Legittimità del licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto senza alcuna violazione del requisito di tempestività
di Evangelista Basile Scarica in PDFCassazione Civile, Sezione Lavoro, 22 agosto 2016, n. 17243
Licenziamento – superamento del periodo di comporto – ripresa del servizio
MASSIMA
Fermo restando il potere datoriale di recedere non appena terminato il periodo di comporto, anche prima del rientro del lavoratore, è riconosciuto al datore di lavoro anche la facoltà di attendere il rientro al fine di sperimentare in concreto l’eventuale possibilità di riutilizzare il dipendente all’interno dell’assetto organizzativo aziendale nel frattempo cambiato. solo a decorrere dal rientro in servizio, l’inerzia datoriale nel recedere dal rapporto può essere oggettivamente sintomatica della volontà di rinuncia del potere di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e ingenerare un corrispondente incolpevole affidamento da parte del dipendente, non potendosi parlare di rinuncia tacita al recesso per superamento del periodo di comporto in casi nei quali il presunto ritardo si colloca nel protrarsi dell’assenza dal lavoro e non successivamente alla ripresa del servizio.
COMMENTO
La Cassazione, rigettando il ricorso proposto dal lavoratore, ha confermato la sentenza della Corte d’Appello, la quale aveva dichiarato legittimo il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto senza alcuna violazione del requisito di tempestività. Sulla scorta di una giurisprudenza costante sul punto, la Suprema Corte ricorda che il datore di lavoro non è obbligato ad intimare il licenziamento per superamento del periodo di comporto non appena tale ipotesi si verifica, né quando il lavoratore rientra in servizio. Il tutelato interesse del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale deve coesistere con il riconoscimento di un ragionevole spatium deliberandi, ossia della facoltà al datore di lavoro di un lasso di tempo dopo il rientro del dipendente per stabilire se in concreto vi siano ancora possibilità di impiego per il lavoratore, nonostante l’assetto organizzativo aziendale sia nel frattempo cambiato. Pertanto, il rientro in servizio del dipendente anche dopo il superamento del periodo di comporto non rappresenta la rinuncia del datore di lavoro all’esercizio del suo potere di licenziamento, ma all’offerta al lavoratore di ripresa del lavoro, con riserva di controllare se la presenza dello stesso risulta compatibile nella nuova struttura. L’eventuale rinuncia al potere datoriale di licenziare si realizza dopo un effettivo periodo di inerzia del datore di lavoro: solo dopo una prolungata inerzia successiva alla ripresa del servizio si può infatti interpretare il comportamento datoriale come una rinuncia al licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Nel caso concreto, sia la Corte d’Appello che la Cassazione hanno affermato che non si poteva parlare di rinuncia tacita al recesso per superamento del periodo di comporto in quanto il presunto ritardo nella comunicazione del licenziamento stesso si collocava nel protrarsi dell’assenza del lavoro e non successivamente alla ripresa del servizio.
Articolo tratto dalla Rivista Euroconference “IL GIURISTA DEL LAVORO”