I limiti della censurabilità in cassazione del mancato esame di un documento
di Valentina Baroncini, Professore associato di Diritto processuale civile presso l'Università degli Studi di Verona Scarica in PDFCass., sez. I, 8 aprile 2024, n. 9211, Pres. Acierno, Est. Reggiani
[1] Cassazione civile – Ricorso – Prova in genere in materia civile – Valutazione delle prove
In tema di ricorso per cassazione, il mancato esame di un documento può essere denunciato ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., quando il documento non esaminato offra la prova di fatti, primari o secondari, che siano stati oggetto della controversia come decisa dal giudice e che si rivelino decisivi, essendo il loro esame in grado di determinare un diverso esito della vertenza.
CASO
[1] La pronuncia della Cassazione oggetto del presente commento è stata resa all’esito di un giudizio instaurato per ottenere la regolamentazione dell’esercizio della responsabilità genitoriale.
All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale di Genova, con decreto, stabiliva l’affidamento esclusivo del minore alla madre, stante la contumacia del padre.
Quest’ultimo proponeva reclamo alla Corte d’Appello di Genova, deducendo di non avere avuto notizia del procedimento e che la notificazione del ricorso introduttivo, effettuata ai sensi dell’art. 140 c.p.c., non si era perfezionata, mancando agli atti l’avviso di ricevimento della raccomandata informativa inviata dall’ufficiale giudiziario; conseguentemente, chiedeva la rimessione della causa in primo grado o la rimessione in termini, al fine di ottenere la riforma del decreto impugnato.
La Corte d’Appello di Genova, assunta la causa in decisione, rimetteva la causa in istruttoria per consentire alla madre reclamata di produrre l’avviso di ricevimento della raccomandata inviata ex art. 140 c.p.c.; con atto di integrazione documentale, la madre procedeva ad alcune produzioni documentali. Con successiva ordinanza, la Corte d’Appello affermava che, nonostante il disposto rinvio, non risultava depositato l’avviso di ricevimento; conseguentemente, autorizzava le parti a depositare memoria e memoria di replica. In particolare, nella propria memoria difensiva parte reclamata ribadiva di aver depositato, con il summenzionato atto di integrazione documentale, l’avviso di ricevimento in questione.
La Corte d’Appello rilevava la mancata produzione dell’avviso di ricevimento e, conseguentemente, il mancato perfezionamento della notifica degli atti introduttivi del giudizio di primo grado; pertanto, in accoglimento del ricorso, dichiarava la nullità del decreto del Tribunale per nullità della notifica del ricorso introduttivo e del pedissequo decreto di fissazione di udienza, sulla scorta della seguente motivazione: “[…] L’avviso di ricevimento di questa raccomandata non è mai stato prodotto mentre è stato per due volte prodotto il seguente avviso di ricevimento di una raccomandata anteriore al deposito del ricorso”; conseguentemente, rimetteva le parti davanti al giudice di prime cure.
Tale decreto è stato fatto oggetto di ricorso per cassazione da parte della madre reclamata la quale deduceva, ai sensi dell’art. 360, n. 5), c.p.c., l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, per avere la Corte d’Appello ritenuto non essere stato prodotto l’avviso di ricevimento, mentre, invece, la stessa aveva provveduto a effettuare tale produzione, depositando il ricorso ex art. 337-bis c.c. e il pedissequo decreto notificati, corredati della relativa cartolina. In particolare, la madre ricorrente deduceva che, dopo il primo deposito, con il quale effettivamente produceva un avviso di ricevimento del tutto irrilevante ai fini della decisione, provvedeva, poi, a eseguirne un secondo, con il quale produceva l’avviso di ricevimento della raccomandata inviata dall’ufficiale giudiziario a perfezionamento della notificazione del ricorso introduttivo. Secondo la ricorrente, dunque, la Corte d’Appello non avrebbe considerato tale documentazione, successivamente depositata, dalla quale si evinceva il corretto perfezionamento della notificazione del ricorso introduttivo.
SOLUZIONE
[1] La Suprema Corte ha ritenuto fondato tale motivo di ricorso, ancorché con alcune precisazioni.
Ad avviso della Cassazione, infatti, nel caso di specie risultano integrati tutti i presupposti per ritenere sussistente il lamentato vizio.
