L’errore materiale nelle decisioni della Corte di Cassazione ed il suo rilievo d’ufficio
di Michele Ciccarè Scarica in PDFCass., sez. VI, 21 febbraio 2017, n. 4498
Impugnazioni civili – decisione Corte di Cassazione – erronea indicazione componenti Collegio Giudicante – vizio di inesistenza – esclusione – errore materiale – sussistenza (Cod. proc. civ., artt. 158; 161; artt. 287; 391bis)
Impugnazioni civili – decisione Corte di Cassazione – errore materiale – procedimento di correzione d’ufficio – modalità (Cod. proc. civ., artt. 380bis; 384; 391bis)
[1] Non costituisce vizio di inesistenza giuridica della decisione giurisdizionale, bensì ipotesi di errore materiale, l’erronea indicazione, nell’intestazione della pronuncia emanata, dei componenti del Collegio.
[2] La correzione dell’errore materiale rilevato d’ufficio dalla Corte di Cassazione ex art. 391bis, co. 1, c.p.c., non può prescindere da un previo atto formale di impulso da parte del Presidente della Sezione che ha emesso il provvedimento ove è stato rilevato l’errore materiale, dovendosi a tal fine instaurare un procedimento contraddistinto da un autonomo numero di iscrizione al ruolo generale.
CASO
[1] [2] All’esito del giudizio di revocazione instaurato ex art. 391 bis c.p.c. dinanzi alla Suprema Corte avverso una precedente sentenza di legittimità, veniva pubblicata la relativa decisione di rigetto, ovvero Cass., 19 febbraio 2015, n. 3298.
Eppure, con istanza del 25 ottobre 2016 proposta ex art. 3, l. 117/1988, gli originari ricorrenti in revocazione lamentavano la mancata definizione del procedimento instaurato, sostenendo che la pronuncia del 19 febbraio 2015 non fosse riconducibile al Collegio effettivamente presente all’adunanza camerale dell’11 dicembre 2014. Ciò in quanto nella decisione emanata veniva menzionato come quinto Consigliere il «Dott. Raffaele Ambrosio», in luogo del Dott. Raffaele Frasca.
Dunque, sempre stando alla prospettazione dei ricorrenti, tale istanza veniva proposta al fine di conseguire l’effettiva disamina del ricorso in revocazione entro i successivi trenta giorni, dovendosi considerare tamquam non esset la pronuncia del 19 febbraio 2015, siccome emanata da un organo diverso rispetto a quello deputato alla definizione della controversia.
SOLUZIONE
[1] I giudici di legittimità ritengono infondata la richiesta avanzata ex art. 3, l. 117/1988 per diniego di giustizia, ovvero afferente «il rifiuto, l’omissione o il ritardo del magistrato nel compimento di atti del suo ufficio», dovendosi considerare il giudizio di revocazione già definito a tutti gli effetti da Cass., 19 febbraio 2015, n. 3298. Infatti, dal verbale redatto risulta evidente «l’identità del Consigliere effettivamente presente all’adunanza camerale al cui esito è stata pronunciata l’ordinanza 19/02/2015 n. 3298», ovvero il Dott. Raffaele Frasca.
[2] La pronuncia in analisi risulta interessante anche sotto altro profilo, in quanto i giudici di legittimità, in questa sede, rilevano d’ufficio la sussistenza di un errore materiale nell’indicazione dei componenti del Collegio. L’indicazione del «Dott. Raffaele Ambrosio», infatti, costituisce un chiaro refuso, in quanto originariamente faceva parte del Collegio la Dott.ssa Annamaria Ambrosio, poi sostituita con decreto del Presidente di Sezione per incompatibilità, siccome la stessa era già stata componente del Collegio che aveva pronunciato la sentenza oggetto di revocazione.
Oltretutto, dal ruolo organico della Magistratura in servizio presso la Corte di cassazione all’11 dicembre 2014, non risulta alcun Consigliere con nominativo «Raffaele Ambrosio»; trattati, dunque, di un mera «discrasia tra intestazione del provvedimento e risultanze dei verbali di adunanza».
