27 Giugno 2023

L’esenzione da revocatoria dei pagamenti effettuati nei termini d’uso

di Ludovica Carrioli, Avvocato Scarica in PDF

Cass. Civ., Sez. I, 26 aprile 2023, n. 10997, ord.

Massima: “L’effetto dell’esenzione dell’art. 67, terzo comma, lett. a), l. fall., è quello di rendere non revocabili quei pagamenti i quali, pur avvenuti oltre i tempi contrattualmente prescritti, siano stati di fatto eseguiti ed accettati in termini diversi, nell’ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore a quelli de quibus.  Ai fini dell’accertamento, il Giudice dovrà valutare la sussistenza di una prassi invalsa tra le parti in epoca prossima ai pagamenti revocandi” (massima non ufficiale).

Disposizioni applicate: art. 67, co. 3, lett. a), l.fall.

Parole chiave: revocatoria – termini d’uso – ritardo pagamenti – prassi

CASO

La Corte d’Appello di Perugia, ribaltando la sentenza di primo grado resa dal Tribunale di Terni, dichiarava la revocabilità di una serie di pagamenti, escludendo l’applicabilità dell’esenzione di cui alla lett. a) del comma 3, dell’art. 67, l.fall.

Per la Corte, infatti, la circostanza che i pagamenti fossero avvenuti con un ritardo sempre maggiore rispetto a quello ritenuto “solito”, portava ad escludere la possibilità di ritenere tali ritardi nei termini d’uso, come ulteriormente comprovato dai numerosi solleciti inviati dalla Società Alfa, creditrice, alla Società Beta, debitrice.

Sussisteva, inoltre, la scientia decoctionis dell’accipiens, comprovata da elementi presuntivi quali (i) articoli di stampa; (ii) risultanze di bilancio; (iii) rifiuto del revisore di esprimere il proprio parere sul bilancio; (iv) attivazione della cassa integrazione; (v) sospensione delle forniture e interruzione dell’attività produttiva.

La società Alfa, accipiens condannata alla restituzione degli importi ricevuti, ricorreva in cassazione, chiedendo la riforma della sentenza della Corte perugina, assumendo l’erroneità del decisum del Giudice nella misura in cui aveva escluso l’applicabilità dell’esenzione prevista dall’art. 67, co. 3, lett. a), l.fall.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione, in accoglimento del ricorso della Società Alfa, ha cassato la sentenza impugnata e disposto il rinvio alla Corte d’Appello di Perugia, in diversa composizione.

In particolare, la Corte ha statuito che il giudice d’appello, pur essendo tenuto a verificare l’esistenza di una prassi anteriore, adeguatamente consolidata e stabile, non si è preoccupato di accertare quale fosse la consuetudine negoziale invalsa fra le parti in un’epoca prossima ai pagamenti revocandi, arrestando la propria analisi a condotte risalenti a quattro anni addietro e dunque non significative della “normalità” di un atto di adempimento compiuto in coerenza con la pratica esistente al momento della sua esecuzione.

La motivazione del giudice a quo, che risultava contraddittoria e viziata dall’omesso esame della documentazione relativa ai pagamenti avvenuti in epoca più recente, doveva dunque essere riformata.

QUESTIONI

La sentenza affronta la questione dell’ambito di applicazione dell’esenzione da revocatoria di cui all’art. 67, comma 3, lett. a) l.fall.

La norma è stata introdotta nel 2005, con il d.l. n. 35/2005, e, già all’indomani della sua introduzione, ha ingenerato un ampio dibattito, mai veramente sopito, nemmeno con l’introduzione del Codice della Crisi, considerato che il legislatore ha mantenuto invariata l’esenzione in commento nel corpo dell’art. 166.

Secondo la maggioranza degli interpreti, la norma, e in particolare l’espressione “termini d’uso” attiene non solo al tempo dell’adempimento ma anche alla modalità di esecuzione, secondo un criterio soggettivo (e cioè afferente al rapporto tra l’imprenditore-debitore e l’accipiens) e non oggettivo (e cioè parametrato sul settore merceologico/mercato di riferimento).

