la titolarità delle quote, pur essendo, in virtù di un rapporto interno con l’interponente, tenuto ad osservare un certo comportamento, convenuto in precedenza con il fiduciante, e a ritrasferirgliele ad una scadenza concordata, ovvero al verificarsi di una situazione che determini il venir meno del rapporto fiduciario” (ex multis Cassazione civile 8 settembre 2015, n. 17785). A ben vedere quindi, ad avviso della Corte, si tratterebbe di un’ipotesi di collegamento negoziale fra i) un negozio reale traslativo, a carattere esterno, realmente voluto ed avente efficacia verso i terzi (interposizione reale) e ii) un negozio ad effetti meramente obbligatori (il così detto “pactum fiduciae”), avente carattere interno, ed effetti solo inter partes (sul punto si veda anche Tribunale Roma, Sez. spec. Impresa, 25 agosto 2016).
Nel caso posto all’attenzione del Tribunale di Milano, l’attore asseriva di essere socio dissimulato di una società (una Srl) le cui quote erano state intestate solo fiduciariamente in favore del convenuto nell’ambito di un’ampia operazione di salvataggio del gruppo, facente capo alla famiglia dell’attore (che non avrebbe avuto tuttavia l’esito sperato, in quanto conclusasi con la dichiarazione di fallimento di tutte le società coinvolte). Tuttavia la Srl in questione, alla chiusura della procedura, avrebbe registrato un cospicuo residuo attivo risultante dal bilancio finale di liquidazione, interamente percepito dal proprietario-fiduciario (socio unico della società).
L’attore radicava quindi azione volta all’accertamento da parte del Tribunale della intestazione fiduciaria delle quote, chiedendo, per l’effetto, la condanna del convenuto alla restituzione dell’attivo di liquidazione da quest’ultimo incassato.
Il convenuto, dal canto suo, nella propria comparsa di risposta, chiedeva il rigetto di tutte le domande attoree e, in via riconvenzionale, subordinatamente all’accertamento positivo da parte del Tribunale adito dell’esistenza di un negozio fiduciario fra le parti, l’accertamento di un diritto al compenso in proprio favore per l’attività svolta in qualità di fiduciario.
E’ appena il caso di notare come la fattispecie in esame presenti particolari profili di criticità in punto di onere probatorio, dato sull’attore incombe una sorta di “probatio diabolica”, in quanto nella stragrande maggioranza dei casi è impossibile reperire un documento scritto attestante l’esistenza del patto fiduciario e altrettanto spesso è impossibile darne prova per testimoni.
Ciò posto, il Tribunale di Milano, con la sentenza in commento, si pone in continuità con un orientamento giurisprudenziale, ormai consolidato, secondo il quale il negozio fiduciario, non richiedendo la forma scritta, “non soggiace ai limiti probatori di cui agli artt. 2721 e 2722 né a quelli di cui all’art. 2725 c.c.” (cfr. sul punto Cassazione civile 28 settembre 1994 n. 7899 e Cassazione civile 20 febbraio 2013 n. 4184), conseguendone che “la prova di tale negozio può quindi essere data anche per testimoni e per presunzioni”.
Invero, spiega chiaramente il Tribunale, “non si applicano le disposizioni degli artt. 2721 e 2722 c.c., giacché il “pactum fiduciae” non amplia né modifica il contenuto di un altro negozio – operando esso solo sul piano della creazione di un obbligo ad adempiere a cura del fiduciario – né si applicano le disposizioni dell’art. 2725 c.c., trattandosi di negozio per la cui validità non è richiesta la forma scritta” (cfr., nello stesso senso, Cassazione civile 28 settembre 1994 n. 7899 citata e Tribunale Milano sentenza 2 ottobre 2015).
Il Collegio valutando quindi i mezzi istruttori offerti delle parti ha osservato come “il complessivo materiale processuale offre una serie di elementi presuntivi tutti convergenti … al carattere fiduciario della partecipazione … e del conseguente obbligo del convenuto del trasferimento delle quote in favore dell’attore …elementi presuntivi … la cui valutazione complessiva, proprio per la loro concordanza, depone invece … in senso grave ed univoco …”. A ben vedere il Tribunale ha fatto applicazione del principio secondo il quale le presunzioni semplici, oggetto di libero apprezzamento del giudice, sono ammesse solo laddove “gravi, precise e concordanti” (art. 2729 c.c.), secondo il criterio probabilistico dell'”id quod plerumque accidit“.
Accertato quindi, sulla base degli elementi presuntivi dedotti, il trasferimento fiduciario delle quote, il Collegio ha compiuto un ulteriore passo innanzi, osservando come “se ne può presumere anche la ricorrenza di una intesa tra attore e convenuto in base alla quale il secondo abbia assunto la qualità di socio e amministratore unico dell’ente nel solo interesse del primo, vale a dire come fiduciario di costui, al quale sarebbe stato quindi obbligato a trasferire le quote ove tale interesse lo avesse richiesto e, una volta estinta la società, a trasferire il residuo attivo di liquidazione”. Il tribunale ha quindi concluso per l’accoglimento della domanda attorea.
Ma una volta acclarata l’esistenza di una intestazione fiduciaria delle quote, il Collegio ha proseguito nella propria disamina della fattispecie, concludendo altresì per l’accoglimento della domanda riconvenzionale del convenuto (per l’accertamento di un diritto al compenso per l’attività svolta nella propria veste di fiduciario).
Orbene, ad avviso del Collegio meneghino, dall’esistenza nel caso di specie di un patto fiduciario deriverebbero in buona sostanza due corollari: da un lato, il riconoscimento dell’obbligo in capo al convenuto di ritrasferire all’attore la somma illegittimamente trattenuta a titolo di attivo di liquidazione; dall’altro, l’obbligo in capo all’attore di corrispondere al convenuto il compenso per l’attività prestata, determinata e liquidata “in considerazione della durata dell’incarico e del volume del residuo attivo finale di liquidazione”.
Infine, le spese di lite, in ragione della “reciproca soccombenza”, sono state parzialmente compensate fra le parti.