QUESTIONI
[1] L’insussistenza del vizio d’inesistenza della decisione nei casi di erronea – ovvero omessa – indicazione del giudice che ha pronunciato la sentenza è da tempo pacifico in giurisprudenza.
Difatti, l’inesistenza giuridica della sentenza è «configurabile, oltre che nell’ipotesi espressamente prevista dall’art. 161, secondo comma, c.p.c. (mancanza della sottoscrizione del giudice), solo quando la sentenza manchi di quel minimo di elementi e di presupposti necessari per la produzione dell’effetto di certezza giuridica propria del giudicato, o quando sia pronunciata da un organo privo di potestas iudicandi» (per tutte Cass., 30 luglio 1998, n. 7486).
Tanto premesso, va pure rilevato che in passato, secondo parte minoritaria della giurisprudenza, tale circostanza poteva integrare una nullità ex art. 158 c.p.c. quando i componenti dell’organo giudicante non fossero comunque individuabili dal tenore complessivo della decisione (così Cass., 8 giugno 1995, n. 6494).
Ad ogni modo, questo orientamento è stato del tutto superato dalla Suprema Corte mediante un indirizzo oggi dominante, per il quale in situazioni del genere «la sentenza deve presumersi affetta da errore materiale, come tale emendabile con la procedura di correzione di cui agli artt. 287, 288 c.p.c., considerato che l’intestazione è priva di autonoma efficacia probatoria, esaurendosi nella riproduzione dei dati del verbale d’udienza, e che in difetto di elementi contrari, si devono ritenere coincidenti i magistrati indicati nel verbale come componenti del collegio giudicante con quelli che in concreto hanno partecipato alla deliberazione della sentenza» (Cass., 30 luglio 1998, cit.; conformi Cass., 11 marzo 2015, n. 4875; Cass., 19 ottobre 2006, n. 22497; Cass., 5 marzo 2003, n. 3258; Cass., 6 novembre 1991, n. 11853; Cass., 4 gennaio 1978, n. 35).
[2] La pronuncia in commento costituisce la prima applicazione dell’art. 391 bis, co. 1, c.p.c., così come delineato dall’art. 1 bis, co. 1, lett. 1, n. 1, d.l. 168/2016, conv. con mod. in l. 197/2016, il quale attribuisce alla Corte di cassazione il potere di rilevare d’ufficio ed in qualsiasi tempo eventuali errori materiali presenti nelle proprie decisioni.
Orbene, si chiarisce che il procedimento di correzione dell’errore materiale ravvisato d’ufficio dalla Corte di cassazione deve prendere avvio con un formale atto di impulso del Presidente della Sezione che aveva emesso siffatto provvedimento, dal quale originerà un autonomo giudizio, «essendo evidente l’interesse delle parti, che avevano svolto attività difensiva dinanzi ad essa nel procedimento concluso con quel provvedimento, ad interloquire sulla sussistenza o meno di quello stesso errore, viste le conseguenze che esso potrebbe avere in concreto sulle rispettive posizioni processuali, se non anche sostanziali».
Inoltre, come ufficioso è stato il rilievo, ufficiosa deve essere anche la comunicazione dell’instaurazione del procedimento di correzione materiale: pertanto, essa incomberà in capo alla cancelleria della Suprema Corte nei confronti di tutte le parti già costituite nel giudizio di legittimità conclusosi con il provvedimento da emendare.
Viene infine precisato che, stante la peculiarità di tale procedimento ufficioso, non può farsi applicazione dell’art. 288, co. 3, c.p.c., viceversa dettato per la correzione dell’errore materiale su istanza di parte; dunque, la comunicazione verrà sempre effettuata ai procuratori costituitisi nel precedente giudizio definito con il provvedimento da emendare.
Tale ultima indicazione potrebbe ad ogni modo comportare complicanze sul piano pratico, qualora medio tempore l’avvocato sia stato cancellato dall’albo professionale (per la nullità della notificazione effettuata all’avvocato cancellatosi volontariamente dall’albo v. Cass., 13 febbraio 2017, n. 3702).