3 Maggio 2023

L’estensione della responsabilità del produttore al fornitore nel caso in cui quest’ultimo abbia semplicemente la medesima denominazione del produttore: rinvio alla Corte di Giustizia dell’Unione europea

di Emanuela Ruffo, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ. Sez. Terza Ord., 06/03/2023, n. 6568, Pres. Travaglino, Est. Graziosi

Responsabilità per danno da prodotti difettosi – Responsabilità del fornitore ex art. 4 d.p.r. n. 224 del 1988 (ora art. 116 del d.lgs. n. 206 del 2005) – Presupposti

[1] La Terza Sezione Civile, in tema di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ha disposto il rinvio pregiudiziale alla CGUE, ai sensi dell’art. 267 TFUE, formulando il quesito «se sia conforme all’art. 3, comma 1, dir. 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché il fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore».

Disposizioni applicate

Art. 4 D.p.r. 224/1988, Direttiva 85/374/CEE

CASO

Un consumatore che aveva acquistato un veicolo ha adito la casa produttrice della propria auto per chiedere il risarcimento dei danni da lui subiti in un sinistro automobilistico in cui non aveva funzionato l’air-bag della vettura.

La convenuta si è costituita negando di essere la produttrice ed eccependo di non essere responsabile del difetto del prodotto lamentato, in quanto il fornitore non ne risponde se il produttore è individuato e comunque ne risulta comunicata l’identità al consumatore, come avvenuto nel caso di specie.

In primo grado il Tribunale accertava la responsabilità extracontrattuale della convenuta per difetto di fabbricazione dell’air-bag.

Impugnata la sentenza da parte del convenuto, la Corte d’appello rigettava il gravame. La convenuta presentava quindi ricorso alla Corte di Cassazione per chiedere altresì, qualora necessario, il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione con la presente ordinanza interlocutoria chiede alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea di pronunciarsi in via pregiudiziale sulla seguente questione di diritto: «se sia conforme all’art. 3, comma 1, dir. 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché il fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore».

QUESTIONI

La sentenza in commento si è occupata della responsabilità del fornitore per difetto del prodotto, in particolare della fattispecie di cui all’art. 4 del d.p.r. 224/1988 che estende al fornitore la responsabilità del produttore quando questi non sia individuato, per assicurare al consumatore una tutela più ampia.

L’art. 4 del d.p.r. 224/1988 prevede quanto segue: “1. Quando il produttore non sia individuato, è sottoposto alla stessa responsabilità il fornitore che abbia distribuito il prodotto nell’esercizio di un’attività commerciale, se abbia omesso di comunicare al danneggiato, entro il termine di tre mesi dalla richiesta, l’identità e il domicilio del produttore o della persona che gli ha fornito il prodotto. 2. La richiesta deve essere fatta per iscritto e deve indicare il prodotto che ha cagionato il danno, il luogo e, con ragionevole approssimazione, il tempo dell’acquisto; deve inoltre contenere l’offerta in visione del prodotto, se ancora esistente. 3. Se la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio non è stata preceduta dalla richiesta prevista dal comma 2, il convenuto può effettuare la comunicazione entro i tre mesi successivi. 4. In ogni caso, su istanza del fornitore presentata alla prima udienza del giudizio di primo grado, il giudice, se le circostanze lo giustificano, può fissare un ulteriore termine non superiore a tre mesi per la comunicazione prevista dal comma 1.  5. Il terzo indicato come produttore o precedente fornitore può essere chiamato nel processo a norma dell’art. 106 del codice di procedura civile e il fornitore convenuto può essere estromesso, se la persona indicata comparisce e non contesta l’indicazione. Nell’ipotesi prevista dal comma 3, il convenuto può chiedere la condanna dell’attore al rimborso delle spese cagionategli dalla chiamata in giudizio”.

