25 Marzo 2016

Le recenti disposizioni sulla “chiusura provvisoria” del fallimento in attesa della definizione di giudizi pendenti

di Salvatore Ziino Scarica in PDF

  1. Una delle più importanti novità introdotte dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modifiche dalla l. 6 agosto 2015, n. 132 riguarda la chiusura del fallimento.

    Nell’art. 118 l. fall. è stata introdotta la possibilità di chiudere il fallimento anche in pendenza di giudizi in cui è parte la curatela.

    La novità è stata introdotta per consentire la celere definizione delle procedure fallimentari, che spesso violano i termini di ragionevole durata del processo, con conseguenze risarcitorie a carico dello Stato. Si tratta di un notevole costo per lo Stato, in quanto la violazione del termine di ragionevole durata delle procedure fallimentari può essere fatta valere sia dai creditori (per tutte, Cass. 15.10.2014, n. 28149) sia dallo stesso fallito (Cass. 12.7.2011, n. 15251; C.E.D.U. Ceteroni e Magri c. Italia 17 ottobre 1994, ricorsi nn. 22461/93 e 22465/93).

     

    1. Come è noto, l’art. 118 l. fall., prevede quattro ipotesi di chiusura:

    1) la mancata presentazione di istanze di ammissioni al passivo nel termine fissato dalla sentenza di fallimento;

    2) l’integrale pagamento dei crediti ammessi al passivo e delle spese in seguito ai riparti effettuati dal curatore;

    3) la conclusione della ripartizione dell’attivo;

    4) l’impossibilità di soddisfare i creditori, neppure quelli prededucibili (c.d. mancanza di attivo).

    La chiusura non opera automaticamente. Al verificarsi di una di queste circostanze il tribunale fallimentare, su istanza del curatore o del debitore o di ufficio, emette decreto motivato di chiusura della procedura.

    Unitamente all’istanza di chiusura il curatore deve depositare un rapporto riepilogativo finale redatto ai sensi dell’art. 33 l. fall. (art. 16, comma 9 quater del d.l. 18.12.2012, n. 179, conv. con l. 17.12.2012, n. 221, e successive modifiche ed integrazioni).

    Perché il tribunale possa disporre la chiusura della procedura occorre poi che il curatore, se vi era attivo, abbia predisposto il rendiconto da sottoporre all’esame dei creditori (art. 116 l. fall.); il curatore deve pure redigere il riparto finale, da sottoporre anch’esso all’esame dei creditori.

    La giurisprudenza ha da tempo affermato che la pendenza di giudizi di insinuazione tardiva o di opposizioni allo stato passivo non impedisce la chiusura del fallimento. Tuttavia viene meno la capacità processuale e sostanziale del curatore e la chiusura del fallimento costituisce causa di interruzione del processo, che può essere proseguito dal fallito tornato in bonis o nei suoi confronti (Cass. 2.9.2014, n. 18550; Cass. 29.5.2013, n. 13337).

    Per completezza va ricordato che la cessazione della procedura di fallimento può avvenire anche in seguito alla omologazione del concordato fallimentare, ma in questo caso opera il regime particolare di cui agli artt. 124 ss. l. fall.

     

    1. Le innovazioni introdotte dal d.l. n.83/2015 riguardano la chiusura del fallimento per il compimento della “ripartizione finale” dell’attivo, prevista dall’art. 118, n. 3, l. fall.

    Prima delle modifiche del 2015, questa disposizione vietava la chiusura del fallimento se vi erano ancora somme da distribuire ai creditori (salve le ipotesi di accantonamento previste dall’art. 117 l. fall.), se occorreva procedere a vendite o comunque se erano in corso procedimenti diretti ad acquisire attività (ad esempio, azioni revocatorie  promosse dal curatore, azioni di recupero crediti, etc.).

    In queste ipotesi il fallito continuava a subire gli effetti della dichiarazione di fallimento fino alla conclusione dell’ultimo giudizio recuperatorio e, talvolta, doveva pure attendere la conclusione delle procedure esecutive iniziate dalla curatela.

