L’intervento del terzo in un procedimento arbitrale non determina automaticamente un litisconsorzio necessario
di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDFCass., sez. III, 02/07/2024, n. 18197 Pres. Scoditti e Rel. Tassone
Arbitrato – procedimento- intervento di terzo
(artt. 1418, 1344 e 2744 c.c.; 816-quinquies c.p.c.)
Massima: “Nei procedimenti arbitrali, l’intervento di terzi, anche se coinvolti in operazioni collegate al contratto principale, è regolato dall’art. 816-quinquies cod. proc. civ. e non determina automaticamente un litisconsorzio necessario, qualora tali terzi non siano contrattualmente vincolati alla clausola arbitrale.”
CASO
Nel 2007, una società fortemente indebitata vendeva un opificio industriale ad una società di Leasing e Factoring, che, contestualmente, concedeva in locazione finanziaria il medesimo capannone ad una new company, un calzaturificio controllato dalla compagine familiare dell’originaria venditrice.
Veniva, quindi, stipulato un contratto di locazione dell’immobile commerciale tra la new company e l’originaria venditrice, la quale, nel 2012, veniva dichiarata fallita.
La new company conveniva in giudizio la società di leasing, un isituto bancario e gli ex soci della società venditrice, per contestare l’intera operazione negoziale, sostenendo che fosse nulla per frode alla legge, in quanto diretta ad eludere il divieto del patto commissorio (artt. 1418, 1344 e 2744 c.c.). Si constutiva la società di leasing, che sollevava l’eccezione di arbitrato, poi accolta, per la presenza di una clausola arbitrale nel contratto di leasing.
La new company riassumeva la causa dinanzi al collegio arbitrale e, in sede di arbitrato, la società di leasing si costituiva, resistendo.
Nel 2020, il collegio respingeva le pretese dell’istante, che impugnava – senza successo – il lodo arbitrale presso la Corte di Appello.
Parallelamente, la società di leasing instaurava un secondo arbitrato, per ottenere la risoluzione del contratto di leasing, per inadempimento della società utilizzatrice, con condanna della stessa alla restituzione, in favore della concedente, dell’opificio.
Anche questa decisione, favorevole alla società di leasing, veniva impugnata dalla new company in Corte d’Appello, che respingeva l’impugnazione.
Avverso tale sentenza, la soccombente proponeva ricorso per cassazione, affidato a due motivi.
Con il primo motivo la società ricorrente denunciava la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 39 e 273 c.p.c. – e, quindi, l’interdipendenza tra le due cause in essere e mancata rilevazione della litispendenza e/o continenza sussistente. Lamentava, in particolare, che la Corte d’Appello non avesse rilevato la litispendenza con l’altro giudizio pendente presso la medesima Corte.
Con il secondo motivo denunciava la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 102 e 103 c.p.c. e 1418, 1344 e 2744 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c. e, quindi, il mancato pronunciamento sull’eccezione e sulla domanda di nullità promossa dalla new company. Più nello specifico, sosteneva che la corte territoriale non aveva accolto la propria eccezione di improcedibilità del lodo arbitrale perché, erroneamente, non aveva ravvisato la necessarietà del litisconsorzio; in alternativa la Corte d’Appello avrebbe dovuto pronunciare sull’operazione trilaterale di cui alla domanda riconvenzionale, ricorrendo – quanto meno – un litisconsorzio facoltativo.
SOLUZIONE
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la legittimità delle decisioni impugnate.
QUESTIONI
Quanto al primo motivo, la Suprema Corte non lo accoglie, affermando che l’identità di due cause pendenti davanti allo stesso giudice non può essere ricondotta al rapporto di litispendenza, di cui all’art. 39, comma primo, c.p.c.., che presuppone la contemporanea pendenza della “stessa causa” dinnanzi a “giudici diversi”. La fattispecie va, al contrario, inquadrata all’interno del disposto dell’art. 274 c.p.c.. che, nel caso di identità di cause pendenti dinnanzi allo stesso giudice, consente e prescrive la loro riunione (Cass., 16 maggio 2006, n. 11357).
Aggiunge che, in ogni caso, la violazione del dovere di riunione non determina nullità della sentenza, in quanto attinente al mero ordine interno di trattazione delle cause, e non ad una fase dell’iter formativo del convincimento del giudice (Cass., 16 maggio 2006, n. 11357; Cass., 22 giugno 2007, n. 14607).
Anche il secondo motivo viene giudicato infondato, in quanto la clausola arbitrale è contenuta nel contratto di leasing – stipulato tra la società di Leasing e l’utilizzatrice dell’immobile – rispetto al quale la società ,prima venditrice e poi subconduttrice dell’immobile, è rimasta estranea.
Il terzo rispetto al contratto di leasing non è, dunque, vincolato dalla convenzione d’arbitrato e non è parte necessaria del giudizio arbitrale, in cui eventualmente può intervenire alle condizioni previste dall’art. 816-quinquies c.p.c., disposizione che, tuttavia, non risulta essere stata invocata nel caso in esame.
I termini della questione non cambiano, a maggior ragione, anche in riferimento all’evocata sussistenza di un litisconsorzio facoltativo.
Va ricordato che, a norma del secondo comma dell’art. 816 quinquies c.p.c., l’intervento coattivo deve ritenersi ammissibile solo su istanza di parte. Gli arbitri, infatti, non possono disporre in tal senso direttamente, perché sono privi di potere di imperium. Nulla vieta loro di dare comunicazione al terzo della pendenza della lite, affinché valuti l’opportunità di intervenire. Se il terzo non è vincolato alla clausola compromissoria, non sarà possibile convenirlo in arbitrato, senza il suo consenso, senza il consenso delle altre parti e degli arbitri.
Gli arbitri possono disporre l’intervento del terzo (che ribadiamo non può prescindere dal consenso del terzo chiamato) senza che possano applicarsi le conseguenze previste dall’art. 270, 2° co. (estinzione della causa per inattività delle parti), che dovrebbero produrre l’improcedibilità dell’arbitrato, qualora nessuna delle parti provveda alla chiamata. Pertanto, l’inottemperanza delle parti al provvedimento degli arbitri sarà senza rilievo sull’arbitrato che potrà proseguire senza ostacoli e con le parti originarie.
Diverso è il caso del litisconsorte necessario pretermesso. In tale ipotesi, il terzo può sempre intervenire, sia che abbia sottoscritto l’accordo compromissorio, sia che non l’abbia sottoscritto, senza necessità di consenso alcuno (Marengo, Processo arbitrale, in Riv. Arb., 2005, 802; Odorisio, Prime osservazioni alla nuova disciplina dell’arbitrato, in Riv. Dir. Proc., 2006, 262). Se, invece, ha sottoscritto la clausola compromissoria, la chiamata nel procedimento arbitrale può avvenire ad opera delle parti direttamente o in conseguenza dell’ordine degli arbitri di integrare il contraddittorio. Non può, invece, essere obbligato a partecipare al processo arbitrale il terzo che non abbia sottoscritto l’accordo compromissorio.
La conseguenza della mancata integrazione del contraddittorio è l’improcedibilità dell’arbitrato, per interpretazione analogica dell’art. 816 quater, ult. co. (Verde, Lineamenti di diritto dell’arbitrato, Torino, 2006, 110). In conseguenza della dichiarazione di improcedibilità, ciascuna delle parti potrà adire l’autorità giudiziaria ordinaria.
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