21 Novembre 2017

L’impugnazione in Cassazione dell’ordinanza-filtro avente il contenuto sostanziale di sentenza di merito

di Gabriele Quaranta Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, sent. 23 giugno 2017, n. 15644 – Pres. Travaglino – Rel. D’Arrigo

Impugnazioni in generale – Giudizio di appello – Ordinanza ex artt. 348 bis e ter c.p.c. – Individuazione del mezzo di impugnazione – Prevalenza della sostanza sulla forma (Cod. proc. civ. artt. 348 bis, 348 ter, 360; Cost. art. 111, co. 7)

[1] Il provvedimento con il quale il giudice di appello, pur dichiarando l’inammissibilità dell’impugnazione ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., rilevi l’inesattezza della motivazione della decisione di primo grado e sostituisca ad essa una diversa argomentazione in punto di fatto o di diritto, pur avendo la veste formale di ordinanza, ha contenuto sostanziale di sentenza di merito, con la conseguenza che non può trovare applicazione il citato art. 348 ter c.p.c., comma 3 a mente del quale il ricorso per cassazione deve essere proposto contro il provvedimento di primo grado. In tali circostanze, pertanto, il provvedimento adottato dal giudice d’appello è direttamente ricorribile per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c.

IL CASO

[1] All’esito di un giudizio di secondo grado la Corte d’appello dichiarava con ordinanza l’inammissibilità dell’impugnazione ex artt. 348 bis e ter c.p.c.., modificando tuttavia la motivazione del provvedimento impugnato con un diverso percorso argomentativo.

Se infatti in primo grado il Tribunale aveva respinto la domanda di manleva svolta da un’impresa appaltatrice nei confronti dell’assicuratore sul presupposto che il sinistro non era avvenuto a causa o durante l’esecuzione del contratto di appalto, la Corte d’appello, invece, rigettava la domanda osservando che le condizioni generali di assicurazione non prevedevano la responsabilità dell’assicuratore nel caso in cui l’assicurato fosse tenuto a mallevare terzi in virtù di una puntuale responsabilità contrattuale.

Contro il predetto provvedimento l’impresa appaltatrice soccombente proponeva allora ricorso per cassazione articolando tre motivi: se con il primo denunciava la nullità dell’ordinanza d’inammissibilità pronunziata dalla Corte d’appello per violazione degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., essendo tale provvedimento fondato su una ratio decidendi diversa da quella adottata dal giudice di primo grado, con il secondo invece impugnava la sentenza di primo grado per motivi di merito, mentre con il terzo impugnava il provvedimento della Corte d’appello, sempre per motivi di merito.

Dunque, il secondo e il terzo motivo venivano posti in posizione subordinata rispetto al primo e in rapporto di alternatività fra di loro, a seconda che la Suprema Corte avesse ritenuto impugnabile la sentenza del Tribunale o l’ordinanza della Corte d’appello.

LA SOLUZIONE

Posta innanzi all’alternativa prospettata dal ricorrente, la Cassazione afferma che nel caso in esame la pronuncia suscettibile di impugnazione è proprio quella emessa dal giudice d’appello.

In particolare, rileva come il collegio di secondo grado, lungi dal limitarsi ad effettuare un giudizio prognostico sfavorevole sull’impugnazione, e così confermare la sentenza di primo grado, avrebbe invece operato un vero e proprio vaglio nel merito del gravame, arrivando infatti a correggere la stessa sentenza di primo grado modificandone la motivazione.

Dunque secondo la Suprema Corte, nonostante le apparenze, dietro la declaratoria di inammissibilità del gravame adottata in forma d’ordinanza dalla Corte d’appello invocando gli artt. 348 bis e ter c.p.c. vi sarebbe invece una sentenza di merito a cognizione piena.

Da tale premessa derivano allora secondo la Cassazione una serie di conseguenze: innanzitutto, essendosi in presenza di un’ordinanza emessa invocando l’art. 348 bis c.p.c. ma avente il contenuto sostanziale di una sentenza di merito, non possono esser esaminate le censure proposte avverso la decisione di primo grado, essendosi ad essa sostituita anche nel merito quella d’appello, ragione per la quale va assorbito il secondo motivo di ricorso. A voler ragionare diversamente infatti, ovvero ove si ritenesse operante la regola posta dall’art. 348 ter c.p.c., il soccombente si troverebbe costretto ad impugnare una decisione (quella di primo grado) disattesa e modificata dalla stessa Corte d’appello.