    Poiché la definizione dei giudizi richiede molti anni, la curatela talvolta si trovava di fronte alla delicata scelta tra proseguire le azioni giudiziarie (con conseguente violazione dei termini di ragionevole durata della procedura fallimentare) o abbandonare le pretese ovvero addivenire a transazioni, che potevano risultare poco convenienti.

     

    1. Il d.l. n. 83 del 2015 ha introdotto nell’art. 118, co. 2, l. fall. il seguente inciso: “la chiusura della procedura di fallimento nel caso in cui al n. 3) non è impedita dalla pendenza di giudizi, rispetto ai quali il curatore può mantenere la legittimazione processuale, anche nei successivi stati e gradi del giudizio, ai sensi dell’art. 43. In deroga all’articolo 35, anche le rinunzie alle liti e le transazioni sono autorizzate dal giudice delegato. Le somme necessarie per spese future ed eventuali oneri relativi ai giudizi pendenti, nonchè le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato, sono trattenute dal curatore secondo quanto previsto dall’articolo 117, comma secondo. Dopo la chiusura della procedura di fallimento, le somme ricevute dal curatore per effetto di provvedimenti definitivi e gli eventuali residui degli accantonamenti sono fatti oggetto di riparto supplementare fra i creditori secondo le modalità disposte dal tribunale con il decreto di cui all’articolo 119. In relazione alle eventuali sopravvenienze attive derivanti dai giudizi pendenti non si fa luogo a riapertura del fallimento. Qualora alla conclusione dei giudizi pendenti consegua, per effetto di riparti, il venir meno dell’impedimento all’esdebitazione di cui al comma secondo dell’articolo 142, il debitore può chiedere l’esdebitazione nell’anno successivo al riparto che lo ha determinato”.

    Diversi tribunali fallimentari hanno dato istruzioni ai curatori fallimentari, invitandoli a procedere al riparto finale ed alla chiusura dei fallimenti ultradecennali. Ad esempio si vedano le direttive dei Tribunali di Catania e Messina, disponibili nel link http://centrostudisiracus.wix.com/centrostudisiracusa#!documenti/c2t8.

     

    1. Il nuovo secondo comma dell’art. 118 l.fall. è una di quelle disposizioni che potrà dare luogo a numerosi problemi interpretativi e sistematici, perché supera schemi legislativi e prassi ormai consolidate.

    Quel che appare certo è che la norma presenta un ambito di applicazione significativo, nonostante la laconicità del tenore lettale.

    In via generale possiamo affermare di essere in presenza di una nuova ipotesi di chiusura, che può essere definita come “chiusura provvisoria” della procedura di fallimento “in pendenza di giudizi”.

    Il curatore, quindi, anche se vi sono giudizi attivi pendenti, è autorizzato (rectius: tenuto) ad effettuare il riparto finale ed al compimento delle ulteriori attività necessarie per chiudere il fallimento nel rispetto del principio di ragionevole durata delle procedure concorsuali.

    Nel piano di riparto il curatore deve accantonare le somme “necessarie per spese future ed eventuali oneri relativi ai giudizi pendenti”.

    La legge aggiunge che il curatore mantiene “la legittimazione processuale”, anche nei successivi stati e gradi del giudizio, ai sensi dell’art. 43 l. fall. Questa speciale legittimazione riguardi soltanto i giudizi già promossi da curatore prima della chiusura del fallimento, in ogni stato e grado, comprese le successive azioni esecutive.

    Il curatore, invece, non potrà iniziare nuove controversie, né potrà acquisire eventuali beni sopravvenuti del debitore, che riacquista il pieno e libero esercizio di tutti i suoi diritti.

    Se il fallito era una società, il curatore dovrà chiedere la cancellazione dal registro delle imprese, ma, in forza del nuovo art. 118, co. 2, l. fall., conserva la speciale legittimazione a proseguire l’azione.

    La disposizione in esame attribuisce al curatore in modo espresso la legittimazione processuale, ma appare evidente che il curatore conserva anche la legittimazione sostanziale, quale organo della procedura fallimentare che continua la sua attività all’ombra della legge Pinto.

