23 Novembre 2021

L’ingiustificata interruzione delle trattative implica la risarcibilità dell’interesse negativo

di Martina Mazzei, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. II, ord. 27 ottobre 2021, n. 30186 – Pres. Manna – Rel. Carratto

[1] Responsabilità civile – Responsabilità precontrattuale – Risarcimento del danno – Interesse negativo – Interruzione delle trattative

 (Cod. civ. art. 1337)

[1] “In tema di responsabilità precontrattuale il pregiudizio risarcibile è circoscritto (ed a tal fine il giudice di rinvio dovrà operare le relative necessarie valutazioni) nei limiti dello stretto interesse negativo (contrapposto all’interesse all’adempimento), rappresentato sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto, sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso, e dunque non comprende, in particolare, il lucro cessante risarcibile se il contratto non fosse stato poi adempiuto o fosse stato risolto per colpa della controparte.” 

CASO

[1] Il caso origina dalla decisione con cui il Tribunale di Velletri ha accolto la domanda di accertamento negativo proposta dalla W.R. s.p.a. per l’insussistenza di un credito vantato dalla società Q.P. relativo ad un’attività professionale; e ha rigettato, invece, la domanda riconvenzionale proposta dalla Q.P. relativa all’esecuzione della prestazione oltre al risarcimento del danno a titolo di responsabilità precontrattuale.

La Corte d’appello di Roma, in accoglimento del gravame avanzato dalla Q.P e in riforma della pronuncia di primo grado, condannava la W.R. al pagamento in favore dell’appellante della somma di euro 11.693,00 per l’attività professionale svolta e per l’ingiustificata interruzione delle trattative da parte della W.R. produttiva di responsabilità precontrattuale a suo carico.

Avverso la suddetta sentenza la W.R. S.p.a proponeva ricorso per cassazione affidando le sue doglianze a due motivi.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata.

La seconda sezione, in particolare, ha sottolineato che sebbene la Corte di appello avesse impostato il suo ragionamento logico-argomentativo sulla base del presupposto giuridico esatto per cui l’interruzione ingiustificata delle trattative, ad opera della W. R., configura un’ipotesi di responsabilità precontrattuale; tuttavia essa non ne ha tratto le giuste conseguenze in ordine alla determinazione dei relativi danni riconducibili in quanto, pur avendo correttamente fatto riferimento alla necessità di ricorrere al criterio dell’interesse negativo, ha poi proceduto ad una liquidazione del danno correlato, invece, all’interesse positivo, ovvero rapportato alla misura del compenso spettante per l’attività già parzialmente eseguita.

QUESTIONI

[1] L’ordinanza in commento offre lo spunto per fare delle considerazioni sulla responsabilità precontrattuale e sul relativo pregiudizio risarcibile.

Durante la fase delle trattative – o, comunque, nella fase che precede la conclusione del contratto – il comportamento doloso o colposo di una delle parti in danno dell’altra, violativo del precetto di buona fede e quindi lesivo dell’altrui libertà negoziale, determina l’insorgere della responsabilità precontrattuale. La ratio di tale responsabilità è quella di tutelare la libertà di autodeterminazione negoziale. Attraverso la previsione della responsabilità precontrattuale, infatti, l’ordinamento tutela l’interesse a che la controparte, con cui si sta trattando, si comporti correttamente in modo da garantire la libera esplicazione dell’autonomia negoziale.

La giurisprudenza, affinché si configuri la responsabilità precontrattuale, richiede la sussistenza di alcuni requisiti. (Cass. civ. 15 aprile 2016 n. 7545; Cass. civ. 29 marzo 2007 n. 7768)

In primo luogo tra le parti devono essere in corso delle trattative e tali trattative devono essere giunte ad uno stadio tale da ingenerare, nella parte che invoca l’altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto. Tali trattative, inoltre, devono essere state interrotte, senza giustificato motivo, dalla parte cui si addebita la responsabilità. E, infine, secondo l’ordinaria diligenza, non devono sussistere, per la parte che invoca la responsabilità, fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.

Il fondamento codicistico della responsabilità precontrattuale risiede in due previsioni del codice civile: gli artt. 1337 e 1338.

