“L’influenza” del Covid 19 sulle obbligazioni dei contratti ad esecuzione differita e continuata o periodica
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFInquadramento generale del problema: l’adempimento dell’obbligazione ai tempi del corona virus
L’attuale situazione di emergenza epidemiologica derivante dalla pandemia conseguente al Covid 19 (meglio nota come “corona virus”), investe com’è ovvio non solo le problematiche concernenti la tutela della salute pubblica, ma anche la sorte delle obbligazioni e dei contratti.
Recentemente l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ha qualificato l’infezione Covid 19, portandola da epidemia a pandemia, in quanto il contagio non risulta più circoscritto all’interno dei confini nazionali dei singoli stati, ma è divenuto oramai mondiale.
Da un punto di vista scientifico, l’epidemia è una manifestazione frequente di una malattia avente una durata limitata nel tempo: “particolare malattia infettiva che, sviluppatasi in maniera più o meno brusca (più o meno rapidamente), per cause che non siano abituali, costanti o periodiche, colpisce gruppi rilevanti di popolazione per poi attenuarsi dopo aver compiuto il suo corso[1]. Invece, la pandemia è la diffusione di una malattia infettiva in più Stati o in più diversi continenti, caratterizzata da una diffusione incontrollata, che si basa prevalentemente sulla sua estensione geografica: se più continenti sono rapidamente e contestualmente interessati da uno stesso ceppo influenzale, allora deve essere dichiarato lo stato di pandemia, senza che si debba necessariamente verificare prima un’alta mortalità.
Nel preambolo dello Statuto dell’OMS i principi alla base dell’Organizzazione “in conformity with the Charter of the United Nations”, sono fondamentali per il raggiungimento di obiettivi posti anche dalla Carta, posto che la tutela della salute delle persone risulta fondamentale per il mantenimento della pace e della sicurezza[2]; con evidenti conseguenze legate alla contingenza che deriva dall’applicabilità del sistema sanzionatorio di cui all’art. 41 della Carta dell’ONU, in ipotesi di violazione degli obblighi imposti dall’OMS[3].
Fortunatamente, dottrina e la giurisprudenza italiana recenti non hanno avuto occasione di occuparsi del problema, se è vero, com’è vero, che la generale situazione di “benessere” (inteso, nella sua accezione più ampia: stato di “salute” del nostro Paese) non ha conosciuto precedenti al riguardo.
Tuttavia, il peso del problema attuale e soprattutto dei recenti interventi legislativi di contenimento (circoscrizione dell’epidemia) attraverso drastici provvedimenti legislativi- che richiamano per l’appunto i dettami dell’OMS – sotto forma di decreti della Presidenza del consiglio dei ministri – investono plurimi settori dell’economia e quindi attengono direttamente anche all’area del diritto interno ed internazionale.
Si potrebbe disquisire in ordine alla correttezza dello strumento legislativo adoperato al riguardo DPCM (decreti presidenza consiglio dei ministri), rispetto alla legge e/o alla decretazione d’urgenza (decreto legge), specie per il rango gerarchicamente inferiore dello strumento legislativo prescelto, nelle fonti normative e quindi non in grado (strictu sensu) di limitare diritti e libertà fondamentali (libertà, circolazione e soggiorno, riunione…), come quelle costituzionalmente garantite, ma di fronte all’emergenza sanitaria ed all’urgenza, pare disquisizione puramente retorica ed accademica, comunque di poco momento.
Ciò nondimeno l’attuale situazione di emergenza sanitaria, impone il bilanciamento di interessi di pari rango, quale il rispetto del diritto alla salute ex art. 32 Cost. e quello alla vita, che seppur non espressamente previsto è il diritto primario e si inserisce tra quelli inviolabili ex articolo 2 Cost.
Di tal che occorre interrogarsi se l’attuale stato di emergenza, imposto dalle esigenze di tutela della salute pubblica e comportante “la paralisi dell’attività economica”, possa di fatto investire le obbligazioni ed in particolare l’adempimento e così determinare l’interruzione del sinallagma e, se in tal senso, gli obblighi correlati alla mancata prestazione del debitore, nei contratti ad esecuzione continuata e/o periodica, possano trovare giuridica giustificazione.
Modi di estinzione dell’obbligazione diversi dall’adempimento: impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore art. 1256 c.c.