Nel caso di specie tale norma è stata interpretata dal giudice del merito intendendo che l’obbligo del fornitore si estendesse alla necessaria chiamata in causa del produttore nel giudizio per risarcimento del danno, al fine della sua individuazione in sede giudiziale e della propria conseguente estromissione, chiamata in causa non c’è stata in primo grado, con la conseguenza che il Tribunale ha ritenuto il convenuto responsabile ai sensi del cennato art. 4.

Ciò è stato confermato anche in secondo grado, posto che la Corte d’appello ha ritenuto che l’onere di individuazione del produttore imposto dalla norma non si traduce solo nella comunicazione dei dati identificativi, ma include anche la chiamata in causa in modo che si possa verificare in sede giurisdizionale se i dati forniti erano corretti e quindi se il chiamato in causa sia davvero il produttore e ciò al fine di rafforzare la tutela del consumatore.

Sotto questo primo profilo, la Corte di Cassazione si discosta dall’orientamento dei giudici del merito, affermando che pretendere che l’art. 4 imponga anche la chiamata in causa del produttore per liberare il fornitore costituisce una deformante lettura della norma, anche con riguardo all’art. 106 c.p.c. che con riferimento all’istituto della chiamata in causa prevede la facoltà, e non l’obbligo, della parte di provvedervi.

L’altra questione affrontata dalla Corte di legittimità, che ha portato al quesito sottoposto alla Corte di Giustizia Europea, riguarda il concetto di produttore.

L’art. 3 del d.p.r. 224/1988 lo definisce come “il fabbricante del prodotto finito o di una sua componente e il produttore della materia prima”, estendendo la qualità di produttore, al terzo comma, anche a chi si presenti come tale “apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto o sulla sua confezione.

La norma di diritto interno rispecchia direttamente il contenuto della direttiva 85/374/CEE, che dispone quanto segue: “considerando che ai fini della protezione del consumatore è necessario considerare responsabili tutti i partecipanti al processo produttivo se il prodotto finito o la parte componente o la materia prima da essi fornita sono difettosi: che per lo stesso motivo è necessario che sia impegnata la responsabilità dell’importatore che introduca prodotti nella Comunità europea e quella di chiunque si presenti come produttore apponendo il suo nome, marchio o altro segno distintivo o fornisca un prodotto il cui produttore non possa essere identificato”.

L’art. 3 della cennata direttiva definisce inoltre quale produttore anche “ogni persona che, apponendo il proprio nome, marchio o altro segno distintivo sul prodotto, si presenta come produttore stesso”.

Nel caso di specie la società fornitrice ha condiviso la qualità di produttrice apponendo il proprio nome in modo del tutto evidente al prodotto, così realizzando a parere della Corte una “autopresentazione” così come prevista dal cennato art. 3.

Tale “autopresentazione” si realizza qualora l’apposizione sia una materiale impressione dell’elemento distintivo sul prodotto o se l’apposizione sia latu sensu e, dunque, includa pure la presenza dell’elemento distintivo rinvenibile sul prodotto anche nei dati identificativi del soggetto che in tal modo di presenta come produttore, generando una confusione di individuazione del produttore che potrebbe risolversi a favore del consumatore.

Il quesito pertanto che si è posta la Suprema Corte è il seguente: la condivisione di elementi identificativi adeguati a confondere deve ritenersi frutto di una intenzionale specifica apposizione perché sia rafforzata la tutela del consumatore oppure è sufficiente una semplice coincidenza da sanzionare con la responsabilità paritaria rispetto all’effettivo produttore?

Da questo dubbio interpretativo (che sorge sia dal testo della direttiva europea che dalla normativa interna) è sorto quindi il quesito alla Corte di Giustizia nei seguenti termini: «se sia conforme all’art. 3, comma 1, dir. 85/374/CEE – e, se non sia conforme, perché non lo sia – l’interpretazione che estenda la responsabilità del produttore al fornitore, anche se quest’ultimo non abbia materialmente apposto sul bene il proprio nome, marchio o altro segno distintivo, soltanto perché il fornitore abbia una denominazione, un marchio o un altro segno distintivo in tutto o in parte coincidenti con quello del produttore».

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