Le polizze unit linked beneficiano del regime di impignorabilità previsto dall’art. 1923 c.c. solo se connotate dalla componente previdenziale
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. I, 12 febbraio 2024, n. 3785 – Pres. Ferro – Rel. Fidanzia
Parole chiave: Assicurazione – Polizze unit linked – Natura – Causa finanziaria – Assenza di finalità previdenziale – Applicabilità dell’art. 1923 c.c. – Esclusione
[1] Massima: Le polizze unit linked hanno causa finanziaria pura, essendo assimilabili a strumenti finanziari, quando il rischio di investimento grava totalmente sull’assicurato, dal momento che la prestazione dovuta dall’assicuratore non dipende da un evento futuro legato alla vita umana, ma dal valore sottostante delle quote di investimento; quando, invece, la polizza unit linked, oltre alla componente finanziaria, presenta anche una componente legata al rischio demografico, occorre valutare se gli elementi del contratto consentono di ravvisare – quand’anche in modo non esclusivo – la natura previdenziale della polizza, che sola giustifica l’esclusione della possibilità di aggredire le somme dovute dall’assicuratore in forza del contratto ai sensi dell’art. 1923 c.c.
Disposizioni applicate: cod. civ., art. 1923; d.lgs. 209/2005, art. 2
CASO
Il Tribunale di Vicenza rigettava la domanda con cui la curatela fallimentare aveva chiesto la corresponsione del valore di riscatto di una polizza unit linked, ritenendo che la sussistenza della componente del rischio demografico non facesse perdere la natura di contratto di assicurazione sulla vita, nonostante la presenza di una componente di rischio finanziario, sicché la polizza rientrava nell’ambito di applicazione dell’art. 1923 c.c., in virtù del quale è esclusa l’assoggettabilità ad azione esecutiva o cautelare delle somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario.
La Corte d’appello di Venezia, pur qualificando il contratto stipulato dalle parti come prodotto finanziario riconducibile a un fondo comune d’investimento, ravvisando l’assunzione dell’intero rischio in capo all’assicurato (con conseguente inapplicabilità delle tutele previste dall’art. 1923 c.c.), confermava nondimeno il rigetto della domanda svolta dalla curatela fallimentare.
La sentenza di secondo grado era impugnata sia dalla curatela fallimentare, con ricorso, sia dalla società assicuratrice, con ricorso incidentale attraverso il quale veniva censurata la qualificazione giuridica della polizza operata dai giudici di merito.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso della curatela fallimentare, mentre ha respinto il ricorso incidentale, individuando le caratteristiche che debbono possedere le polizze unit linked (disciplinate dall’art. 2, comma 3, d.lgs. 209/2005) affinché possano essere classificate all’interno della categoria dei prodotti assicurativi previdenziali, ai fini dell’applicazione dell’art. 1923 c.c.
QUESTIONI
[1] La Corte di cassazione è stata chiamata a stabilire se, in una fattispecie in cui la curatela fallimentare aveva agito per ottenere il valore di riscatto di una polizza assicurativa, potesse operare la regola dettata dall’art. 1923 c.c., che esclude l’espropriabilità delle somme dovute al contraente o al beneficiario di un contratto di assicurazione sulla vita.
La ratio sottesa a tale norma è stata individuata nell’esigenza di tutelare il valore della previdenza, che può essere realizzato attraverso l’assicurazione sulla vita, quale forma di assicurazione privata maggiormente affine agli istituti elaborati dalle assicurazioni sociali, dal momento che l’accumulo di capitale è diretto a garantire all’assicurato e alla sua famiglia una rendita, ovviando al rischio dell’evento morte gravante su detti soggetti: è proprio lo scopo previdenziale insito in questa forma di assicurazione che giustifica il sacrificio imposto ai creditori dall’art. 1923 c.c., nel senso che alla polizza sulla vita deve reputarsi applicabile la disciplina di favore dettata dalla menzionata disposizione non perché si tratta di un prodotto assicurativo, ma perché adempie a una particolare forma di previdenza complementare rispetto a quella obbligatoria, destinata per lo più a fare fronte ai bisogni della tarda età (in questi termini, Cass. civ., sez. un., 31 marzo 2008, n. 8271).
Di converso, l’art. 1923 c.c. non può trovare applicazione nel caso in cui in un’assicurazione sulla vita la componente previdenziale sia assente, ricorrendo solo la componente finanziaria e speculativa.
Di qui, visto che la curatela fallimentare aveva agito in giudizio per ottenere la corresponsione di somme dovute in forza di una polizza unit linked (dovendosi considerare tale il contratto di assicurazione sulla vita in cui il valore della prestazione è collegato alle performance di uno o più fondi di investimento, la gestione dei quali è solitamente delegata a una società di gestione del risparmio), la necessità di definirne natura e caratteristiche, onde verificarne l’assoggettabilità o meno alla regola dettata dall’art. 1923 c.c., che, in quanto eccezionale (dal momento che introduce una limitazione della responsabilità patrimoniale, in deroga all’art. 2740 c.c.), non può trovare applicazione al di fuori dei casi contemplati dalla norma.
