Le Sezioni Unite della Suprema Corte si pronunciano sulla sussidiarietà dell’azione di ingiustificato arricchimento
di Alessandra Sorrentino, Avvocato Scarica in PDFCass. civ. SS.UU. Sent., 05/12/2023, n. 33954, Pres. Virgilio. Est. Criscuolo.
Azione di ingiustificato arricchimento – Sussidiarietà ex art. 2042 c.c. – Nozione e presupposti – Azione principale avente titolo nel contratto o in una specifica disposizione di legge ovvero contemplata da una clausola generale
[1] Le Sezioni Unite Civili – decidendo su questione di massima di particolare importanza – hanno affermato il seguente principio:
«Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo. Viceversa, resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico».
Disposizioni applicate
Art. 2041 c.c., art. 2042 c.c.
CASO
Una società immobiliare, proprietaria di un terreno edificabile, subiva da parte del Comune una modifica del Piano di fabbricazione e del regolamento edilizio, che variava la destinazione urbanistica del terreno da residenziale ad agricolo, con conseguente perdita di valore.
Il Comune aveva in seguito adottato una variante al Piano di lottizzazione, onde consentire l’interramento di cavi ad alta tensione nel terreno, che era stato richiesto da un altro ente. La società si era offerta di effettuare l’interramento, in cambio del già promesso ripristino della natura edificabile del terreno, ed aveva speso per tale opera circa 150 mila euro. Tuttavia, alla fine, nonostante le rassicurazioni del Comune, il terreno era rimasto agricolo.
La società agiva, quindi, in giudizio per far valere la responsabilità precontrattuale dell’ente e, in subordine, per far riconoscere l’arricchimento ingiustificato del Comune.
Il Tribunale di Udine, con la sentenza n. 247 del 16 febbraio 2017 ha rigettato per difetto di prova la domanda volta a far valere la responsabilità precontrattuale, ma ha accolto la domanda di indebito arricchimento.
Avverso tale sentenza ha proposto appello il Comune, e la Corte di Appello di Trieste con la sentenza n. 63 dell’8 febbraio 2019 ha ritenuto la domanda di arricchimento inammissibile per difetto di residualità e ciò proprio perché l’azione proposta in via principale ex art. 1337 c.c. era stata disattesa dal Tribunale, che aveva escluso che il Comune, tramite lo scambio di corrispondenza o le trattative condotte dai suoi rappresentanti, avesse assunto l’impegno di mutare la destinazione urbanistica dei terreni della appellata.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società immobiliare.
La Terza Sezione civile, con ordinanza interlocutoria n. 5222 del 20 febbraio 2023, ha rimesso gli atti al Primo Presidente al fine di valutare l’opportunità di rimessione alle Sezioni Unite in merito al profilo della sussidiarietà dell’azione di arricchimento senza causa.
SOLUZIONE
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione affermano che ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo. Viceversa, resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.
QUESTIONI
La sentenza in commento si occupa del principio di sussidiarietà dell’azione di indebito arricchimento, di cui all’art. 2042 c.c., secondo il quale tale azione non è esperibile se il depauperato può proporre una diversa domanda per farsi indennizzare dal pregiudizio subìto.
Le Sezioni Unite hanno ricostruito l’azione di ingiustificato arricchimento quale rimedio restitutorio mirante a neutralizzare lo squilibrio determinatosi, in conseguenza di diversi atti o fatti giuridici, tra le sfere patrimoniali di due soggetti, nei limiti dell’arricchimento che non sia sorretto da una “giusta causa”.
Al fine di rispondere al quesito formulato dalla Terza Sezione, le Sezioni Unite hanno ripercorso le diverse tesi dottrinali e giurisprudenziali che si sono sviluppate sul punto.
Secondo una parte della dottrina, il fondamento della clausola di sussidiarietà va ravvisato nel principio di certezza del diritto, in quanto l’esperimento dell’azione di arricchimento, anche nel caso in cui l’attore sia titolare di azioni alternative, porrebbe in pericolo la generale tenuta del sistema sotto diversi profili, per esempio il rischio che la parte esperisca i rimedi in maniera cumulativa. Tale orientamento ha altresì evidenziato il rischio di elusione della disciplina delle azioni alternative, in quanto sarebbe dato il ricorso al rimedio generale, anche nel caso in cui siano maturate preclusioni o decadenze relativamente alle azioni cd. principali.
Un’altra parte della dottrina ha invece rinvenuto la ratio della clausola di sussidiarietà nella natura equitativa del rimedio di cui all’art. 2041 cod. civ. Pertanto, trattandosi di una norma di chiusura, ha inevitabilmente portata generale e residuale, perciò il suo ambito applicativo si comprime o espande a seconda della sussistenza o insussistenza di rimedi speciali alternativamente azionabili.