Tra gli istituti previsti in materia di obbligazioni e contratti, l’articolo 1256 c.c. distingue le differenti ipotesi di impossibilità definitiva e/o temporanea della prestazione, prevedendo in quest’ultimo caso, che l’obbligazione non si estingue ed il debitore non sarà responsabile per il ritardo – a meno che il tempo dell’adempimento non dovesse considerarsi essenziale [4].
Così come l’articolo 1258 c.c. regolamenta il differente caso in cui l’impossibilità risulti soltanto parziale, potendo il debitore liberarsi eseguendo la prestazione per la parte rimasta possibile.
Risulta parimenti noto che le conseguenze dell’inadempimento in capo al debitore sono la responsabilità e l’obbligo di risarcire il danno, tuttavia funge da corollario a tale principio, la circostanza che il debitore possa dimostrare che la mancata esecuzione della prestazione è stata determinata da sopravvenuta impossibilità per causa a lui non imputabile.
In altri termini, mentre il creditore deve solo dimostrare il fatto oggettivo dell’inadempimento, il debitore per liberarsi dai suoi obblighi deve provare l’impossibilità oggettiva della prestazione e che essa sia dipesa da causa a lui non imputabile, ossia ricollegabile ad un evento non “prevedibile ed evitabile”, comunemente inquadrato come: caso fortuito e/o forza maggiore.
In dottrina, si suole distinguere accademicamente individuando il caso fortuito, con il concetto di “fatalità” (terremoto, tempesta, valanga, etc …) e la forza maggiore, con una forza della natura o umana (il fatto del terzo o l’ordine della pubblica autorità, quest’ultimo denominato “factum principis”).
L’esame dell’articolo 1256 c.c. comporta che, mentre l’impossibilità sopravvenuta definitiva determina l’estinzione dell’obbligazione e la restituzione della controprestazione già eventualmente eseguita, quella temporanea, determina la possibilità che l’obbligazione possa essere eseguita “non appena possibile”, salva la mancanza di interesse del creditore a conseguirla in ragione del ritardo ad essa collegata (si veda esempio in nota 4).
In tale ultimo caso, impossibilità temporanea nell’esecuzione della prestazione, il debitore non sarà considerato responsabile del ritardo nell’inadempimento e quindi non sarà tenuto al risarcimento dei danni, potendo, peraltro, il creditore anche domandare una riduzione della propria controprestazione ex articolo 1464 c.c.
Risoluzione del contratto: eccessiva onerosità art. 1467 c.c.
Secondo l’approccio pragmatico della dottrina, nei contratti a prestazioni corrispettive c’è uno specifico rapporto di equivalenza economica tra le prestazioni dei rispettivi contraenti, ossia tra il valore economico dell’una e dell’altra; per descrivere questo rapporto di equivalenza si attribuisce la categoria di “contratti commutativi”.
Il fenomeno della commutatività si manifesta in tutta evidenza nei contratti ad esecuzione differita o a esecuzione continuata o periodica, laddove lo squilibrio delle prestazioni, può derivare dal manifestarsi di fatti straordinari ed imprevedibili, in ragione dei quali la prestazione di una delle due parti diventi “eccessivamente onerosa”.
Proprio per questo, l’ordinamento consente alla parte la cui prestazione diventi eccessivamente onerosa, la risoluzione del contrato ex articolo 1467 primo comma, c.c., ed alla controparte, la possibilità di evitare la risoluzione, offrendo di “modificare equamente le condizioni del contratto ex art. 1467 terzo comma c.c., ovvero di accrescere l’ammontare della propria prestazione, riconducendo il contratto ad equità.
La caratteristica dell’onerosità sopravvenuta deve essere “eccessiva” ossia “determinare un forte squilibrio delle due prestazioni e deve dipendere da un evento “straordinario ed imprevedibile”; infatti l’articolo 1467 c.c. non si applica ai contratti aleatori ed a quei contratti in cui la prestazione non sia già stata interamente eseguita.
L’influenza del Covid 19 sull’adempimento delle obbligazioni (la locazione).
Esaurito l’esame delle norme previste dall’ordinamento a tutela dei contraenti nei contratti con obbligazioni corrispettive e precisato il perimetro di applicazione degli istituti, occorre verificare se l’attuale evento pandemico emergenziale legato al Covid 19, possa determinare la concreta applicazione delle norme citate sui contratti ad esecuzione differita e continuata o periodica.