Questo orientamento ha trovato l’avallo anche da parte della Corte di Cassazione che ha avuto modo di confermare che per valutare se un pagamento è, o meno, nei termini d’uso debba tenersi conto non già delle prassi tipiche del settore economico di riferimento in cui operano debitore e creditore (Cass. n. 27939/2020), ma alle modalità di pagamento concretamente invalse tra le parti (Cass. n. 19373/2021).

Quanto alle modalità di pagamento invalse tra le parti, ad un criterio molto formalistico, se ne sta affiancando – e sostituendo – uno più elastico e più attento all’atteggiarsi del rapporto in concreto; infatti, se in un primo momento l’attenzione era incentrata sui termini previsti pattiziamente, escludendosi l’applicabilità dell’esenzione a quei pagamenti difformi (in termini di tempo o di modalità) dalla previsione contrattuale (v. ad es. Trib. Milano, Sez. II, 3.5.2012, in www.ilcaso.it), oggi si afferma che possano considerarsi nei “termini d’uso” anche quei pagamenti che, seppur avvenuti in modo difforme rispetto all’accordo contrattuale o ad una sua successiva modifica, siano stati, anche per comportamenti di fatto, eseguiti e accettati in termini diversi, nell’ambito di plurimi adempimenti con le nuove caratteristiche, evidenziatesi già in epoca anteriore ai pagamenti revocandi, i quali non possono più considerarsi eseguiti in ritardo (ossia “inesatti adempimenti”), ma divenuti esatti adempimenti (Cass. n. 27939/2020).

Dunque, incomberà sull’accipiens l’onere di dimostrare la “consistenza della quotidianità” sotto il profilo delle modalità di adempimento invalse tra le parti, per consentire al giudice di valutare se vi sia stato uno scostamento dai termini consueti sino ad allora seguiti (in tal senso v. Cass. 9851/2019).

Con la sent. n. 4482/2021, la Corte di Cassazione ha preso poi posizione sulla questione della possibilità di modifica dei termini durante il rapporto, statuendo che l’esenzione di cui alla lett. a), comma 3, dell’art. 67 l.fall., non possa intendersi funzionale ad un’estensione della tutela dell’accipiens al di là dei casi di normale consuetudine. In poche parole, esenzione sì, ma solo quando i “nuovi termini” siano divenuti consuetudinari prima dell’esecuzione dei pagamenti.

La sentenza in commento si inserisce proprio qui, sull’orizzonte temporale da prendere in considerazione per verificare la “prassi” invalsa tra le parti.

Ferma la necessità, per il giudice, di verificare se esista una prassi tra le parti “adeguatamente consolidata e stabile”, è però necessario che il medesimo valuti e accerti quale fosse la consuetudine negoziale “in un’epoca prossima ai pagamenti revocandi”, non essendo sufficiente prendere in considerazione una prassi risalente nel tempo, che ormai nulla dice rispetto alla “normalità” di un atto di adempimento compiuto in coerenza con la pratica esistente al momento della sua esecuzione.

Quindi, confermando l’orientamento per cui “se il ritardo rispetto alla scadenza pattiziamente convenuta sia divenuto una consuetudine, senza determinare una specifica reazione della controparte, a parte l’intimazione di solleciti, tale prassi deve ritenersi prevalente rispetto al regolamento negoziale” espresso nella sentenza n. 7580/2019, la Corte ha fornito un ulteriore parametro interpretativo o, più correttamente, un esatto riferimento temporale da prendere in considerazione per verificare la sussistenza della c.d. prassi che porti ad affermare, o meno, l’esenzione da revocatoria dei pagamenti presi in considerazione.

Questa pronuncia si pone nel solco di una serie di sentenze della Corte di legittimità volte a definire il perimetro delle revocatorie fallimentari e delle esenzioni e a fornire dei criteri interpretativi più focalizzati sul rapporto in concreto e, quindi, meno astratti e formali.

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