Legittimo il pagamento differito e rateale del TFS ai dipendenti pubblici a seguito di cessazione anticipata dal servizio. Questioni aperte circa la legittimità di tali modalità di erogazione del TFS anche nelle ipotesi di raggiungimento dei limiti di età e di servizio
Corte Costituzionale, decisione del 17 aprile 2019, depositata il 25 giugno 2019, n. 159
Indennità di fine servizio dei dipendenti pubblici – pagamento differito – legittimità – pensionamento per ragioni diverse dal raggiungimento del limite massimo di età e di servizio
Il caso
Con ordinanza n. 136/2018, il Tribunale di Roma, sezione lavoro, ha investito la Corte Costituzionale della questione di legittimità dell’art. 3, co. 2, del D. L. 28 marzo 1997, n. 79 (convertito con modificazioni con Legge 28 maggio 1997, n. 140) e successive modifiche, nonché dell’art. 12, co. 7, del D. L. 31 maggio 2010, n. 78 (convertito con modificazioni con Legge 30 luglio 2010, n. 122) e successive modifiche, nella parte in cui dispongono, rispettivamente, il pagamento differito e rateale dei trattamenti di fine servizio (o TFS) spettanti ai dipendenti pubblici.
In particolare il Giudice rimettente nel sottoporre la questione di legittimità alla Corte Costituzionale ha sostenuto che le disposizioni censurate, nel prevedere il pagamento differito e rateale dei trattamenti di fine servizio “comunque denominati” spettanti ai dipendenti pubblici, creerebbero un’arbitraria disparità di trattamento tra il settore pubblico e il settore privato con riferimento ai tempi di liquidazione delle indennità di fine rapporto (che nel settore privato avviene pressoché immediatamente o poco dopo la cessazione del rapporto di lavoro, ossia con l’emissione dell’ultima busta paga), con conseguente lesione del principio di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., nonché del principio di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione di cui all’art. 36 Cost.
La questione ha preso le mosse dal ricorso promosso da una ex dipendente del Ministero della giustizia, in pensione per motivi di anzianità, per ottenere dal Tribunale di Roma, sezione lavoro, la condanna dell’INPS al pagamento <<dell’indennità di buonuscita senza dilazioni e rateizzazioni e comunque con il riconoscimento degli interessi e della rivalutazione dal dovuto al saldo>>.
Da qui la necessità di rimettere la questione alla Corte Costituzionale, in quanto solo una declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 3, co. 2, del D. L. 28 marzo 1997, n. 79 e dell’art. 12, co. 7, del D. L. 31 maggio 2010, n. 78, avrebbe reso possibile l’accoglimento del ricorso da parte del Tribunale di Roma.
Tali norme prevedono, infatti, espressamente che: <<alla liquidazione dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati, per i dipendenti di cui al comma 1, loro superstiti o aventi causa, che ne hanno titolo, l’ente erogatore provvede decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età o di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d’ufficio a causa del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell’amministrazione, decorsi dodici mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro. Alla corresponsione agli aventi diritto l’ente provvede entro i successivi tre mesi, decorsi i quali sono dovuti gli interessi>> (art. 3, co. 2, del D. L. 28 marzo 1997, n. 79); <<il riconoscimento dell’indennità di buonuscita, dell’indennità premio di servizio, del trattamento di fine rapporto e di ogni altra indennità equipollente corrisposta una-tantum comunque denominata spettante a seguito di cessazione a vario titolo dall’impiego è effettuato: a) in un unico importo annuale se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente pari o inferiore a 50.000 euro; b) in due importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente superiore a 50.000 euro ma inferiore a 100.000 euro (…) c) in tre importi annuali se l’ammontare complessivo della prestazione, al lordo delle relative trattenute fiscali, è complessivamente uguale o superiore a 100.000 euro>> (art. 12, co. 7, del D. L. 31 maggio 2010, n. 78). Il dettato normativo lascia dunque poco spazio all’interpretazione in quanto disciplina un sistema di erogazione del TFS ben specifico e puntuale che solo la Corte Costituzionale avrebbe potuto e potrà, nei limiti che vedremo, scardinare.
La sentenza
Con sentenza n. 159 adottata il 17 aprile 2019, e depositata il 25 giugno successivo, la Corte Costituzionale, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 3, co. 2, del D. L. 28 marzo 1997, n. 79 e 12, co. 7, del D. L. 31 maggio 2010, n. 78, nella parte in cui – si badi bene – prevedono rispettivamente che alla liquidazione dei trattamenti di fine servizio, comunque denominati l’ente erogatore provveda <<decorsi ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto>> e che il pagamento rateale delle indennità spettanti a seguito di cessazione dell’impiego nelle ipotesi diverse dalla <<cessazione dal servizio per raggiungimento dei limiti di età e di servizio previsti dagli ordinamenti di appartenenza, per collocamento a riposo d’ufficio a causa del raggiungimento dell’anzianità massima di servizio prevista dalle norme di legge o di regolamento applicabili nell’amministrazione>>.
