Le opzioni put e call contenute in un patto parasociale non contravvengono al divieto di patto leonino ex art. 2265 cod. civ. se non modificano la causa societatis
di Virginie Lopes, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, Sez. I, ordinanza 7 ottobre 2021, n. 27227
Parole chiave: Obbligazioni – contratto atipico – accordo tra soci – patto parasociale
Massima: “È lecito e meritevole di tutela l’accordo negoziale concluso tra i soci di una società azionaria, con il quale l’uno, in occasione del finanziamento partecipativo così operato, si obblighi a manlevare l’altro dalle eventuali conseguenze negative del conferimento effettuato in società, mediante l’attribuzione del diritto di vendita (c.d. put) entro un termine dato ed il corrispondente obbligo di acquisto della partecipazione sociale a prezzo predeterminato, pari a quello dell’acquisto, pur con l’aggiunta di interessi sull’importo dovuto e del rimborso dei versamenti operati nelle more in favore della società.”
Disposizioni applicate: art. 2265 c.c.
Nel caso in esame, una società a responsabilità limitata aveva ottenuto un decreto ingiuntivo avverso un socio investitore per una somma a titolo di prezzo prefissato per l’opzione put e call prevista da un patto parasociale stipulato in vista di un’acquisizione societaria.
L’opposizione del socio investitore avverso il decreto ingiuntiva era stata respinta dal Tribunale di prime cure, così come successivamente l’appello dalla Corte d’Appello, la quale aveva escluso, in particolare, che tale patto integrasse violazione dell’art. 2265 c.c., non ritenendo – diversamente da quanto aveva asserito il socio investitore – che costituisse un patto leonino.
Il ricorso in cassazione, vertente sostanzialmente sugli stessi motivi dell’appello, è stato l’occasione per fare il punto sulle condizioni di compatibilità delle opzioni put e call con il divieto di patto leonino di cui all’art. 2265 c.c..
Come noto, il divieto di c.d. patto leonino di cui all’art. 2265 c.c. presuppone una situazione statutaria caratterizzata dall’esclusione totale e costante di uno o di alcuni soci dalla partecipazione al rischio di impresa e/o agli utili, la quale qualifica lo status del socio (o dei soci) nei suoi obblighi e nei suoi diritti verso la società e la sua posizione nella compagine sociale.
Nel caso in esame, la Corte di Cassazione, rifacendosi ad un precedente del 2016[1], peraltro citato dal ricorrente, ha ricordato cosa siano le opzioni call e put, ovvero che (i) le opzioni call sono contratti in cui l’acquirente acquista, con il pagamento del premio, il diritto, ma non l’obbligo, di acquistare un determinato bene (nel caso di specie le quote della s.r.l.) a un prezzo specifico, mentre (ii) le opzioni put sono contratti in cui l’acquirente acquista, con il pagamento del premio, il diritto, ma non l’obbligo, di vendere un determinato bene (nel caso di specie le quote della s.r.l.) a un prezzo specifico.
Venendo poi alla questione della liceità o meno delle opzioni put a prezzo predefinito a fronte della nullità del patto leonino prevista ex art. 2265 c.c., la Corte ha ricordato di averla già a suo tempo risolta, segnalando che non intendeva discostarsi dal principio di diritto a suo tempo enunciato[2].
Ciò premesso, proseguendo il loro ragionamento, gli ermellini hanno poi rammentato un altro precedente di legittimità, cioè la sentenza n. 8927 del 29 ottobre 1994. In tale sentenza, la Suprema Corte aveva ritenuto che il divieto di cui all’art.2265 c.c. riguardasse “le condizioni essenziali del tipo “contratto di società”” nel quale “la legge ha imposto non solo la costituzione di un patrimonio sociale ma anche la formazione ad opera di tutti i soci” in modo da garantire che tutti i membri della compagine sociale fossero “partecipi del rischio di impresa al fine di garantire, nell’interesse generale, un esercizio avveduto e corretto dei relativi poteri”.
Per valutare se una determinata clausola possa violare il divieto di patto leonino, la Corte di Cassazione ha poi segnalato che era necessario verificare se la causa societatis del rapporto partecipativo del socio rimanga invariata o se venga irrimediabilmente deviata da tale clausola che lo esonera dalla partecipazione a qualunque perdita e/o dalla divisione degli utili, fermo restando che solo in quest’ultimo caso il divieto di cui all’art. 2265 c.c. si potrà considerare violato. Infatti, come già chiarito dalla Corte di legittimità, possono essere considerati leciti i patti parasociali che determinino l’esclusione totale e costante dalla partecipazione alle perdite e/o agli utili solo laddove abbiano “una funzione causale (…) meritevole di tutela e non volta unicamente alla violazione del disposto dell’art. 2265 c.c., ma espressione di un interesse alla buona gestione dell’impresa”.
La Corte di Cassazione ha poi evidenziato come la ratio del divieto posto dall’art. 2265 c.c. deve essere ricondotta ad una necessaria suddivisione dei risultati dell’impresa economica, senza che abbia alcuna rilevanza il trasferimento del rischio puramente interno fra un socio e un altro socio o un terzo, allorché il patto parasociale non alteri la struttura e la funzione del contratto sociale, né modifichi la posizione del socio in società, e dunque non abbia nessun effetto verso la società stessa.
Orbene, tornando all’analisi del caso di specie, la Corte di Cassazione ha considerato che ogni elemento del patto tra i soci fosse determinato e che fossero ampiamente rispettati i requisiti di validità elaborati dalla giurisprudenza, concludendo che, perseguendo il patto un interesse meritevole di tutela, doveva essere ritenuto lecito e rigettando il ricorso.
[1] Cass. civ., Sez. III, 19 gennaio 2016, n. 763
[2] Cass. civ. Sez. I, Ord., 4 luglio 2018, n. 17498; Cass. Civ., Sez. I, 29 ottobre 1994, n. 8927