29 Gennaio 2019

L’exceptio compromissi sollevata in sede di opposizione a decreto ingiuntivo: risvolti processuali

di Daniela Parisi Scarica in PDF

Lo spunto per l’odierna riflessione nasce da una pronuncia (Trib. Milano, Sez. Spec. Impresa, n. 5450/2018, pubblicata su www.giurisprudenzadelleimprese.it) la quale, riaffermando un principio di diritto processuale, già ripetutamente sancito dalla stessa Sezione specializzata, statuisce che “l’esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo (atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla l’emissione di provvedimenti inaudita altera parte), tale per cui, laddove operi la clausola compromissoria: 1. sussistendo i presupposti di cui agli artt. 633 e ss. c.p.c. e tenuto conto della non rilevabilità d’ufficio del difetto di competenza per essere la controversia devoluta agli arbitri, il giudice ordinario deve emettere il decreto ingiuntivo richiesto da una delle parti 2. ma, quando sia proposta opposizione ed il debitore ingiunto eccepisca la competenza arbitrale, si verificano i presupposti fissati nel compromesso, venendo quindi viene a cessare la competenza del giudice ordinario, 3. il quale ultimo, una volta che rilevi la esistenza della valida clausola compromissoria, non potrà che dichiarare la nullità del decreto ingiuntivo e rimettere la controversia al giudizio degli arbitri

Le questioni sottese sono più d’una.

Anzitutto ribadisce il Collegio di primo grado che l’exceptio compromissi è eccezione in senso stretto, con ciò seguendo l’orientamento della recente giurisprudenza della Suprema Corte, secondo la quale quella di  compromesso rituale (interno) è un’eccezione avente natura processuale, attenendo a una questione di competenza, e non è rilevabile d’ufficio, in quanto di natura non funzionale, quantomeno nelle ipotesi in cui oggetto della clausola compromissoria e/o del compromesso non sia una controversia inerente a diritti non disponibili: “l’art. 819 ter c.p.c. assoggetta l’eccezione di arbitrato al medesimo regime previsto per quella d’incompetenza, stabilendo che essa dev’essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta e precisando che la mancata proposizione dell’eccezione esclude la competenza arbitrale limitatamente alla controversia decisa in quel giudizio; la mancanza di una specifica indicazione in ordine al termine entro cui l’eccezione dev’essere sollevata impone di fare riferimento alla disciplina generale dettata dall’art. 38 c.p.c., il quale dispone che l’incompetenza, tanti per materia quanto per valore o per territorio, dev’essere eccepita, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta «tempestivamente» depositata” (Cass. n. 22748/2015; Cass., SS.UU., 1005/2014; v. anche Trib. Firenze, Sez. Spec. Impresa, 16/3/2018, n. 814).

Secondo il Collegio milanese, se l’eccezione è svolta tempestivamente, accertata anche incidentalmente la validità della clausola compromissoria, il giudice ordinario adito non ha la competenza per decidere la questione sottoposta al suo esame.

Il Tribunale meneghino precisa che, qualora l’eccezione di arbitrato sia ritualmente sollevata nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice ordinario adito perde la competenza che sino ad allora aveva, devolvendola in favore degli arbitri.

Infatti, come noto, l’esistenza di una clausola compromissoria non esclude la competenza del giudice ordinario ad emettere un decreto ingiuntivo (atteso che la disciplina del procedimento arbitrale non contempla l’emissione di provvedimenti inaudita altera parte), ma impone a quest’ultimo, in caso di successiva opposizione fondata sull’esistenza della detta clausola, la declaratoria di nullità del decreto opposto e la contestuale remissione della controversia al giudizio degli arbitri (cfr. Cass., 28 luglio 1999, n. 8166).

Principio nuovamente ribadito anche dall’ordinanza n. 21550 del 18 settembre 2017, con la quale la Corte di cassazione a Sezioni Unite, chiamata a pronunciarsi sulla sussistenza di un difetto di giurisdizione del giudice ordinario nazionale in presenza di una clausola compromissoria internazionale, fondando il proprio ragionamento sulla natura propria dell’execeptio compromissi, ha confermato che la previsione di una clausola compromissoria non esclude il ricorso al procedimento monitorio per l’ottenimento del decreto ingiuntivo, dal momento che  “il difetto di giurisdizione nascente dalla presenza di una clausola compromissoria siffatta può essere rilevato in qualsiasi stato e grado del processo a condizione che il convenuto non abbia espressamente o tacitamente accettato la giurisdizione italiana, e dunque solo qualora questi, nel suo primo atto difensivo, ne abbia eccepito la carenza”; escluso il contraddittorio nella fase monitoria e sottratta (temporaneamente) la facoltà alla parte ingiunta di sollevare la relativa eccezione, il decreto ingiuntivo può essere concesso dal giudice ordinario.

