6 Dicembre 2016

Licenziamento per giusta causa

di Evangelista Basile Scarica in PDF

1) Cass. civ., sezione lavoro, 26 luglio 2016, n. 15441

Licenziamento per giusta causa – abbandono del posto di lavoro – sede di lavoro lasciata incustodita per alcuni minuti – sussiste

MASSIMA
Il concetto di abbandono del posto di lavoro deve intendersi non con riferimento alla durata della condotta contestata ma in relazione alla sua possibilità di incidere sulle esigenze del servizio. Va quindi escluso che l’abbandono richieda una durata protratta per l’intero orario residuo del turno di servizio svolto (nel caso di specie correttamente il datore ha licenziato un vigilantes che si era allontanato alcuni minuti per andare a comprare il giornale lasciando aperto un portoncino pedonale e la porta della guardiola).

COMMENTO
Con la pronuncia in oggetto, la Corte di Cassazione si è soffermata sull’esistenza o meno di un discrimine tra le fattispecie dell’“abbandono del posto di lavoro” e dell’”allontanamento dal posto di lavoro”, rilevante a fini disciplinari. La controversia in esame muoveva dal licenziamento per giusta causa intimato da una società di vigilanza al proprio dipendente, reo di essere stato trovato – nel corso di una verifica presso l’outlet al quale era comandato – assente dalla propria postazione. Nei due gradi di giudizio precedenti, la società era risultata soccombente in quanto, secondo i giudici del merito, la condotta del dipendente – che aveva comunque chiuso il sito e attivato l’antifurto, lasciando tuttavia socchiuso un portoncino pedonale – integrava tutt’al più un “momentaneo allontanamento dal posto di lavoro ovvero sospensione temporanea della prestazione” (fattispecie che – secondo il giudice d’Appello – presentava un minor disvalore soggettivo), con conseguente illegittimità del licenziamento e applicazione della mera sanzione conservativa. Avverso la pronuncia della Corte Territoriale, la società ricorreva al giudice di legittimità con 5 motivi ex articolo 360 c.p.c.: con le predette doglianze, il datore di lavoro prospettava, in estrema sintesi, come i fatti accertati fossero idonei ad integrare la fattispecie di giusta causa anche alla luce delle prescrizioni contrattual-collettive di settore (l’articolo 140 Ccnl Vigilanza privata prevede il licenziamento per giusta causa del dipendente che abbia “abbandonato il posto di lavoro”). Gli Ermellini, ai fini della decisione della vertenza, hanno proceduto ricapitolando inizialmente gli elementi di fatto accertati in corso di causa, e cioè: (i) che il lavoratore aveva lasciato l’outlet per meno di dieci minuti; (ii) che era arrivato al vicino bar per comprare un quotidiano; (iii) che aveva sì attivato l’allarme ma (iv) aveva omesso di avvisare la centrale dell’allontanamento e (v) che, soprattutto, aveva lasciato socchiuso un portoncino pedonale dello stabilimento, (vi) tramite il quale eventuali terzi avrebbero potuto introdursi. Ciò premesso, la Corte di Cassazione ha precisato, tanto ai fini della giusta causa ex articolo 2119 cod. civ. quanto ex articolo 140 Ccnl Vigilanza privata, che l’“abbandono del posto di lavoro” è realizzato dalla verificazione di 2 circostanze: (i) una, oggettiva, consistente “nel totale distacco dal bene da proteggere (o, se si vuole, nella completa dismissione della condotta di protezione)”, profilo per il quale rilevano altresì l’eventuale comunicazione preventiva dell’allontanamento, ovvero la durata dello stesso (da valutarsi ex ante), senza che possa assumere invece rilievo la produzione o meno del danno; (ii) l’altra, soggettiva, integrata dalla “semplice coscienza e volontà della condotta di abbandono … indipendentemente dalla finalità perseguite”. Sulla scorta dell’iter argomentativo appena concluso, la Corte concludeva per l’accoglimento del ricorso proposto della società.

Principali precedenti giurisprudenziali
Conformi

Cass. Civ. n. 22054 del 2014

Contrari

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2) Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 25 luglio 2016, n. 15322

Licenziamento – giusta causa – falsa dichiarazione sui carichi pendenti – sussiste

MASSIMA
È legittimo di licenziamento quello intimato alla lavoratrice che, ancorché a seguito della riassunzione, mente sui carichi pendenti sottoscrivendo un’autocertificazione mendace. Si tratta di un’ipotesi di giusta causa in quanto viene leso il vincolo fiduciario.

COMMENTO
A seguito della riassunzione, la Società chiedeva alla lavoratrice l’autocertificazione sull’assenza di carichi pendenti. La lavoratrice sottoscriveva il documento, nonostante fosse stata destinataria di diversi provvedimenti riguardanti l’applicazione di misure di prevenzione nonchè di decisioni civili e amministrative iscritte nel casellario giudiziario. Avverso la sentenza di rigetto emessa dalla Corte d’Appello, la lavoratrice proponeva ricorso in Cassazione, sostenendo che la norma del CCNL relativa alle autocertificazioni era prevista per le nuove assunzioni e, pertanto, non era applicabile nel suo caso, trattandosi di un ripristino de jure del rapporto di lavoro e della sua funzionalità. La Suprema Corte, confermando quanto stabilito dai giudici di secondo grado, ha rigettato il ricorso, ponendo l’accento della questione non tanto sulla norma del contratto collettivo, quanto  piuttosto sul vincolo fiduciario insito nel rapporto tra lavoratore e datore di lavoro. Anzitutto, la Cassazione evidenzia che, analogamente a quanto riconosciuto dalla Corte d’Appello, l’ampia formulazione del testo contrattuale consente di ritenere che la norma si applichi anche alle ipotesi in cui l’assunzione nasca dall’ottemperanza all’ordine del giudice di ripristinare un rapporto di lavoro – nel caso di specie, dovuto ad una illegittima apposizione del termine di durata –. Ciò posto, l’elemento fondante la contestazione disciplinare del datore di lavoro deve essere individuata nella mendicità delle dichiarazioni rilasciate dalla lavoratrice, la quale ha voluto occultare le circostanze che, pur non rivestendo di per sé valore ostativo al ripristino del rapporto di lavoro, assumevano valenza significativa ai fini della rinnovata costituzione del rapporto di lavoro inter partes. In altre parole, la decisione datoriale non è stata posta sulla rilevanza in sé dell’autocertificazione ai fini del ripristino del rapporto di lavoro, ma sull’incidenza che, anche in ragione dei fatti occultati, il mendacio ha sul vincolo fiduciario sotteso al rapporto di lavoro. Peraltro è bene evidenziare che la condotta della lavoratrice, oltre ad integrare una fattispecie penalistica di reato, è in contrasto con i principi di correttezza e buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c., che presiedono all’esecuzione del contratto. Tutto ciò premesso, appare irrilevante quanto osservato dalla ricorrente circa la ricorrenza di un falso innocuo.

Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO