L’insostenibile leggerezza del conferimento di “moneta virtuale” nella liberazione dell’aumento di capitale sociale a pagamento
di Gian Luca Grossi - Studio Pirola Pennuto Zei & AssociatiMarcello Guerzoni - Studio Pirola Pennuto Zei & Associati Scarica in PDFDecreto Tribunale Brescia (Sezione Specializzata in materia di imprese) del 18 luglio 2017
Parole chiave: moneta virtuale – criptovaluta – aumento di capitale a pagamento – liberazione dell’aumento mediante conferimento in natura – relazione di stima – iscrivibilità della delibera di aumento
“Non va accolto il ricorso proposto ex art. 2436 comma 3 c.c. proposto dall’amministratore unico di una società avverso il rifiuto del notaio di provvedere all’iscrizione nel Registro delle Imprese della delibera assembleare di aumento del capitale sociale mediante il conferimento di moneta virtuale. Infatti la moneta virtuale, ad oggi, non presenta i requisiti minimi per potere essere assimilata ad un bene suscettibile in concreto di una valutazione economica attendibile.”
Disposizioni applicate: 2436 c. 3; 2464 c. 2; 2465; 2480 e 2481 bis c.c..
Il Decreto del Tribunale di Brescia (Sez. specializzata in materia di impresa), in commento, pone un tema di grande attualità, se sia possibile o meno liberare un aumento di capitale a pagamento (art. 2481 bis c.c.), conferendo moneta virtuale (cosiddette criptovalute o bitcoin, quest’ultima la criptovaluta ampiamente più diffusa).
Per addentrarci nella disamina della pronuncia si ritiene di dover introdurre, ancorché succintamente, lo “stato dell’arte” in materia di moneta virtuale, la quale ricomprende un insieme assai eterogeneo di monete (“non aventi corso legale” secondo l’accezione attribuita al sintagma dagli artt. 1277 e 1278 c.c.), dotate di caratteristiche ed utilità diverse fra loro.
Autorevole, in proposito, è la tassonomia operata della Banca Centrale Europea basata essenzialmente sulle modalità di interazione con le monete correnti e con l’economia “reale”, la quale distingue fra: i) moneta virtuale chiusa, destinata all’utilizzo unicamente all’interno di una determinata comunità virtuale; ii) moneta virtuale unidirezionale la quale può essere acquistata anche con denaro reale ad un tasso di cambio, ma che non può però essere convertita nuovamente in moneta reale (si pensi agli “Amazon Coins”, crediti spendibili per soli acquisti sul sito dell’emittente); iii) moneta virtuale bidirezionale, ossia perfettamente fungibile in valuta reale sulla base di tassi di cambio ufficiali ed utilizzabile per acquisti (si pensi ai “Bitcoin”, sopra citati).
Il nostro legislatore ha peraltro introdotto il concetto di valuta virtuale, in attuazione della Direttiva UE 2015/859, con l’emanazione del D.lgs. 25 maggio 2017 n. 90 (che ha riscritto, in parte, la normativa antiriciclaggio, D.lgs. 231/2007). La Legge citata definisce valuta virtuale: “la rappresentazione digitale di valore, non emessa da una banca centrale o da un’autorità pubblica, non necessariamente collegata a una valuta avente corso legale, utilizzata come mezzo di scambio per l’acquisto di beni e servizi e trasferita, archiviata e negoziata elettronicamente”.
Delineato quindi il concetto, con la pronuncia in commento, il Collegio bresciano ha subito cura di precisare come “non sia in discussione l’idoneità della categoria di beni rappresentata dalle criptovalute a costituire elemento di attivo idoneo al conferimento nel capitale di una S.r.l., bensì il bene concretamente conferito nel caso di specie (la valuta virtuale denominata…) soddisfi i requisiti di cui all’art. 2464, comma secondo c.c.”. La pronuncia de qua, offre quindi interessanti spunti per riflettere sulla sempre crescente utilità (rectius esigenza) per l’imprenditore di avvalersi, nel corso della vita sociale, di strumenti alternativi rispetto al denaro al fine di alimentare la prosecuzione della vita sociale.