Scrive ancora il Collegio milanese che tale granitico orientamento giurisprudenziale può trovare ulteriore conforto anche nella nuova formulazione dell’art. 819 ter, co. 2, c.p.c., quale modificato da Corte cost., 16-19 luglio 2013, n. 223, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della disposizione, «nella parte in cui esclude l’applicabilità, ai rapporti tra arbitrato e processo, di regole corrispondenti all’art. 50 del codice di procedura civile».

Si tratta, come noto, di una facoltà e non di un obbligo posto a carico delle parti, posto che la translatio iudicii che consegue alla riassunzione del giudizio arbitrale fa salvi gli effetti della domanda prodotti dall’introduzione del giudizio ordinario, come avviene per l’effetto interruttivo sia istantaneo che permanente della prescrizione, ai rispettivi sensi dell’art. 2943 co. 3° e 2945, co. 2° del codice civile (cfr. Cass., ord. n. 22002 del 6/12/2012).

La sintesi raggiunta dalla giurisprudenza in commento è chiara ed inequivocabile: il decreto ingiuntivo opposto è nullo e quindi deve essere revocato se il debitore ingiunto che ha incardinato la relativa opposizione solleva tempestivamente l’eccezione di compromissoria.

Quod nullum est nullum producit effectum, sicché al venir meno dell’accertamento del credito seguirà anche il venir meno dell’eventuale efficacia provvisoriamente esecutiva di cui il titolo monitorio fosse stato munito da parte del giudice togato.

Non particolarmente problematica è la soluzione se l’ingiungente non ha iniziato l’azione esecutiva oppure se questa è ancora alle sue fasi iniziali: secondo la Suprema Corte (Cass. n. 2727/2017), il venir meno del titolo esecutivo determina automaticamente anche la caducazione dell’esecuzione fondata su quel titolo e, in generale, degli atti di esecuzione (fatti salvi gli effetti di cui all’art. 653 comma 2 c.p.c.), senza alcuna necessità per il debitore di proporre un’opposizione esecutiva ex art. 615 c.p.c. onde far valere tale sopravvenuta inefficacia.

L’accertamento definitivo (in senso affermativo ovvero negativo) delle ragioni creditorie azionate monitoriamente sarà contenuto nel lodo che gli arbitri pronunceranno all’esito del procedimento e che, in forza dell’exequatur, consentirà al titolare del diritto di ottenere, anche forzosamente, la soddisfazione del proprio credito. Anche pendente il procedimento arbitrale, come noto, le parti potranno tutelare i propri ritenuti crediti con le opportune e pertinenti azioni cautelari, da esperire avanti al giudice ordinario, posto il divieto di cui all’art. 818 c.p.c.

È, invero, possibile che nelle more della proposizione dell’opposizione a decreto ingiuntivo (introdotta con la notifica dell’atto di citazione nel rispetto di tutti termini di cui all’art. 163 c.p.c.), della fissazione della prima udienza e della costituzione del convenuto e dell’iniziale trattazione della causa, l’azione esecutiva sia non solo iniziata, ma addirittura terminata.

Deve anzitutto ricordarsi che “la richiesta dell’opponente di ripetizione delle somme versate in forza della provvisoria esecutività del Decreto Ingiuntivo opposto non è qualificabile come domanda nuova e deve ritenersi implicitamente contenuta nell’istanza di revoca del decreto stesso, così come formulata nell’atto di opposizione, costituendo essa solo un accessorio di tale istanza ed essendo il suo accoglimento necessaria conseguenza, ex articolo 336 c.p.c., dell’eliminazione dalla realtà giuridica dell’atto solutorio posto in essere” (così Cass., 24/10/2018, n. 26926 che richiama il precedente conforme Cass.[ord.], sez. 3/2/2017, n. 2946).

Tuttavia, in presenza di una tempestiva e valida exceptio compromissi, il giudizio di opposizione si chiuderà verosimilmente alla prima udienza con una pronuncia di difetto di competenza in favore degli arbitri, nulla potendo statuire il giudice ordinario circa la condanna del creditore alla restituzione delle somme versate in forza della provvisoria esecutorietà del decreto opposto.

È dubbio, ed è questione che qui solo accenniamo, se la domanda restitutoria possa essere sottoposta alla cognitio arbitrorum.

In ogni caso, anche considerando che nel corso del giudizio arbitrale non è ammissibile la pronunzia di ordinanze anticipatorie di condanna ai sensi degli art. 186 bis e 186 ter c.p.c. (Arb. Bolzano, 26-10-1999, Riv. arbitrato, 2001, 771, n. Cavallini), a nostro avviso, essendo il credito nascente da un rapporto obbligatorio diverso da quello per le quali le parti avevano previsto la clausola compromissoria (di norma, contenuta negli statuti societari), ben potrebbe il debitore esecutato ottenere soddisfazione attraverso un decreto ingiuntivo (cfr. Cass. 24/10/2018, n. 26926), la cui eventuale opposizione non potrebbe essere fondata sulla base dell’exceptio compromissi, valida per il contenzioso d’origine, ma non applicabile al rapporto di debito/credito insorto successivamente e per fonte diversa da quella contrattuale, trattandosi di condictio indebiti.