Le azioni di cui agli articoli 2394 e 2395 cc
di Mario Furno, Avvocato e Professore a contratto di International Business Law presso l'Università degli Sudi di Verona Scarica in PDFTribunale di Venezia Sezione Specializzata in materia di impresa, sentenza n. 154/2022 del 22.12.2021 (pubbl. 07.02.2022) –
Parole chiave: responsabilità- amministratori- prova.
Massima: “La responsabilità degli amministratori di società di capitali ex art. 2395 cc (in caso di amministratore di spa) o ex art. 2476 co. 7 cc (in caso di amministratore di srl) verso i soci o i terzi che abbiano stipulato un contratto con la società, per consolidata giurisprudenza, non discende automaticamente ex se da detta loro qualità, né ex se dall’inadempimento ad obblighi discendenti dal contratto stipulato dalla società essendo necessaria, trattandosi di responsabilità extracontrattuale, la allegazione e prova della condotta dolosa o colposa degli amministratori medesimi, la allegazione di un danno “direttamente” incidente sul socio o sul terzo ( e non dunque di mero” danno riflesso”) e la allegazione del nesso di causalità tale per cui il suddetto danno sia esso stesso conseguenza “immediata e diretta” della suddetta condotta illecita secondo i principi generali (v. art. 1223 cc richiamato quanto alla responsabilità extracontrattuale dall’art. 2056 cc)”.
Riferimenti normativi: art. 2394 cc; art. 2395 cc; art. 2486 co. 2 cc; 2476 co. 7 cc; art. 146 L. fall; art. 255 CCI.
CASO
La società Alfa S.p.A. riferiva di aver ricevuto dalla società Beta S.p.A. ordini aventi ad oggetto l’acquisto di materiale; in occasione dell’effettuazione dell’ultima consegna, Beta S.p.A. depositava ricorso per concordato “prenotativo” e, stante l’esito negativo dell’accordo di ristrutturazione a questo collegato, Beta S.p.A. procedeva a depositare nuovo ricorso per concordato preventivo che veniva omologato. In forza di tale concordato, ai creditori chirografari, quale era la società Alfa S.p.A., spettava un importo in percentuale assai contenuto.
La società Alfa S.p.A. conveniva in giudizio gli amministratori della società Beta S.p.A. per sentirli condannare al risarcimento dei danni in via principale ex art. 2394 e/o in subordine 2486 co. 2 cc, affermando che nonostante l’intervenuta perdita del capitale sociale, la società non era stata sciolta e gli amministratori avevano posto in essere nuove operazioni in violazione degli obblighi conservativi (in specie concludendo contratti con i fornitori privi di utilità per la società e tali da far incrementare il passivo); in subordine, la società Alfa S.p.A. affermava di essere stata lesa direttamente dal comportamento illecito degli amministratori avendo questi concluso contratti nell’imminenza della assunta volontà di ricorrere alla procedura concorsuale e nella consapevolezza che non avrebbero pagato i debiti ante concordato, così che Alfa S.p.A. ne chiedeva la condanna ex art. 2395 cc.
SOLUZIONE
Con la sentenza in commento il Tribunale ha respinto entrambe le domande svolte dall’attrice. In particolare, circa la domanda svolta ai sensi dell’art. 2394 cc, il Tribunale ha condiviso i rilievi del CTU secondo il quale i meri bilanci in assenza delle altre scritture contabili della società non consentivano di rispondere compiutamente ai quesiti proposti, così impedendo l’individuazione del momento in cui il capitale era divenuto negativo e se ciò fosse avvenuto anteriormente o posteriormente alla fornitura di Alfa S.p.A.; quanto poi alla domanda svolta ai sensi dell’art. 2395 cc, il Tribunale concludeva rilevando l’assenza di prova anche presuntiva che le forniture fossero state ordinate con l’intenzione da parte degli amministratori di non pagarne il corrispettivo o, comunque, con la piena consapevolezza che dette forniture non sarebbero state pagate.
QUESTIONI APPLICATE NELLA PRATICA
La sentenza in commento offre l’occasione di affrontare il tema dell’azione sociale di responsabilità ex art. 2394 cc e dell’azione individuale del socio e del terzo di cui all’art. 2395 cc.
L’azione disciplinata ai sensi dell’art. 2394 cc scaturisce dall’obbligo degli amministratori di tutelare il patrimonio sociale: i creditori sociali traggono infatti soddisfazione dal patrimonio sociale, così che la violazione da parte degli amministratori di conservare l’integrità di detto patrimonio impedisce ai creditori sociali di avere il pieno soddisfo dei propri diritti (Trib. Milano sez. Spec. Imprese 22.02.2022).
In effetti, al verificarsi della perdita del capitale sociale o di una causa di scioglimento, il patrimonio sociale risulta non più destinato allo scopo tipico della società ma è destinato ad essere liquidato così che quanto risulti dall’attività liquidatoria possa soddisfare i creditori, i terzi e anche i soci. Ne consegue che il presupposto dell’azione di cui all’art. 2394 cc è da individuarsi nell’insufficienza del patrimonio della società a soddisfare il credito, insufficienza determinata dalla violazione da parte degli amministratori all’obbligo di conservazione del patrimonio stesso.
Per inciso preme porre in evidenza che la suddetta insufficienza patrimoniale si identifica in: “una condizione più grave e definitiva della mera insolvenza […] potendosi una società trovare nell’impossibilità di far fronte ai propri debiti ancorché il patrimonio sia integro […]” (Trib. Sez. Spec. Impresa Roma 01.12.2022).