Il fenomeno è sicuramente nuovo e di molto più grave, rispetto alle precedenti emergenze sanitarie: la pandemia da influenza suina causata dal nuovo virus A/H1N1 (aprile 2009, PHEIC, Public Health Emergency of International Concern, dichiarata dall’OMS)[5], cosicchè occorre accertare se, ai fini dell’applicazione degli istituti richiamati, la pandemia possa qualificarsi come “evento di forza maggiore”.
In questo senso, nei contratti di vendita internazionali di beni, la Convenzione di Vienna 11.4.1980 (art.79) e la Camera di Commercio Internazionale in materia di adempimenti commerciali, hanno qualificato in generale l’epidemia tra gli eventi costituenti causa di forza maggiore, ai fini di giustificare l’inadempimento dei debitori e quindi non applicare le “sanzioni” della responsabilità per inadempimento ed il risarcimento dei danni.
Dal punto di vista normativo, anche il legislatore nazionale si è occupato del problema, con DL n.18 del 17.3.2020, con gli articoli 65, 88 e 95, individua le “ misure di sostegno “, rispettivamente:
art. 65, per gli esercenti attività d’impresa, relativamente agli immobili rientranti in categoria catastale C/1 (“negozi e botteghe”), riconoscendo un credito d’imposta del 60% per il solo mese di marzo;
art. 88, rimborso contratti di soggiorno e risoluzione contratti di acquisto biglietti spettacoli musicali ed altri luoghi di cultura, con espressa applicazione articolo 1462 c.c. (impossibilità totale sopravvenuta della prestazione), in ragione dell’applicazione del DPCM 8/3/2020;
art. 95, sospensione canoni di affitto per federazioni, società associazioni sportive per concessione affidamento impianti sportivi pubblici e di enti territoriali.
A fronte di tale panorama normativo occorrerà ragionare se risulti o meno ipotizzabile mutuare analogicamente ed in forza di interpretazione ermeneutica l’applicazione di tutte le norme richiamate in ambito delle locazioni commerciali, interrogandosi se l’attuale situazione emergenziale comporti o meno la sospensione nel pagamento dei canoni anche per le locazioni commerciali.
Il più recente e moderno orientamento giurisprudenziale creatosi nella Suprema Corte [6] opera una sempre più incisiva valorizzazione del dettato costituzionale nel quadro dei rapporti tra privati (dovere di solidarietà nei rapporti intersoggettivi, principio di inesigibilità quale limite alle pretese creditorie) ed in tal guisa, si è affermato che: la risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta della prestazione può essere invocata da entrambe le parti del rapporto obbligatorio sinallagmatico, e cioè sia dalla parte la cui prestazione sia divenuta impossibile sia da quella la cui prestazione sia rimasta possibile.
Inoltre, seguendo i principali orientamenti dottrinari, la Suprema Corte ha esaltato il concetto della “causa negoziale concreta” nel suo aspetto dinamico e funzionale[7], affermando che: “la figura dell’impossibilità di utilizzazione della prestazione da parte del creditore, pur se normativamente non disciplinata in modo espresso, costituisce – analogamente all’impossibilità di esecuzione della prestazione – autonoma causa di estinzione dell’obbligazione”.
Quale diretta conseguenza dei principi espressi, a giudizio della Corte, a fronte di una prestazione divenuta inidonea a soddisfare l’interesse creditorio, la conseguente estinzione del rapporto obbligatorio scaturente dal contratto per sopravvenuta irrealizzabilità della sua causa concreta. comporta l’esonero delle parti dalle rispettive obbligazioni: “il sacrificio dell’interesse del creditore – e il venir meno della stessa causa del contratto che ne costituisce la fonte – può essere legittimamente indotto anche dalla sopravvenuta impossibilità di utilizzazione della prestazione, qualora essa si presenti come non imputabile al creditore, nonché oggettivamente incidente sull’interesse che risulta (anche implicitamente) obiettivato nel contratto”.
Del resto di tali principi sulla “causa negoziale concreta”, si è fatta specifica applicazione in relazione agli eventi ed impedimenti sopravvenuti in fattispecie negoziali quali i soggiorni alberghieri ed i contratti di viaggio vacanza (pacchetti “tutto compreso”), in correlazione allo Tsnumani, di tragica memoria.