Nel caso in esame era infatti stato proposto ricorso da parte dell’Amministratore Unico della società, ai sensi dell’art. 2436 c. 3 c.c., avverso il rifiuto da parte del Notaio rogante di iscrivere nel Registro Imprese una delibera con la quale una S.r.l. avrebbe aumentato proporzionalmente il proprio capitale da € 10.000 a € 1.410.000; detto aumento sarebbe stato liberato mediante conferimento in natura di opere d’arte per un valore stimato di € 686.000 e per i restanti € 714.000 mediante moneta virtuale.
Si ricorda, in proposito, come al Notaio spetti un controllo di legalità in base al quale questi può negare l’iscrizione delle delibera ritenendola non sufficientemente dotata dei requisiti di legittimità in quanto, come nella fattispecie, le criptovalute “stante la loro volatilità non consentono una valutazione concreta del quantum destinato alla liberazione dell’aumento di capitale sottoscritto né di valutare l’effettività (quomodo) del conferimento”.
Il quesito di ordine generale che ci si potrebbe porre è quindi se la moneta virtuale, quale strumento, fondato sul principio della decentralizzazione e digitalizzazione della moneta, soddisfi i requisiti di cui all’art. 2464 c. 2 c.c. posti dal Legislatore a salvaguardia dell’integrità ed effettività del capitale sociale, posto che evidentemente la moneta virtuale non è, allo stato, in alcun modo assimilabile al denaro per le ragioni che si esporranno innanzi.
Vedremo come la risposta al quesito non può essere univoca ma il Collegio offre interessanti spunti dai quali trarre alcuni principi e considerazioni de iure condendo.
E’ noto innanzitutto che Legislatore abbia previsto per le S.r.l. una disciplina meno rigida di quella prevista per le entità conferibili nelle S.p.a. valendo per le prime il principio secondo il quale, “possono essere conferiti tutti gli elementi dell’attivo suscettibili di valutazione economica” (art. 2464 c. 2 c.c.); mentre per le seconde il Legislatore ha imposto, fra l’altro, un divieto generale di conferimento di opera e di servizi, ciò a dire che il socio potrà effettuare apporti ma che detti apporti non saranno capitalizzabili (il socio potrà ricevere in “concambio” per tal apporti strumenti finanziari partecipativi, ma non azioni).
Occorre quindi, in prima battuta, inquadrare la natura giuridica del conferimento di moneta virtuale: assimilabile al conferimento in natura di crediti e quindi soggetta alla disciplina di cui all’art. 2465 c.c. in base alla quale, nel caso in cui il socio intenda conferire beni in natura ovvero crediti sarà necessaria una relazione giurata di stima (ex art. 2465 c.c.). Tuttavia a differenza del conferimento di beni in natura e/o di crediti, da liberarsi integralmente al momento della sottoscrizione, e per il quale è sufficiente la “mera” relazione giurata (art. 2465 c.c.); il Collegio aggiunge un altro tassello laddove osserva come, nel caso in esame, occorre “indagare la natura e le caratteristiche in concerto della singola criptovaluta oggetto di conferimento come descritte nella perizia ed emerse nel corso del procedimento”. E tale sindacato avviene sulla base di tre requisiti che ogni bene conferito dovrebbe possedere: i) l’idoneità ad essere oggetto di valutazione, prescindendo dalle sue potenziali oscillazioni ii) l’esistenza di un mercato tale dal poter rappresentare una base di partenza per la valutazione e successiva stima della liquidità del bene iii) la possibilità di essere aggredito in executivis da parte dei creditori sociali.
Dacché, osserva il Tribunale, la perizia di stima, presentata dalla ricorrente non presentava quei requisiti minimi di attendibilità tali da poterla qualificare come idonea ai sensi del 2465 c.c., in quanto con riferimento al requisito i) “non è ad oggi presente in alcuna piattaforma di scambio … tra criptovalute e monete aventi corso legale, con la conseguente impossibilità di fare affidamento su prezzi attendibili in quanto discendenti da dinamiche di mercato”, da ciò “ne deriva, dunque, un carattere prima facie autoreferenziale dell’elemento attivo conferito”. Inoltre la relazione si limitava ad indicare un “valore normale” della criptovaluta, guarda caso, coincidente con la quotazione più alta presente sul sito internet/piattaforma di scambio. Infine, circa il requisito iii) concernente l’eventuale possibilità per i creditori di agire esecutivamente sul bene, anch’esso “risulta parimenti trascurato dalla perizia”, dal momento che manca nella relazione di stima del bene una qualsivoglia previsione in ordine alle ipotetiche modalità con le quali pignorare la criptovaluta oggetto del conferimento.