Da questo punto di vista, la natura previdenziale è predicabile non solo con riguardo alle polizze di assicurazione sulla vita che soddisfano il bisogno dell’assicurato di ottenere con immediatezza la disponibilità di una somma di denaro al verificarsi di un evento legato alla vita umana, nelle quali l’assicuratore garantisce la futura corresponsione di un capitale predeterminato nel quantum fin dal momento della conclusione del contratto, ma – almeno tendenzialmente – anche nelle polizze unit linked, fatta eccezione per quelle cosiddette pure.
Nelle polizze unit linked l’entità della somma dovuta dall’assicuratore varia nel corso della durata del rapporto contrattuale, in dipendenza delle oscillazioni del parametro finanziario collegato, sicché viene definitivamente quantificato al momento del verificarsi dell’evento attinente alla vita umana: le polizze definite guaranteed unit linked garantiscono all’assicurato la restituzione del capitale, prevedendo la possibilità di una maggiorazione minima; le polizze definite partial guaranteed unit linked riconoscono all’assicurato una garanzia di restituzione solo parziale dei premi versati; nelle polizze unit linked pure, invece, la somma dovuta dall’assicuratore dipende esclusivamente dal valore del parametro finanziario sottostante nel momento in cui l’obbligazione diventa esigibile, realizzandosi un collegamento integrale al valore delle quote di investimento.
Di conseguenza, mentre nelle polizze unit linked guaranteed o partial guaranteed l’assicuratore assume su di sé un rischio demografico, nel senso che, al verificarsi dell’evento attinente alla vita umana, all’assicurato viene comunque sempre riconosciuta la somma di denaro garantita al momento della stipula del contratto, a prescindere dal valore sottostante delle quote dei fondi comuni di investimento, in quelle pure il rischio di investimento è totalmente a carico dell’assicurato, con la conseguenza che, in caso di azzeramento del valore delle quote, nulla è dovuto da parte dell’assicuratore.
Sulla base di quanto disposto dall’art. 2 d.lgs. 209/2005, sono assimilabili alle assicurazioni sulla vita esclusivamente le polizze unit linked classificate come guaranteed o partial guaranteed, essendo requisito imprescindibile il cosiddetto rischio demografico, che ricorre solo quando il contratto assicurativo attribuisca realmente a un evento futuro legato alla vita umana l’idoneità a incidere sulla prestazione dell’assicuratore, riconoscendo comunque all’assicurato una somma apprezzabile non legata al rischio finanziario.
Al contrario, qualora il rischio di investimento gravi totalmente sull’assicurato, tanto da comportare la possibile perdita dell’intero capitale, il rischio demografico (legato alla durata della vita umana), pur apparentemente presente, è, in realtà, insussistente se, al momento del suo verificarsi, lo stesso non sia in grado di incidere minimamente sulla prestazione dell’assicuratore, non garantendo all’assicurato, secondo quanto contrattualmente convenuto, il riconoscimento di una somma di denaro minima – financo ridotta rispetto all’ammontare dei premi versati – che sia completamente slegata dal valore sottostante delle quote di investimento, o attribuendo allo stesso una somma del tutto irrisoria.
In tale eventualità, infatti, l’evento legato alla durata della vita umana figura come mero parametro temporale per individuare il momento in cui verrà liquidata la polizza, ma senza che a ciò corrisponda l’assunzione – se non in via del tutto apparente – di un rischio demografico per l’assicuratore.
Di fatto, queste polizze conferiscono all’impresa di assicurazioni, anziché un obbligo restitutorio, una sorta di mandato di gestione del denaro investito, rispetto al quale l’investitore matura il diritto al mero risultato di detta gestione, che varia in base a una serie di fattori, quali l’andamento del mercato o dei titoli, sicché il loro elemento caratterizzante è il rischio finanziario, che grava interamente sull’assicurato, poiché non gli vengono garantiti né la restituzione del capitale, né il riconoscimento di rendimenti minimi.
Per stabilire, dunque, se una polizza unit linked possa fruire o meno del peculiare regime di cui all’art. 1923 c.c., occorre valutare, caso per caso, se, pur presentando una componente finanziaria, l’assicurazione sia comunque caratterizzata dalla presenza di un rischio demografico, onde stabilire se, al di là del nomen iuris attribuito, si tratti di una polizza assicurativa sulla vita (in cui il rischio avente per oggetto un evento inerente all’esistenza dell’assicurato è assunto dall’assicuratore) o si concreti nell’investimento in uno strumento finanziario (in cui il rischio di performance è addossato per intero all’assicurato).
Nel caso di specie, oltre alla denominazione del contratto (che indicava espressamente l’assenza di natura previdenziale), sono stati reputati determinanti, per assimilare la polizza a un prodotto finanziario puro che, come tale, non poteva beneficiare della regola di favore dettata dall’art. 1923 c.c., il pagamento del premio avvenuto in un’unica soluzione al momento della stipula e, soprattutto, l’assenza di un capitale minimo garantito, con conseguente assunzione, da parte dell’assicurato, dell’intero rischio del suo azzeramento, non potendosi configurare la sussistenza di un rischio demografico in assenza della previsione di un capitale minimo garantito slegato dal valore delle quote maturate al momento del verificarsi dell’evento attinente alla vita umana.
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