Legato d’azienda
di Roberto Campagnolo Scarica in PDFIl Legato d’azienda è tuttora uno degli istituti che maggiormente è capace, in materia successoria , di dividere Dottrina dalla Giurisprudenza.
Molte sono le correnti che hanno attraversato la storia del diritto positivo in materia, ma mai più di oggi il thaema confutando è stato di maggiore attualità.
Una disposizione mortis causa a titolo particolare può avere ad oggetto un complesso aziendale.
Una delle problematiche iniziali è dunque sulla scelta di quali siano le regole da applicare in tema di cessione d’azienda. Se per la successione dei contratti e dei crediti sembra che non ci siano questioni di speciale difficoltà da affrontare applicandosi l’art. 2558 c.c., di non altrettanta intuitività appare l’aspetto debitorio.
Ai sensi dell’art. 2560 c.c. colui che acquista l’azienda risponde dei debiti pregressi che risultino dai libri contabili. In materia di legato ci si domanda se avendo ad oggetto un compendio aziendale, prevalga lo stesso principio ovvero se, dato il modo di disporre dell’art.671 c.c. che per l’appunto limita la responsabilità del legatario al valore della cosa legata, il beneficiato a titolo particolare risponda soltanto nei limiti del valore dell’azienda legata.
Nel tentativo di dare la più giusta e corretta attuativa alla norma di legge, considerando che il legislatore non si sia mai espresso specificatamente nel merito della questione, vi è chi nega il trasferimento automatico dei debiti reputando che le passività debbano rimanere a carico degli eredi, proporzionalmente alla quota destinata dal testamento, o in base alla quota di legittima, fatto salvo il diritto di appellarsi al beneficio dell’inventario.
In tali circostanze il legatario risponderebbe dei debiti risultanti dai libri contabili obbligatori entro il valore di quanto oggetto della disposizione a suo favore, con la possibilità ( mai negata ) di avvalersi dell’azione di regresso sull’erede. In alternativa vi è chi sostenga che il legatario sia responsabile dei debiti aziendali emergenti dai libri contabili nei limiti del valore del compendio aziendale.
Molto divergente dalla sopra esposta interpretazione vi è poi chi sostiene che, in base alle regole proprie dell’azienda, la responsabilità del legatario va considerata illimitata, dovendone rispondere anche ben oltre il valore della azienda legata.
Questa particolare e delicata situazione di incertezza circa le norme da seguire e su quali siano i diritti da tutelare ( soprattutto di chi ) , ha generato non pochi problemi sia all’interno delle scuole di pensiero ma ancor più gravemente, all’interno dei Fori dove si sono consumate le più efferate guerre fratricide.
Per poter ovviare a tale caotica situazione si è stabilito che la più corretta via interpretativa doveva essere, rispettando i dogmi successori, dare spazio all’interpretazione delle volontà del testatore il quale, seguendo una ratio da imprenditore e dunque di stampo economista, i debiti sociali, siccome pertinenti all’oggetto del legato, debbano far carico al legatario il quale tuttavia ne risponde soltanto nei limiti del valore del lascito, ai sensi dell’art. 671 c.c.
Così si è espressa la Suprema Corte nella celebre sentenza del 29 Gennaio 2016 n. 1720.
Purtroppo ciò non è stato sufficiente a far si che si sciogliessero le riserve sulla complicata questione . Infatti, dal momento che solo il 16% delle successioni dichiarate all’Agenzia delle Entrate è avvenuto per testamento, la soluzione attraverso una curata e meticolosa interpretazione delle volontà testamentaria non è per nulla sufficiente al fine di evitare annose e dannose controversie.
Una possibile via di fuga è stata recentemente vagliata dalla categoria forense e dalla Suprema Corte introducendo l’istituto dei Patti di Famiglia. Con tali patti infatti si da la possibilità, ammettendo in via esclusiva la ratio a fondamento dei patti successori, che il testatore futuro stabilisca con atto inter vivos le sorti della società.
Viene dunque in tal sede identificato il cessionario e statuito ogni aspetto patrimoniale della cessione di azienda , in modo da garantire non solo una pacifica continuità aziendale ma anche che vengano attuate immediatamente quelle che sarebbero state le future volontà dell’imprenditore, in qualità di testatore, nel più sereno e pacifico degli svolgimenti familiari.
Peculiarità interessante di questo istituto è che non trovandosi nel campo di applicazione della donazione, gli effetti sull’asse ereditario futuro sono diversi. Infatti , con il Patto di Famiglia, il bene ceduto, e in questo caso una quota societaria o un intera azienda, esce dal patrimonio dell’imprenditore e mai più sarà oggetto di calcolo per il quantum successorio ( donatum più relictum ).
Nel caso però che il patto di famiglia non fosse stato preso in considerazione e ci trovassimo dunque ad affrontare la problematica interpretativa del legato d’azienda , i casi sarebbero di abbracciare la considerazione del legato aziendale in quanto facente parte di una universitas facti, piuttosto che di un universitas iuris.
Rispettivamente nella prima ipotesi , meno giuridica, l’azienda sarebbe un insieme di beni non comprensiva di crediti e debiti e che nei rapporti interni tra erede dell’imprenditore e legatario d’azienda i debiti rimangano in capo all’erede. Nela seconda ipotesi, se si considera la azienda come un universitas iuris, si dovrà concludere che i debiti passino al legatario insieme all’azienda, con una sorta di accollo cumulativo interno, tuttavia il legatario ne risponderebbe esclusivamente nei limiti del valore della cosa legata ai sensi dell’art. 671 c.c.
Per concludere si riporta un caso pratico che è utile per la comprensione di un ulteriore peculiarità realistica sempre in tema di cessione di azienda:
– Tizio , imprenditore e padre di due figli, Caio e Sempronio, è titolare esclusivamente di un azienda ben avviata, molto produttiva e di sicuro rendimento. Non risulta titolare di beni immobili, né di titoli mobiliari. Intende redigere un testamento a mezzo del quale lascerebbe l’azienda al figlio Caio che ha sempre lavorato con lui, con l’onere, in capo a quest’ultimo, di liquidare il fratello con denaro proprio, quando Tizio sarà deceduto.-
Questa è una fattispecie molto frequente nella prassi ma è stata dichiarata inattuabile per nullità dalla Corte di Cassazione; il nostro ordinamento infatti tutela l’intangibilità meramente quantitativa della quota di riserva ai legittimari, lasciando il più ampio spazio di manovra al testatore dal punto di vista qualitativo, purchè tuttavia si tratti di beni compresi nell’asse ereditario.
Sarà dunque nulla la divisione predisposta dal testatore che, in mancanza di denaro nell’asse ereditario, imponga all’erede beneficiato con l’azienda, di soddisfare con denaro proprio le aspettative ereditarie degli altri legittimari.