Il Collegio bresciano ha quindi rigettato il ricorso proposto dall’Amministratore unico della società sulla base della considerazione (ampiamente condivisibile) secondo cui la moneta virtuale quale quella conferita nel caso di specie, mancando dei requisiti sopra esposti, “non è assimilabile a un bene suscettibile in concreto di una valutazione economica attendibile”.
È pur vero, tuttavia, che il Tribunale dichiara illegittimo il conferimento di criptovaluta, ma sottolinea anche che “non è in discussione l’idoneità della categoria dei beni”. Si tratta, dunque, di una presa di posizione su un singolo caso che presenta particolari caratteristiche: una perizia con diversi elementi di indeterminatezza e un particolare tipo di criptovaluta non presente in alcuna piattaforma di scambio.
Si può ragionevolmente arguire, che allorquando un socio intenda conferire criptovaluta, nel vaglio di legittimità in ordine al conferimento sarà fondamentale una perizia dettagliata e completa indicante i criteri di valutazione adottati. Considerata infatti la peculiarità del bene oggetto di conferimento, caratterizzato da un elevato grado una volatilità intrinseca e dalla possibilità di prestarsi a comportamenti manipolatori del suo valore (in ragione della digitalizzazione e decentralizzazione).
Come sottolineato peraltro anche dalla pronuncia in commento il valore della moneta virtuale e il relativo tasso di cambio possono subire forti oscillazioni. Ne deriva, volgendo l’attenzione su aspetti meramente pratici, che se oggi conferissi nel capitale di una S.r.l. un valore in moneta virtuale e nel corso dell’esercizio l’asset conferito si svalutasse (perdita durevole di valore), impattando negativamente sul risultato d’esercizio con perdita oltre il terzo del capitale ovvero al di sotto del minimo legale, ciò comporterebbe l’attivazione di tutti i meccanismi di tutela (2482 bis, 2482 ter c.c.) per i quali il Legislatore impone l’alternativa fra la riduzione proporzionale e la contestuale ricapitalizzazione; trasformazione regressiva ovvero scioglimento, allorquando non sia possibile portare a nuovo la perdita.
D’altro canto, è indiscutibile come nelle odierne prassi commerciali quello della criptovaluta sia un prezioso strumento, di crescente interesse non solo per gli operatori economici. Tant’è vero che di recente si è interessata (e non poteva essere altrimenti) anche l’Amministrazione finanziaria laddove ha affermato che occorre tener conto, ai fini della dichiarazione dei redditi, del possesso di moneta virtuale (cfr. Risoluzione n. 72/E del 2 settembre 2016 dell’Agenzia delle Entrate).
La Banca d’Italia non manca infine di ammonire i consumatori circa le problematiche nascenti dal crescente utilizzo di moneta virtuale sottolineando i possibili rischi connessi “di perdite permanenti delle somme …, attacchi informatici, smarrimento della password del portafoglio elettronico; mancanza di tutele legali e contrattuali, di obblighi informativi e di presidi di trasparenza, oltre che forme di tutela o garanzia delle somme impiegate, dato che l’attuale ordinamento non prevede specifiche forme di protezione o garanzie legali delle Autorità … il rischio connesso all’utilizzo delle valute virtuali per finalità criminali e illecite, incluso il riciclaggio di denaro”. Ed avvertendo i consumatori su come le valute virtuali siano “prodotti estremamente rischiosi e speculativi; che la formazione del loro prezzo è spesso non trasparente; che vi sono chiari segnali di una bolla nei prezzi di queste valute” (cfr. Banca d’Italia “Avvertenza per i consumatori sui rischi delle valute virtuali da parte delle Autorità europee” del 19 marzo 2018 e, meno di recente, del 30 gennaio 2015)
Insomma, moneta virtuale, sì, ma con grande cautela, e non solo per quanto concerne i conferimenti in società; de iure condendo si auspica una regolamentazione interna del fenomeno anche sulla base delle preziose indicazioni ed osservazioni della Banca d’Italia.