L’art. 1337 c.c., in particolare, prevede che la violazione della regola di comportamento che impone alle parti il dovere di comportarsi secondo buona fede, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto, determini l’insorgere della responsabilità precontrattuale. L’art. 1337 c.c. sancisce, quindi, il principio di buona fede oggettiva.

La buona fede in senso oggettivo viene in rilievo all’art. 1175 c.c. quale regola di condotta in forza della quale è imposto ai soggetti dell’obbligazione di modellare il reciproco comportamento, sulla scorta dei canoni di lealtà e correttezza, al fine di porre in essere una condotta che non si limiti a soddisfare gli interessi dei soggetti ma che realizzi, altresì, il fine di assicurare uno spostamento di ricchezza conforme a giustizia.

La buona fede oggettiva, quale sinonimo di correttezza, alla luce del dettato costituzionale di cui all’art 2, è un canone di comportamento e, pur essendo una clausola elastica, è fonte di precisi obblighi comportamentali finalizzati alla salvaguardia della sfera giuridica della controparte.

In un primo momento gli interpreti hanno cercato di tipizzare questi obblighi al fine di individuare con precisione le regole comportamentali incombenti sulle parti nella fase che precede la formazione del contratto successivamente, invece, è emersa l’idea che qualunque comportamento sleale, tenuto nella fase precedente alla conclusione del contratto, possa essere fonte di responsabilità.

Sono emersi così – accanto all’obbligo fondamentale, tradizionalmente ricondotto nell’alveo dell’art. 1337 c.c., di non recedere ingiustificatamente dalle trattative volto a tutelare l’interesse della parte a non essere coinvolto in trattative inutili e a quello specifico tipizzato dall’art. 1338 c.c. – una serie di altri obblighi di varia natura (obblighi di informazione, di segretezza, di collaborazione, di chiarezza) la cui caratteristica principale rimane il carattere aperto cioè la possibilità di ampliarsi fino a comprendere qualsiasi comportamento tenuto in fase precontrattuale che sia contrario a buona fede e in grado, quindi, di danneggiare la libertà negoziale dell’altra parte.

Secondo quest’interpretazione estensiva, qualunque comportamento precontrattuale violativo della clausola generale di buona fede è fonte di responsabilità precontrattuale e allora la responsabilità precontrattuale, basandosi su una clausola generale, è una forma di responsabilità atipica ed elastica.

Indubbiamente il primo – e per lungo tempo il principale – obbligo precontrattuale discendente al dovere di buona fede è quello, ex art. 1337 c.c., di non recedere ingiustificatamente dalle trattative precontrattuali.

Il dovere di buona fede è posto a tutela dell’affidamento incolpevole della controparte che, in relazione alla durata e alla serietà delle trattative, è normalmente portata a fare progressivamente affidamento sull’esito positivo della contrattazione. Fino al momento della conclusione del contratto la parte è libera di non concludere ritirandosi dalle trattative ma deve farlo in modo da non pregiudicare ingiustificatamente le ragioni legittime della controparte pena il risarcimento del danno patito da quest’ultima per effetto del recesso.

Infatti i presupposti dell’obbligo risarcitorio in caso di recesso dalle trattative sono proprio la presenza di un affidamento incolpevole della controparte e l’assenza di un giustificato motivo di recesso.

Il danno che la controparte dovrà risarcire è apprezzabile nei limiti dell’interesse negativo e, quindi, nei limiti dell’interesse della parte ad essere riportata nella stessa condizione in cui si sarebbe trovata se non avesse intrapreso le trattative. (Cass. civ. 3 dicembre 2015 n. 24625; Cass. civ. 10 giugno 2005 n. 12313).

Detto interesse negativo, come ribadito dalla Corte di Cassazione nella pronuncia in epigrafe, è rappresentato sia dalle spese inutilmente sopportate nel corso delle trattative in vista della conclusione del contratto, sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto o maggiormente vantaggioso, e dunque non comprende, in particolare, il lucro cessante risarcibile se il contratto non fosse stato poi adempiuto o fosse stato risolto per colpa della controparte.

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