La ricorrente ha dedotto, e dimostrato, di avere depositato nel giudizio di reclamo un atto di integrazione documentale recante in allegato il ricorso introduttivo del giudizio con il pedissequo decreto di fissazione di udienza, ritualmente notificati ex art. 140 c.p.c. e, in particolare, comprensivi dell’avviso di ricevimento della raccomandata inviata dall’ufficiale giudiziario a perfezionamento della notificazione eseguita. Tale documentazione non risulta essere stata esaminata dalla Corte d’Appello, la quale ha ritenuto che la ricorrente non avesse depositato detto avviso di ricevimento, che, se visionato, avrebbe comportato una diversa valutazione in ordine al perfezionamento della notificazione del ricorso introduttivo del presente giudizio e del pedissequo decreto del Tribunale.
Il ricorso è stato pertanto accolto in applicazione del seguente principio di diritto: “In tema di ricorso per cassazione, il mancato esame di un documento può essere denunciato ai sensi dell’art. 360, 1°co., n. 5), c.p.c., quando il documento non esaminato offra la prova di fatti, primari o secondari, che siano stati oggetto della controversia, come decisa dal giudice, e che si rivelino decisivi, essendo il loro esame in grado di determinare un diverso esito della vertenza”.
Il decreto impugnato è stato conseguentemente cassato con rinvio alla Corte d’Appello di Genova, chiamata a statuire, in diversa composizione, anche sulle spese del giudizio di legittimità.
QUESTIONI
[1] La questione affrontata dalla Cassazione attiene, in altri termini, la possibilità di censurare ex art. 360, n. 5), c.p.c., l’omesso esame, imputabile al giudice di merito, di un documento prodotto da una parte.
La nuova formulazione dell’art. 360, n. 5), c.p.c., come noto, consente l’impugnazione «per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti» e non più «per omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio».
La norma si riferisce al mancato esame di un fatto decisivo, che è stato offerto al contraddittorio delle parti, da intendersi come un vero e proprio fatto storico; costituisce, pertanto, un fatto a tal fine rilevante non già una questione o un punto controverso, bensì un vero e proprio evento, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass., 26 gennaio 2022, n. 2268; Cass., 6 settembre 2019, n. 22397; Cass., 3 ottobre 2018, n. 24035; Cass., 26 aprile 2022, n. 13024).
Può trattarsi di un fatto principale ex art. 2697 c.c. o di un fatto secondario, purché sia controverso e decisivo (Cass., 8 settembre 2016, n. 17761), nel senso che il mancato esame, evincibile dal tenore della motivazione, vizia la decisione perché influenza l’esito del giudizio. Non integrano, dunque, fatti il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, n. 5), c.p.c. le mere argomentazioni o le deduzioni difensive (Cass., n. 2268/2022, cit.; Cass., n. 22397/2019, cit.; Cass., 14 giugno 2017, n. 14802), né i singoli elementi di un accadimento complesso, comunque apprezzato, o le mere ipotesi alternative, e neppure le singole risultanze istruttorie, qualora il fatto storico rilevante sia, comunque, stato preso in considerazione (Cass., 29 ottobre 2018, n. 27415). Per gli stessi motivi, non costituisce omesso esame, nei termini appena indicati, la mancata valutazione di domande o eccezioni, ovvero dei motivi di appello (Cass., 13 ottobre 2022, n. 29952).
Venendo al tema oggetto del provvedimento in commento, l’omesso esame di elementi istruttori non integra dunque, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360, n. 5), c.p.c., qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass., 8 novembre 2019, n. 28887; Cass., n. 27415/2018, cit.).
Tuttavia, diverso è il discorso nel caso in cui la mancata considerazione di una prova, che in sé non è riconducibile nel vizio previsto dall’art. 360, n. 5), c.p.c., si risolve nell’omesso esame del fatto veicolato da tale prova, quando tale fatto è decisivo. Come più volte affermato dalla Suprema Corte proprio con riferimento alla prova documentale (Cass., 3 luglio 2021, n. 18859; Cass., 26 giugno 2018, n. 16812; Cass., 28 settembre 2016, n. 19150; Cass., 5 dicembre 2014, n. 25756), il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione, quando determina l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offre la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito. In altre parole, il mancato esame di un documento costituisce un vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360, n. 5), c.p.c., se il documento non esaminato offre la prova di fatti, primari o secondari, che siano stati oggetto della controversia, su cui si è pronunciato il giudice, e che si rivelino decisivi, in quanto il loro esame è in grado di determinare un diverso esito della vertenza.
Per questo motivo, la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali il documento trascurato avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa. In applicazione dell’art. 366, 1°co., n. 4), c.p.c., la parte che propone ricorso per cassazione facendo valere l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, è, dunque, tenuta ad allegare in modo non generico il “fatto storico” non valutato, il “dato” testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua “decisività” per la definizione della vertenza (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053; Cass., 23 marzo 2017, n. 7472; Cass., 2 luglio 2020, n. 13578).
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