La Corte Costituzionale nell’adottare la propria decisione da un lato fa chiarezza su alcuni punti molto rilevanti della disciplina del TFS dei pubblici dipendenti, mentre dall’altro offre spunti per una nuova valutazione della stessa.
Ciò che rileva della decisione in commento è innanzitutto il fatto che la Corte Costituzionale abbia – correttamente – delimitato l’oggetto della propria statuizione di legittimità a quella parte delle norme impugnate che prevedono la dilazione e rateizzazione del pagamento del TFS per quei dipendenti pubblici che abbiano cessato la propria attività lavorativa per ragioni diverse dal raggiungimento dei limiti di età o di servizio restando impregiudicate le questioni di legittimità costituzionale inerenti tale disciplina.
La ricorrente, infatti, aveva usufruito dell’accesso alla pensione per motivi di anzianità e dunque rientrava nell’applicazione del termine di differimento di ventiquattro mesi dalla cessazione del rapporto, oltre alle eventuali rateizzazioni applicabili in relazione all’importo dovuto dall’ente.
Per quanto riguarda, dunque, la parte della disciplina riferita a quei dipendenti pubblici che cessino la propria attività lavorativa per motivi diversi da quelli sopra detti, ossia quelli che ad esempio abbiano deciso, come la ricorrente, di accedere alla pensione di anzianità, la Corte Costituzionale ha dichiarato la legittimità del pagamento differito e rateale del trattamento di fine servizio per i motivi che seguono.
La Corte Costituzionale ha dichiarato infondata la censura fondata sulla presunta arbitraria disparità di trattamento tra il settore pubblico e il settore privato, quanto ai tempi di liquidazione delle indennità di fine rapporto, in quanto – sostiene la Corte – il lavoro pubblico <<rappresenta un aggregato rilevante della spesa di parte corrente, che, proprio per questo, incide sul generale equilibrio tra entrate e spese del bilancio statale (art. 81 Cost.)>>, pertanto ad avviso della Corte l’esigenza di effettuare un controllo costante sulla spesa pubblica, non può prescindere da una prudente gestione dell’impiego pubblico e delle indennità di fine servizio dei dipendenti pubblici.
Nell’affermare ciò la Corte non prende però posizione sulla questione sollevata dal Tribunale di Roma, per il quale l’esigenza di contenimento della spesa pubblica potrebbe giustificare solo un intervento temporaneo sulla liquidabilità del TFS ai dipendenti pubblici da parte del Legislatore, e non potrebbe invece <<risolversi in una “irragionevole protrazione, in via permanente, della dilazione e scaglionamento” dell’erogazione dei trattamenti di fine servizio>>.
Anche le censure di lesione dei principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità di cui agli articoli 3 e 36 Cost. sono state ritenute infondate dalla Corte.
In particolare la Corte Costituzionale, dopo aver ricordato che <<per giurisprudenza costante di questa Corte (da ultimo, sentenza n. 104 del 2018, punto 6.1), ben può il legislatore “disincentivare i pensionamenti anticipati” (…) e in pari tempo promuovere la prosecuzione dell’attività lavorativa mediante adeguati incentivi>>, e dopo aver sottolineato che tali interventi discrezionali del Legislatore, ancorché astrattamente possibili, non debbono in ogni caso violare i principi di cui agli articoli 3 e 36 Cost., ha dichiarato che nel caso di specie i principi di ragionevolezza e proporzionalità non risultano essere stati violati.
Il motivo per cui secondo la Corte tali principi non sarebbero stati violati è da rinvenirsi nella “linea direttrice” seguita dal Legislatore (nello specifico nell’art. 1, co. 22, lett. a) D. L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito con modificazioni con Legge 14 settembre 2011, n. 148, che ha modificato l’art. 3, co. 2, D. L. 28 marzo 1997, n. 79), il quale si ripropone di disincentivare le cessazioni del rapporto di lavoro pubblico prima del raggiungimento dei limiti di età o di servizio nell’ottica di superare la grave crisi economica e finanziaria del Paese.
Non si tratta dunque, ad avviso della Corte, di tutelare il diritto alla pensione dei dipendenti pubblici ma di stigmatizzare la scelta volontaria del dipendente pubblico che decida di cessare dal rapporto di lavoro – talvolta – anche con molto anticipo dal raggiungimento dei requisiti per il diritto al pensionamento.
La Corte conclude evidenziando la necessità di una revisione generale della disciplina del pagamento del TFS ai dipendenti pubblici e soprattutto la necessità che per i dipendenti che abbiano raggiunto i limiti di età o di servizio venga predisposto un sistema di liquidazione dei trattamenti di fine servizio più rapido e garantista.
In sostanza la Corte lascia intendere che, ove la questione sottoposta al proprio esame avesse riguardato la legittimità del pagamento differito (dodici mesi dalla cessazione del rapporto) e rateale del TFS ai dipendenti che abbiano raggiunto il diritto alla pensione allora – probabilmente – la declaratoria di legittimità sarebbe stata diversa.
Centro Studi Forense - Euroconference consiglia