Le nuove prospettive europee per le azioni di classe
di Angelo Danilo De Santis Scarica in PDFLa tutela dei consumatori costituisce in Europa il volano dell’espansione, a macchia di leopardo, degli strumenti di tutela collettiva. La scelta della Commissione europea di varare il c.d. New Deal per i consumatori reca la proposta di direttiva sulle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori.
La comunicazione c.d. New Deal per i consumatori, diffusa l’11 aprile 2018 (Comunicazione dell’11 aprile 2018, COM(2018) 183 final), è stata varata unitamente a due proposte di direttive, una relativa alle azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, la cui approvazione comporterebbe il venir meno di quella sui provvedimenti inibitori, e l’altra diretta ad apportare modifiche a preesistenti strumenti di armonizzazione.
Tra le proposte di innovazioni, che riguardano la disciplina delle pratiche commerciali sleali, dei diritti dei consumatori, delle clausole abusive e dell’indicazione dei prezzi, spicca la volontà di introdurre sanzioni irrogabili dalle autorità amministrative o dagli organi giurisdizionali (su cui v., da ultimo, A.D. De Santis, Contributo allo studio della funzione deterrente del processo civile, Napoli, 2018).
L’impressione è quella di un rilancio della consumer protection, la cui stagnazione, negli ultimi lustri, ha costituito una semi-sconfitta per le istituzioni europee.
In particolare, proprio il rilancio della tutela giurisdizionale collettiva, sul versante del private enforcement, e la predisposizione di un meccanismo sanzionatorio maggiormente dissuasivo, su quello del public enforcement, sono i canali del rilancio voluto della Commissione.
Per le azioni rappresentative degli interessi dei consumatori, tutto si era fermato al 2013, allorquando con la comunicazione COM-2013/401 della Commissione al Parlamento europeo, furono indicati gli strumenti di c.d. “ricorso collettivo”, rappresentati dalla necessità di «conservare la competitività a livello globale e avere un mercato unico aperto e funzionante».
La Commissione dava conto della necessità per l’Unione di rispettare i diversi ordinamenti giuridici e le diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri, «in particolare in settori (come il diritto processuale) che a livello nazionale sono decisamente consolidati mentre sono piuttosto recenti a livello dell’UE».
Sotto il profilo della tecnica processuale, si ravvisava una assimilazione, nella nozione di ricorso collettivo, tra quello finalizzato ad ottenere rimedi inibitori e quello strumentale ad ottenere il risarcimento del danno o, in generale, la reintegrazione dei patrimoni dei singoli.
Si considerava l’opportunità di riconoscere la legittimazione ad agire ad associazioni rappresentative per la concessione di rimedi inibitori.
La Commissione riteneva che, nel quadro europeo orizzontale sui ricorsi collettivi, fosse auspicabile che le azioni collettive fossero accessibili in tutti gli Stati membri alle persone fisiche e giuridiche come strumento per chiedere collettivamente interventi inibitori o risarcitori per danni causati da violazioni di diritti conferiti dalle norme dell’Unione.
Sotto il profilo dell’estensione degli effetti del provvedimento, la scelta pareva chiaramente orientata verso il meccanismo di inclusione volontaria nella classe (c.d. opt in), alla luce dei vantaggi che comporta, rispetto al c.d. opt out, adottato da una minoranza degli ordinamenti europei e che invece appartiene alla tradizione giuridica della class action statunitense.
Il quadro europeo, posto in evidenza dalla relazione sull’applicazione della raccomandazione è rimasto, in questi cinque anni, frastagliato, disomogeneo, con alcune «fughe in avanti» del Regno unito (in materia di antitrust) e del Belgio che hanno introdotto meccanismi di c.d. opt out, le cui prospettive di successo appaiono maggiori di quelle degli strumenti quali l’action de group francese (cfr. A. Biard, Sale temps pour l’action de groupe … la nécessaire recherche d’outils alternatifs pour résoudre les litiges de masse, in Revue Lamy Droit Civil, 2018, 21 ss.) e dell’azione di classe italiana.
Il cuore della proposta della Commissione è quello delle azioni rappresentative, declinate in due varianti: quella volta ad ottenere misure inibitorie e quella finalizzata ad ottenere «provvedimenti di riparazione».
L’ambito di applicazione appare particolarmente vasto e comprende tanto le violazioni transfrontaliere, quanto quelle di portata nazionale, il che consentirà un affiancamento e non una sostituzione delle azioni collettive regolate da ciascuno Stato.
L’azione rappresentativa di natura risarcitoria, come delineata dalla proposta di direttiva, consente di ottenere altro rispetto al risarcimento monetario, e cioè, inter alia, la riparazione, la sostituzione, la riduzione del prezzo, la risoluzione del contratto e il rimborso del prezzo pagato.
Peraltro, a seconda di come i i legislatori nazionali eserciteranno la relativa opzione, il procedimento potrebbe esaurirsi anche in una pronuncia di condanna generica; eventualità, quest’ultima, non certo remota e che tende a diventare sempre più probabile man mano che aumenta il numero dei soggetti colpiti.
La caratteristica più rilevante di queste azioni è che i singoli consumatori rimangono estranei al giudizio. È inequivocabile, al riguardo, la definizione stessa di azione rappresentativa dove si legge che «i consumatori interessati non sono parti».
Il monopolio della legittimazione ad agire spetta a entità metaindividuali, cioè ad enti esponenziali, quali le associazioni di consumatori o gli organismi pubblici indipendenti, secondo un modello alquanto fallimentare, per lo meno nel nostro paese, costituito dal riconoscimento preventivo degli enti legittimati, certificato dal loro inserimento in un elenco pubblico, fatta salva la possibilità di una legittimazione riconosciuta ad hoc per ipotesi specifiche, nonché fatto salvo il potere di controllo del giudicante sull’eventuale conflitto di interessi che potrebbe affliggere l’attore.
I consumatori danneggiati potrebbero comunque conferire un mandato agli enti rappresentativi – il che pone non secondari problemi in punto di patologia del rapporto di mandato, conseguenze della sua revoca, sovrapposizione tra rappresentanza processuale e legittimazione ad agire etc. – salve due ipotesi: i) i consumatori interessati dalla violazione sono identificabili e hanno subìto danni comparabili provocati dalla stessa pratica relativa a un periodo di tempo o a un acquisto; ii) i consumatori hanno subìto una perdita di piccola entità e non sarebbe proporzionato ripartire il risarcimento tra loro.
La prima ipotesi è quella più innovativa perché si avvicina maggiormente ad una forma sui generis di inclusione automatica nella «classe», sebbene le questioni problematiche non manchino, a cominciare da quella – banale – relativa alle conseguenze di un eventuale rigetto della domanda e alla sua vincolatività.
Certamente l’esito favorevole dell’azione rappresentativa scarica sui consumatori l’onere di agire, in un momento successivo, il che non risolve di certo il problema dell’efficienza dello strumento, delle controversie seriali, dell’emersione della domanda di giustizia etc.
L’impressione è che la Commissione abbia fatto un passo indietro rispetto alla raccomandazione e non abbia nemmeno avuto il coraggio di menzionare l’opt out.
Per una tutela giurisdizionale collettiva efficiente ed efficace, i tempi, in Europa, non sono ancora maturi.
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