    La conferma della legittimazione sostanziale è costituita dalla previsione secondo la quale il curatore conserva il potere di stipulare transazioni e di rinunciare, previa autorizzazione del giudice delegato; di contro, il comitato dei creditori cessa dalle sue funzioni in conseguenza della chiusura del fallimento (con pochi rimpianti).

    Può accadere che dopo la “chiusura provvisoria” il curatore incassi somme “per effetto di provvedimenti provvisoriamente esecutivi e non ancora passati in giudicato”: anche questa somme devono essere accantonate secondo quanto previsto dall’articolo 117, comma secondo, l. fall.

    All’esito dei giudizi, il curatore dovrà procedere ad un riparto supplementare di tutte le somme che ha acquisito, compresi gli eventuali accantonamenti.

    Il riparto supplementare avrà luogo nel rispetto delle modalità disposte dal tribunale fallimentare con il decreto di chiusura della procedura (in questo senso sembra doversi leggere il richiamo all’art. 119 l.fall. che però suscita alcuni dubbi interpretativi: se è stato acquisito attivo, infatti, il curatore dovrà predisporre un nuovo piano di riparto finale e un nuovo rendiconto).

    La disposizione in esame stabilisce pure che la sopravvenienza di attivo all’esito dei giudizi pendenti non comporta la riapertura del fallimento: questa precisazione attribuisce al curatore il potere di liquidare le eventuali sopravvenienze attive anche se il fallimento risulta formalmente chiuso.

    È espressamente previsto che i riparti supplementari potranno essere invocati dal debitore che voglia chiedere la esdebitazione ai sensi dell’articolo 142 l.fall.

    In mancanza di un divieto, non è escluso che si possa procedere a più riparti supplementari.

    Anche se il fallimento è stato dichiarato chiuso, continueranno a trovare applicazione tutte le norme che regolano gli organi del fallimento, comprese quelle sulla revoca e sostituzione del curatore.

     

    1. Infine, alcune brevi considerazioni.

    Il nuovo secondo comma dell’art. 118 l.fall., come si è visto, consente di chiudere il fallimento in pendenza di giudizi. Le prime circolari emesse dai tribunali fallimentari precisano che rientrano tra i “giudizi” pure le azioni esecutive. L’interpretazione estensiva è convincente e rispecchia le finalità del nuovo istituto.

    Se queste premesse sono corrette, la modifica alla legge fallimentare appare di notevole importanza: il legislatore, forse senza averne la piena consapevolezza, ha configurato una nuova impostazione del processo di fallimento, nel quale gli organi della procedura in un lasso di tempo contenuto compiono la verifica dello stato passivo e vendono i beni “di pronta soluzione”, affinché il curatore possa depositare il riparto finale e chiedere la “chiusura provvisoria” del fallimento.

    Tutte le ulteriori attività, ovvero le azioni recuperatorie e le eventuali successive azioni esecutive, saranno proseguite dopo la chiusura provvisoria, con forme più semplificate e senza la partecipazione dl comitato dei creditori. In questo modo il fallito potrà riacquistare la propria capacità giuridica e negoziale in tempi brevi.

    Dopo la chiusura provvisoria e prima della successiva imprevedibile chiusura definitiva, i creditori riceveranno le notizie in ordine di eventuali riparti supplementari e gli organi fallimentari (ad eccezione del comitato dei creditori) proseguiranno le loro attività.

    Le nuove disposizioni non prevedono una integrazione del compenso del curatore che abbia eseguito riparti supplementari; tuttavia il curatore potrà chiedere un supplemento del compenso in ragione dell’aumento del valore dell’attivo all’esito dei “giudizi pendenti”.

    Un’ultima considerazione: il nuovo testo dell’art. 118 l.fall. prevede la “chiusura provvisoria” del fallimento soltanto nel caso il ripartizione finale dell’attivo, ma una interpretazione estensiva consente di applicare il nuovo istituto anche nel caso di chiusura per mancanza di attivo, nel caso in cui il curatore abbia iniziato azioni dirette a recuperare beni o crediti, che potranno essere consentire riparti in favore dei creditori.