Ed allora, in concreto quali istituti sono richiamabili in relazione al contratto di locazione commerciale, allorquando per effetto di un provvedimento legislativo (DPCM 8.3.2020), il conduttore non può concretamente utilizzare l’immobile e viene quindi penalizzata nella sua concreta attività economica/imprenditoriale ?
Nei rari precedenti giurisprudenziali[8], in caso di impossibilità determinata da evento sismico, collegata ad impossibilità di godere l’immobile locato ed utilizzarlo per l’uso convenuto, a fronte di ordinanze comunali di sgombero ed inagibilità, la Corte ha fatto applicazione della disciplina generale in tema di estinzione del rapporto contrattuale per sopravvenuta impossibilità della prestazione non imputabile alle parti ex art. 1463 c.c., quale rimedio all’alterazione del c.d. sinallagma funzionale che rende irrealizzabile la causa concreta, comportante l’automatica risoluzione “ex lege” del contratto, con conseguente liberazione del debitore dall’obbligazione divenuta impossibile che nello stesso trovava fonte.
Sempre altro richiamo giurisprudenziale, questa volta di merito[9], afferma che: “la liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della sua prestazione può verificarsi, secondo la previsione degli articoli 1281 e 1256 c.c., solo se ed in quanto concorrano l’elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sé considerata, e quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento che ha reso impossibile la prestazione. Pertanto, nel caso in cui il debitore non abbia adempiuto la propria obbligazione nei termini contrattualmente stabiliti, egli non può invocare l’anzidetta impossibilità con riguardo ad un ordine o divieto sopravvenuto dell’autorità amministrativa o giurisdizionale (factum principis) che fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto della assunzione della obbligazione, ovvero rispetto al quale non abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza, sperimentato ed esaurito tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità, restando così inerte e ponendosi in condizione di soggiacervi senza rimedio”.
Posto che sicuramente, a giudizio di chi scrive, l’emergenza epidemiologica del Covid 19 e dai correlati provvedimenti legislativi (DPCM 8.3.2020; DL 17.3.2020 n.18), presenta per certo i caratteri dell’imprevedibilità e straordinarietà dell’evento, risulta ipotizzabile richiamare alle fattispecie in esame i rimedi indicati (art. 1256 c.c.), evocando la sospensione nel pagamento dei canoni per l’immobile non goduto e la ripresa della prestazione concernente l’obbligo di pagamento non appena “la prestazione adempiuta diventi possibile”, e per quanto ipotizzabile da parte del creditore ed in applicazione dell’ articolo 1467 c.c., quest’ultimo potrà offrire di “modificare equamente le condizioni di contratto”.
[1] In tal senso, si veda A. Gargani, Reati contro l’incolumità pubblica, Tomo II, Reati di comune pericolo mediante frode, Giuffrè, Milano, 2013, p. 203, nota n. 2.
[2] S. Negri, Emergenze sanitarie e diritto internazionale: il paradigma salute-diritti umani e la strategia globale di lotta alle pandemie e al bioterrorismo, in Scritti in onore di V. Starace, Vol. 1, Editoriale scientifica, Napoli, 2008, pp. 571-605.
[3] C. Ricci, Contenuti normativi di un diritto ad un cibo “adeguato” a livello internazionale, in C. Ricci (a cura di), La tutela multilivello del diritto alla sicurezza e qualità degli alimenti, Giuffrè, Milano, 2012, p. 56. Le esposte considerazioni sono svolte con specifico riferimento ai Regolamenti OMS del 2005, emessi per far fronte alle pressanti esigenze di sicurezza sanitaria internazionale, ma si ritengono estendibili ad ogni futuro provvedimento derivante dall’Organizzazione, in considerazione della medesimezza della ratio.
[4] Galgano, Diritto privato, Giuffrè, pag.228: caso di scuola: la malattia del musicista scritturato per quel particolare evento.
[5] S. Negri, Salute pubblica sicurezza e diritti umani nel diritto internazionale, Giappichelli, Torino, 2018, p. 123.
[6] Cass. civ. 26958/07; Cass. Civ. 16315/07.
[7] Cass. civ. n.10490/2006
[8] Cassazione civile, Sezione 3, Sentenza 22 agosto 2007, n. 17844
[9] Tribunale di Imperia, Sentenza 28 febbraio 2006, n. 57