In giurisprudenza le varie tesi individuate in dottrina sono state spesso richiamate a giustificazione dell’interpretazione più o meno rigorosa della regola dettata dall’art. 2042 c.c., ma le Sezioni Unite hanno segnalato come, in relazione al tema dell’arricchimento mediato, che del pari involge il profilo della sussidiarietà dell’azione di arricchimento senza causa, è stata ammessa l’azione de qua nei soli casi in cui l’arricchimento sia stato realizzato dalla P.A., in conseguenza della prestazione resa dall’impoverito ad un ente pubblico, ovvero sia stato conseguito dal terzo a titolo gratuito. In tale occasione la Corte ha però precisato che la deroga all’applicazione rigorosa della regola di sussidiarietà si legittimava onde perseguire lo scopo di equità che permea la norma, a voler quindi rimarcare che le esigenze equitative ben possano sorreggere una lettura della norma in termini più elastici rispetto a quanto invece suggerito dal tenore letterale dell’art. 2042 c.c.
L’opinione tradizionale, sostenuta anche nella dottrina espressasi nell’imminenza dell’entrata in vigore del codice civile, ha optato per una valutazione del presupposto della sussidiarietà in astratto, nel senso cioè che l’azione ex art. 2041 c.c. sarebbe esperibile solo quando l’ordinamento giuridico non appresti alcun altro rimedio “per farsi indennizzare del pregiudizio subito”.
Pertanto, la mera esistenza di un’altra azione (avente fonte in un rapporto contrattuale o direttamente in una previsione di legge) preclude la tutela residuale, indipendentemente dal fatto che l’interessato ne abbia usufruito (invano) o che essa sia divenuta improponibile per altra ragione.
Ad avviso delle Sezioni Unite, la risposta ai dubbi sollevati con l’ordinanza interlocutoria non può prescindere dalla presenza nel diritto positivo della previsione di cui all’art. 2042 c.c., che pone la regola della sussidiarietà in termini generali, senza quindi distinzione tra le diverse azioni suscettibili di essere dedotte in via principale.
Le Sezioni Unite hanno quindi distinto l’ipotesi in cui il rigetto derivi dal riconoscimento della carenza ab origine dei presupposti fondanti la domanda cd. principale, da quella in cui derivi dall’inerzia dell’impoverito ovvero dal mancato assolvimento di qualche onere cui la legge subordinava la difesa di un suo interesse.
Nella prima ipotesi il rigetto per accertamento della carenza ab origine del titolo fondante la domanda cd. principale comporta che quello che appariva un concorso da risolvere ex art. 2042 c.c. in favore della domanda principale si rivela essere in realtà un concorso solo apparente, in quanto deve escludersi la stessa ricorrenza di un diritto suscettibile di essere dedotto in giudizio con la conseguente improponibilità della domanda ex art. 2041 c.c.
Viceversa, il rigetto della domanda, correlato al mancato assolvimento dell’onere della prova in relazione alla sussistenza del pregiudizio, non esclude che il diverso titolo sussista e che quindi sia preclusa la domanda fondata sulla clausola residuale.
Se la domanda principale è correlata ad una pretesa scaturente da un contratto, di cui si lamenta l’esecuzione in maniera difforme da quanto pattuito, chiedendosi il ristoro del pregiudizio subito e si accerta che il contratto era affetto da nullità, lo spostamento contrattuale si palesa privo di una giusta causa e legittima quindi la proposizione, anche in via subordinata nel medesimo giudizio, dell’azione di arricchimento (cfr. Cass. n. 13203/2023).
Se viceversa, incontestata o dimostrata l’esistenza del contratto, il rigetto sia derivato dalla mancata prova da parte del contraente del danno derivante dall’altrui condotta inadempiente, la domanda di arricchimento resta preclusa in ragione della clausola di cui all’art. 2042 c.c.
Le Sezioni Unite con la pronuncia in commento, precisando i contorni del suddetto art. 2042 c.c., hanno pertanto chiarito che l’azione di ingiustificato arricchimento deve ritenersi preclusa in tutti quei casi in cui:
- l’azione suscettibile di proposizione in via principale non sia esperibile per un comportamento imputabile all’impoverito, come nei casi di prescrizione e decadenza dall’azione;
- in caso di nullità del titolo contrattuale, qualora la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico;
- quando il rigetto della domanda principale, nel merito, è derivato dal mancato assolvimento di qualche onere cui la legge subordinava la difesa nel suo interesse (ad es. la mancata prova del danno subito in caso di responsabilità contrattuale).
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