Anche il primo motivo di ricorso tuttavia non può esser accolto, nonostante la correttezza della stessa censura. In tali casi infatti, ad avviso della Suprema Corte, la sanzione processuale non consisterebbe tanto nella nullità del provvedimento di secondo grado, quanto nel suo assoggettamento al regime ordinario di ricorribilità per cassazione ex art. 360 c.p.c., aprendosi così la strada all’esame del terzo motivo.

 

QUESTIONI

La questione affrontata nel provvedimento in esame si inserisce nel più ampio tema dell’autonoma impugnabilità dell’ordinanza d’inammissibilità pronunciata ai sensi degli artt. 348 bis e ter c.p.c., sorto all’indomani della novella al codice di rito operata con il d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla l. 7 agosto 2012, n. 134 (vedi sul punto Giordano, art. 348 bis e ter c.p.c., in Comoglio-Consolo-Sassani-Vaccarella (diretto. da), Commentario del codice di procedura civile, vol. IV, Torino, 2013, 401 ss., nonché Tedoldi, Il maleficio del filtro in appello, in Riv. dir. proc., 2015, 751 ss.).

Com’è noto, in un quadro normativo che ammette, in caso di declaratoria d’inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c., esclusivamente il ricorso ordinario in Cassazione avverso il provvedimento di primo grado, senza prevedere invece alcun mezzo d’impugnazione avverso l’ordinanza filtro, con la sentenza n. 1914 del 2 febbraio 2016 le Sezioni Unite (in Foro it., 2016, I, 2478) hanno invece affermato l’impugnabilità ex art. 111, co. 7, Cost. della stessa ordinanza per vizi propri consistenti in una violazione della normativa processuale (vedi per la dottrina: Carratta, Le Sezioni Unite e i limiti di ricorribilità in Cassazione dell’ordinanza sul ‘‘filtro’’ in appello, in Giur. it., 2016, 1378 ss.; Tiscini, Impugnabilità dell’ordinanza filtro per vizi propri. L’apertura delle Sezioni Unite al ricorso straordinario, in Corr. giur., 2016, 1132 ss.; Ciccarè, Sul regime d’impugnazione dell’ordinanza filtro ex artt. 348 bis e ter c.p.c.)

Nel caso di specie si pone tuttavia un problema parzialmente differente. Ed infatti, il regime impugnatorio del provvedimento emesso dalla Corte d’appello viene ricostruito non in virtù dell’apparenza creata dalla sua forma (un’ordinanza filtro, come tale ricorribile per cassazione solo per mezzo dell’artt. 111, co. 7, Cost.) ma alla luce del suo effettivo contenuto: una vera e propria sentenza di merito d’appello, attesa la modifica operata dal giudice del gravame alla motivazione della decisione di primo grado dopo averne rilevato l’inesattezza, contro la quale allora è possibile proporre ricorso ordinario in Cassazione, ex art. 360, co. 1, c.p.c. senza necessità di valutare la sussistenza dei presupposti per la proposizione del ricorso straordinario.

Tale affermazione non costituisce una novità nel panorama giurisprudenziale della Suprema Corte, essendosi essa già pronunciata negli stessi termini, seppur prima dell’intervento delle Sezioni Unite del 2016, su di un caso analogo (vedi Cass, ord. 6 luglio 2015, n. 13923).

Entrambe le decisioni sembrano far applicazione del principio della prevalenza della sostanza sulla forma, sovente utilizzato dalla giurisprudenza nell’individuazione del mezzo d’impugnazione del provvedimento (vedi Cass., sez. un., 2 ottobre 2012, n. 16727, in Foro it., 2013, I, 210; per la dottrina, ex multiis vedi Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, I, I principi, Bari, 2016, 302-306).

Una conferma dell’applicabilità del principio sembra infine pervenire dalla stessa lettura della sentenza delle Sezioni Unite, nella quale, seppur in relazione ad una fattispecie parzialmente differente, si è espressamente ritenuta impugnabile con ricorso ordinario in Cassazione l’ordinanza emessa ex artt. 348 bis e ter c.p.c. con cui il giudice di secondo grado abbia dichiarato inammissibile o improcedibile per motivi di rito l’impugnazione, trattandosi nella sostanza di una sentenza avente carattere processuale e non di mero giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito.