Licenziamento individuale conseguente alla soppressione del posto di lavoro per riorganizzazione aziendale
di Evangelista Basile Scarica in PDFCassazione Civile, Sezione Lavoro, 9 novembre 2016, n. 22798
Licenziamento – Impossibilità repêchage – Onere prova – Salvaguardia professionalità – Illegittimo
Massima
In ipotesi di licenziamento conseguente alla soppressione del posto di lavoro per riorganizzazione aziendale, le esigenze di tutela del diritto alla conservazione del posto di lavoro prevalgono su quelle di salvaguardia della professionalità del lavoratore. È, dunque, illegittimo il licenziamento se il datore non provi che il repêchage poteva essere effettuato tenendo in considerazione anche le mansioni inferiori a quello del dipendente.
Commento
Nella pronuncia in commento, la Corte di Cassazione ha confermato la reintegra ottenuta dall’operaio specializzato, il quale aveva provato in giudizio che, in seguito al licenziamento per soppressione del suo posto di lavoro, la Società aveva assunto nuovo personale adibito a mansioni inferiori a quelle da lui precedentemente espletate. La Suprema Corte ha affermato che è condizione di legittimità di un licenziamento disposto per ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, a mente dell’art. 3 l. 604/66, anche l’impossibilità di utilizzazione del lavoratore destinatario della risoluzione del rapporto in mansioni diverse da quelle precedentemente svolte. In altre parole, il datore di lavoro è tenuto a verificare la possibilità del cd. repêchage non solo con riferimento a mansioni equivalenti, ma anche verso mansioni inferiori. I Giudici di legittimità hanno, infatti, ricordato che, ormai da tempo, sia la disciplina giuslavorista, sia la giurisprudenza hanno riconosciuto l’oggettiva prevalenza dell’interesse del dipendente al mantenimento del posto di lavoro, rispetto alla salvaguardia di una professionalità che sarebbe comunque compromessa dall’estinzione del rapporto. Al fine di corroborare la pronuncia, viene richiamato un recente precedente giurisprudenziale, in cui la Corte ha affermato che, ove il demansionamento rappresenti l’unica alternativa al recesso datoriale, non è neppure necessario un patto di demansionamento o una richiesta del lavoratore in tal senso anteriore o contemporanea al licenziamento, ma, anzi, è onere del datore di lavoro, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, prospettare al dipendente la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori compatibili con il suo bagaglio professionale. In definitiva, sulla base del principio espresso dalla Corte in merito al demansionamento in caso di sopravvenuta infermità del dipendente, anche in caso di soppressione del posto di lavoro in conseguenza di riorganizzazione aziendale si crea una nuova situazione fatto legittimante il consequenziale adeguamento del contratto in virtù delle esigenze di tutela del diritto alla conservazione del posto di lavoro. La Cassazione rigetta pertanto il motivo di gravame, affermando che l’obbligo di repêchage gravante sul datore di lavoro si estende anche alle mansioni inferiori a quelle del lavoratore licenziato. Il licenziamento de quo è dunque illegittimo, posto che il lavoratore aveva segnalato sin dall’atto introduttivo del giudizio la circostanza delle nuove assunzioni di manovali e la mancata offerta datoriale di compiti equivalenti o anche di livello inferiore: è stata così dimostrata l’avvenuta violazione dell’obbligo di repêchage.
Principali precedenti giurisprudenziali
Conformi
Cass. Civ. 4509 del 2016;
Cass. Civ. 23698 del 2015.
Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO“