22 Novembre 2016

Licenziamento per giustificato motivo soggettivo del lavoratore tossicodipendente per abbandonato volontario della comunità di recupero

di Evangelista Basile Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 18 luglio 2016, n. 14621

Licenziamento individuale – giustificato motivo soggettivo – abbandono comunità di recupero – trasferimento presso altra struttura di recupero – conservazione del posto – non sussiste

MASSIMA
Il diritto alla conservazione del posto compete al lavoratore tossicodipendente qualora sia “materialmente impedito a rendere la prestazione lavorativa per seguire il trattamento di disintossicazione”. Corollario logico di tale disposizione è che se il programma di recupero venga attuato presso un’altra struttura, l’abbandono e il volontario allontanamento fa venir meno “il presupposto di fatto costitutivo del diritto alla conservazione del posto ed esclude quindi il diritto del predetto alla conservazione stessa e ciò, appunto, a causa del venir meno dell’impedimento (a prestare l’attività lavorativa) che legittimava la sospensione dell’obbligo del lavoratore tossicodipendente di eseguire la prestazione oggetto del rapporto di lavoro”. 

COMMENTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di licenziamento irrogato ad una lavoratrice che, dopo aver abbandonato volontariamente la comunità di recupero per tossicodipendenti nella quale era stata autorizzata a curarsi, non aveva ripreso a lavorare alle dipendenze del proprio datore di lavoro. Tanto in primo, quanto in secondo grado il licenziamento irrogato alla dipendente è stato ritenuto legittimo, previa conversione d’ufficio – da parte dei giudici della Corte d’appello – da licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo. Contro tale decisione hanno quindi proposto ricorso per cassazione sia la lavoratrice (in via principale), che la società (in via incidentale). Ad avviso della difesa della dipendente il licenziamento era illegittimo perché incombeva in capo alla comunità di recupero comunicare all’azienda il suo allontanamento in ragione dei particolari disturbi psichici da cui la lavoratrice era affetta. La Suprema Corte, confermando la parte della sentenza d’appello che aveva statuito la necessità di convertire il licenziamento da giusta causa a giustificato motivo soggettivo in considerazione della particolare condizione psichica in cui versava la lavoratrice, ha rigettato il ricorso principale della dipendente. Ad avviso dei Giudici di legittimità, infatti, l’abbandono volontario della comunità presso la quale veniva attuato il programma terapeutico e socio-riabilitativo della dipendente aveva legittimamente determinato il venir meno del suo diritto alla conservazione del posto di lavoro, non essendosi la stessa, dopo l’allontanamento dalla comunità, offerta di riprendere a svolgere l’attività lavorativa. A nulla rilevano le motivazioni soggettive per le quali la lavoratrice abbia deciso di allontanarsi definitivamente da quella comunità (finanche la volontà di intraprendere le cure presso un altro centro specializzato) se, una volta venuto meno l’impedimento a prestare l’attività lavorativa che giustificava la sospensione dall’obbligo di eseguire le mansioni contrattualmente previste, non è rientrata in servizio.

Principali precedenti giurisprudenziali
Conformi

Cass. Civ. n. 5614 del 2000

Contrari

 

Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO”