29 Ottobre 2019

Quando è legittimo il risarcimento al socio per il danno arrecato da terzi ad una società di capitali?

di Virginie Lopes, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. III Ord., 20 giugno 2019, n. 16581

Parole chiave: Società di capitali – Costituzione – Modi di formazione del capitale – Diritti spettanti agli azionisti – Responsabilità civile, in genere – Danno arrecato da terzi alla società e ai soci – Diritto al risarcimento in capo al singolo socio – Sussistenza – Presupposti

MassimaQualora terzi arrechino danno ad una società di capitali, il socio è legittimato a domandare il ristoro del pregiudizio da lui subito ove non risarcibile alla società perché riguardante la sfera personale (diritto all’onore od alla reputazione) o la perdita di opportunità personali, economiche e lavorative dello stesso socio o la riduzione del cd. merito creditizio di quest’ultimo. (Cassa con rinvio, Corte d’Appello Roma, 02/11/2015)

Disposizioni applicate: artt. 2043 c.c., 2395 c.c..

Nell’ordinanza in esame, la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione è stata chiamata ad esprimersi in merito ad una domanda di risarcimento del danno proposta dal socio e fideiussore di due società di capitali nei confronti del Ministero dello sviluppo economico e del Ministero dell’economia e delle finanze in conseguenza (i) della illegittima revoca di alcuni contributi pubblici e (ii) dell’inadempimento di alcuni obblighi contrattuali nei confronti delle suddette società, circostanze che avevano causato il dissesto delle suddette società (infatti poi entrambe fallite) a fronte del quale era intervenuta l’escussione della fideiussione posta a garanzia dei suddetti contributi.

Nel caso di specie, il giudice di prime cure e la Corte d’Appello di Roma, avevano ritenuto, in particolare, che il socio non fosse legittimato a richiedere il risarcimento dei danni in quanto avrebbero costituito mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alle società, uniche legittimate ad agire per il ristoro dei pregiudizi lamentati.

L’ordinanza in esame, pur non costituendo una particolare innovazione, poiché si rifà ad un precedente giurisprudenziale del 2013 (Cass. civ., Sez. I, Sent., 11 novembre 2013, n. 27733), rappresenta un’occasione di ragionamento sul sistema del diritto societario, che impone di tenere distinti e separati i danni direttamente inferti al patrimonio del socio rispetto a quelli che costituiscono il mero riflesso di danni arrecati alla società.

Come noto, i soci di una società di capitali non hanno alcuna legittimazione a richiedere, a titolo personale, il risarcimento dei danni che terzi arrecano alla società. La Suprema Corte, nel caso in esame, ha ribadito che laddove il pregiudizio sia stato arrecato unicamente al patrimonio sociale, il risarcimento spetta esclusivamente alla società poiché:

(i) il risarcimento del danno in capo alla società costituisce di per sé una forma di ristoro indiretto per il socio;

(ii) anche lo stesso pregiudizio lamentato dal socio costituirebbe un pregiudizio “indiretto” poiché “porzione” del danno subito dalla società; di talché, il danno subito dal socio rappresenta una mera ripercussione del danno inferto alla società (ossia un c.d. “danno riflesso”, sul quale si sono uniformemente espresse, in passato, fra le altre, Cass. civ., Sez. I, 8 settembre 2005, n. 17938 e Cass. Civ., Sez. Unite, 24 dicembre 2009, n. 27346).

Diversamente, come già chiarito nel precedente giurisprudenziale del 2013, un danno non può considerarsi meramente riflesso laddove non sussista una possibilità di ristoro indiretto a favore del socio, con la conseguenza che il socio è legittimato a chiedere il risarcimento con riferimento ai danni che vanno ad impattare immediatamente sulla sua sfera personale o sulle sue opportunità personali, economiche e lavorative (c.d. danni diretti), aventi questi natura extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c..

Nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto che il dissesto economico delle società di capitali (poi fallite), da cui è conseguita l’escussione della garanzia fideiussoria, fosse, quantomeno in via presuntiva, dipeso dall’illegittimità della revoca dei contributi e dagli inadempimenti contrattuali posti in essere dal Ministero. I giudici hanno quindi qualificato come legittima la domanda risarcitoria proposta dal socio (e fideiussore) nei confronti dei soggetti che avevano posto in essere le condotte fonte di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 c.c.. e in definitiva accolto il ricorso, cassando (con rinvio) la sentenza della Corte d’Appello di Roma.