28 Febbraio 2017

Licenziamento disciplinare

di Evangelista Basile Scarica in PDF

Cassazione Civile, Sezione Lavoro, 7 dicembre 2016, n. 25189

Licenziamento disciplinare – Giustificazioni lavoratore – Mancata convocazione – Legge Fornero – Risarcimento – Non sussiste reintegra

MASSIMA

È risarcito ma non reintegrato il lavoratore licenziato per motivi disciplinari anche se il datore non lo convoca per ascoltare le sue giustificazioni.

COMMENTO

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte ha sancito che vada solo risarcito e non reintegrato il dipendente licenziato per motivi disciplinari che non sia stato convocato per offrire le sue giustificazioni.  Nella specie, il Tribunale respingeva il ricorso di un lavoratore dichiarando la sussistenza del giustificato motivo soggettivo del licenziamento intimato per inosservanza dell’orario di lavoro, comportamento scorretto verso i superiori e inesatta esecuzione del servizio.

Detta pronuncia veniva poi riformata dalla Corte d’Appello che dichiarava inefficace il licenziamento per non avere il datore convocato il dipendente per ascoltare le sue giustificazioni. La Corte Territoriale rilevava, per contro, la mancata impugnazione della sentenza nella parte in cui aveva confermato la sussistenza dei fatti materiali posti a base del recesso, con conseguente formazione del giudicato sul punto. Avverso tale statuizione il lavoratore ricorreva in Cassazione censurando la sentenza della Corte di Appello per aver disposto l’applicazione dei rimedi, di natura puramente risarcitoria, previsti dall’art. 18, co. 6 St. Lav. in luogo della tutela reale e, in particolare, per avere erroneamente ritenuto la natura procedurale, e non di norma imperativa, della disposizione che impone al datore di lavoro di ascoltare a difesa il dipendente incolpato, così erroneamente applicando la tutela risarcitoria.  Il dipendente contestava infine la mancata impugnazione della sentenza di primo grado nella parte in cui aveva riconosciuto la sussistenza dei fatti posti a base del giustificato motivo soggettivo e la conseguente formazione del giudicato.

I motivi di censura sopra indicati non sono stati, tuttavia, accolti dai Giudici di Legittimità che hanno sottolineato come la L.92/2012, nel modificare il regime delle tutele, ha voluto diversificarle e ha espressamente previsto che la violazione della procedura di cui all’art. 7 L. n. 300/1970 “dia luogo alla dichiarazione di inefficacia del licenziamento e all’applicazione di un’indennità risarcitoria ‘attenuata’”, di importo compreso tra un minimo di 6 e un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto. La Cassazione ha quindi precisato che non potrebbe del resto dubitarsi della “natura ‘procedurale’ della norma che fa carico al datore di lavoro di sentire preventivamente il lavoratore a discolpa, rappresentando uno snodo della sequenza procedimentale” delineata dall’art. 7 succitato. La Suprema Corte rileva inoltre come “una diversa conclusione avrebbe l’effetto contrario alla chiara opzione prescelta dal legislatore” volta a una “diversificazione delle tutele”. A fronte di tutte le considerazioni sopra espresse, unite alla conferma della correttezza della pronuncia impugnata ove aveva accertato la formazione del giudicato interno circa i fatti posti alla base del giustificato motivo soggettivo, la Suprema Corte ha integralmente rigettato il ricorso del lavoratore.

Principali precedenti giurisprudenziali

Conformi

Cass. Civ., n. 6845 del 2010.

Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO”