L’immedesimazione organica degli amministratori di società di capitali: disponibilità del diritto al compenso e legittimità della clausola statutaria che preveda la gratuità dell’incarico
di Gian Luca Grossi - Studio Pirola Pennuto Zei & AssociatiMarcello Guerzoni - Studio Pirola Pennuto Zei & Associati Scarica in PDFCorte di Cassazione Civile, Sez. I, Ordinanza 10 ottobre 2018 n. 285 (pubblicata il 9 gennaio 2019)
Parole chiave: società – società di capitali – amministratori – rapporto di immedesimazione organica – diritto al compenso – disponibilità – clausola statutaria di gratuità dell’incarico.
Massima: “Il rapporto intercorrente tra la società di capitali ed il suo amministratore è di immedesimazione organica e ad esso non si applicano né l’art. 36 Cost. né l’art. 409, comma 1, n. 3) c.p.c.. Ne consegue che è legittima la previsione statutaria di gratuità delle relative funzioni.”.
Disposizioni applicate: artt. 112, 346 e 409 c.p.c. – artt. 2389 e 2475 c.c. – art. 36 Cost.
L’Ordinanza emessa dalla Prima Sezione civile della Corte di Cassazione, affronta l’annoso tema della qualificazione giuridica del rapporto che intercorre tra società e amministratore, con particolare riferimento al diritto all’emolumento e alla legittimità di una clausola statutaria che preveda la gratuità dell’incarico.
Nella fattispecie l’attore agiva in giudizio nei confronti della società per aver ricoperto la carica di amministratore per circa tre decenni (dal 1978 al 2004). Disattesa la richiesta in primo grado, quest’ultimo proponeva appello dinanzi alla Corte territoriale la quale, a conferma della decisione del Giudice di prime cure, avrebbe osservato come la clausola di cui all’art 12 dello Statuto sociale prevedeva solo un rimborso spese, salva diversa deliberazione assembleare che, come eccepito tempestivamente già in primo grado dalla società resistente, non era mai stata assunta nel caso di specie.
Il ricorrente impugnava pertanto la sentenza in Cassazione sulla base essenzialmente di due motivi: i) la violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.) e la decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte in grado di appello (art. 346 c.p.c), per non avere la controparte sollevato l’eccezione di gratuità nei due primi gradi di giudizio limitandosi a sostenere la spettanza di un mero rimborso spese; ii) la violazione degli artt. 2389 (compensi degli amministratori) e 2475 c.c. (amministrazione della società), avendo provato la propria attività gestoria e la mancata percezione degli emolumenti, conseguendone il diritto al compenso sulla base della presunzione di onerosità dell’incarico e del rapporto di parasubordinazione. Resisteva la società con controricorso.
La Prima Sezione, con l’ordinanza in commento, ha subito rilevato la “manifesta infondatezza” del primo motivo specificando che dagli atti “risulta che l’eccezione fu ritualmente sollevata: la negazione di ogni diritto al compenso, invero, non può che equivalere, secondo la connessione propria delle parole, proprio a sostenerne la gratuità”.
La Suprema Corte ha così analizzato il secondo motivo ritenendolo anch’esso “infondato e in parte inammissibile”, in quanto come già chiarito dalle Sezioni Unite (cfr. Cassazione, Sezioni Unite, 20 gennaio 2017 n. 1545) “L’amministratore unico o il consigliere di amministrazione di una società per azioni sono legati da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell’immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell’assenza del requisito della coordinazione, non è compreso nell’ambito dei rapporti parasubordinati previsti dal n. 3 dell’art. 409 c.p.c.”.
E’ appena il caso di notare che l’espressione del citato principio da parte della Corte comporta il rigetto di tutti gli altri inquadramenti giuridici proposti, soprattutto in passato, dalla dottrina e dalla giurisprudenza sulla natura del rapporto amministrativo (in estrema sintesi: teoria del mandato; teoria del lavoro subordinato ovvero parasubordinato; teoria della prestazione d’opera intellettuale). La Prima Sezione ha infatti ulteriormente precisato che “il rapporto che intercorre tra amministratore e società non può essere equiparato, in ragione del rapporto di immedesimazione organica, a quello derivante dal contratto d’opera, intellettuale o non intellettuale” (in tal senso anche Cassazione 17 ottobre 2014 n. 22046).
Stante la specialità del rapporto né di natura subordinata o parasubordinata né tantomeno d’opera intellettuale ne consegue, afferma la Prima Sezione, “l’inapplicabilità dell’art. 36 Cost. e la legittimità della previsione statutaria di gratuità delle funzioni di amministratore di società” (cfr. in tal senso anche Cassazione 21 giugno 2017 n. 15382, Cassazione 13 novembre 2012 n. 19714 e Cassazione 1 aprile 2009 n. 7961). Invero la disposizione costituzionale citata – che com’è noto sancisce il diritto del lavoratore a percepire una retribuzione proporzionata e sufficiente alla quantità e qualità del lavoro prestato – risulta applicabile al solo lavoro subordinato o parasubordinato (cfr. ex multis Trib. Milano, n. 9762/2017, Cassazione 13 novembre 2012, n. 19714).
Per converso, osserva la Cassazione, il diritto all’emolumento amministrativo, avendo natura disponibile, può essere oggetto di rinunzia da parte del suo titolare, infatti “l’amministratore di una società, con l’accettazione della carica, acquisisce il diritto ad essere compensato per l’attività svolta in esecuzione dell’incarico affidatogli. Tale diritto, peraltro, è disponibile e può anche essere derogato da una clausola dello statuto della società, che condizioni lo stesso al conseguimento di utili, ovvero sancisca la gratuità dell’incarico” (cfr. anche Cassazione 21 giugno 2017, n.15382).
Nel caso di specie, conclude la Prima Sezione, “la sentenza impugnata … ha accertato come l’art. 12 dello statuto prevedesse detta clausola di gratuità per la prestazione dell’attività di amministrazione”, pertanto ha rigettato il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento delle spese di lite.