Più precisamente l’insufficienza patrimoniale è da individuarsi “nell’eccedenza delle passività sulle attività del patrimonio netto dell’impresa, ovverosia in una situazione in cui l’attivo sociale, raffrontato ai debiti della società, risulti insufficiente al soddisfacimento di questi ultimi” (cit. Trib. Roma).
L’insufficienza patrimoniale va quindi distinta dalla perdita integrale del capitale sociale “dal momento che quest’ultima evenienza può verificarsi anche quando vi sia un pareggio tra attivo e passivo perché tutti i beni sono assorbiti dall’importo dei debiti e quindi tutti i creditori potrebbero trovare di che soddisfarsi” (cit. Trib. Roma).
Conclusivamente, la responsabilità di cui all’azione ex art. 2394 cc sussiste quindi in presenza 1) della violazione degli obblighi posti a carico degli amministratori dalla legge o dallo Statuto, 2) della causazione di un danno al patrimonio sociale, 3) di un nesso causale tra la violazione dei doveri e la produzione di un danno.
Il creditore dovrà allegare non un qualunque inadempimento ma un inadempimento qualificato ossia un inadempimento astrattamente efficiente alla produzione dell’evento (Trib. Sez. Spec. Impresa Napoli 29.04.2022).
All’amministratore spetterà invece fornire la prova di avere compiuto il proprio dovere con diligenza ed in assenza di conflitto di interessi, ovvero che l’inadempimento non è stato determinato a causa a lui imputabile ex art. 1218 cc, ovvero ancora che il danno sia dipeso da caso fortuito o dal fatto di un terzo (cit. Trib. Roma).
Diversamente dall’ azione di cui all’art. 2395 cc, l’azione individuale spettante al socio o al terzo non presuppone il depauperamento del patrimonio sociale (e non mira quindi al risarcimento del danno al patrimonio stesso) ma tende al risarcimento del danno da loro subito direttamente nella propria sfera giuridica.
L’azione individuale del socio richiede, infatti, che la violazione del diritto individuale – e il danno individuale – del socio siano causati dalla violazione di un obbligo giuridico che impone all’amministratore un vincolo di comportamento direttamente nei confronti del soggetto danneggiato (Trib. Sez. Spec. Impresa Venezia 24.04.2019).
L’inadempimento valido ai fini dell’art. 2395 cc si identifica, quindi, nella realizzazione di fatti illeciti imputabili in via immediata a comportamenti illegittimi degli amministratori, dovendosi, in difetto, ritenere ascrivibili gli illeciti contrattuali alla sola società quale soggetto esclusivamente responsabile (Trib. Sez. Spec. Impresa Roma 22.01.2018).
Pertanto, ove il danno patito costituisca soltanto il riflesso del pregiudizio al patrimonio sociale non è esperibile l’azione ex art. 2395 poiché questa impone che il socio abbia subìto un danno dagli atti dolosi o colposi dagli amministratori mentre il diritto alla conservazione del patrimonio sociale spetta solo alla società (C. App. Sez. Spec. Impresa Milano 27.12.2022 n. 4071, Trib. Latina 08.06.2022 n. 1205, Trib. Sez. Spec. Impresa Milano 18.11.2021 n. 9505).
Correttamente, la sentenza in commento ha dapprima rilevato che l’inadempienza della società al mancato rispetto degli obblighi derivanti dal contratto è da ascrivere alla sola società poiché, in forza del rapporto di immedesimazione organica tra società ed amministratori, l’atto compiuto dall’amministratore è atto della società (e non compiuto per la società); con la conseguenza che di tale inadempienza e dei danni ad essa conseguenti risponde unicamente la società.
Indi il Tribunale lagunare ha ben sottolineato che laddove i comportamenti illeciti degli amministratori vadano oltre il mero comportamento di inadempienza contrattuale (seppur ad essa connessi) causino un danno al terzo quale conseguenza immediata e diretta, la responsabilità degli amministratori di società di capitali ricade all’interno della previsione di cui all’art. 2395 cc.
La sentenza ha il pregio di evidenziare che risulta del tutto ininfluente al fine dell’azione ex art. 2395 cc se gli amministratori abbiano causato il danno nell’esercizio del loro ufficio o al di fuori di tali incombenze, così come neppure risulta d’interesse alcuno che detta condotta sia stata tenuta nell’interesse della società o addirittura abbia favorito quest’ultima.
Ciò che rileva, trattandosi di responsabilità extracontrattuale, è la prova da parte dell’attore di un comportamento illecito dell’amministratore – che si ponga come un quid pluris rispetto all’inadempienza contrattuale della società – che abbia prodotto un danno diretto nel patrimonio dell’attore quale conseguenza immediata e diretta del comportamento illecito medesimo.
Ne deriva che va esperita l’azione ex art. 2395 cc nel caso in cui il socio lamenti la verificazione di un danno al valore o alla reddittività della partecipazione quale conseguenza di una condotta illegittima dell’amministratore: tale danno, infatti, si manifesta direttamente ed esclusivamente nel patrimonio del socio nel quale si determina la diminuzione; con l’ulteriore conseguenza che detta azione non si trasferisce all’acquirente delle partecipazioni in caso di vendita di queste (Trib. Sez. Spec. Impresa Milano 31.03.2021). Identicamente la giurisprudenza ha escluso che la mancata percezione degli utili e la diminuzione di valore della quota di partecipazione costituiscono danno diretto del singolo socio poiché gli utili fanno parte del patrimonio sociale fino all’eventuale delibera assembleare di distribuzione e la quota di partecipazione è un bene distinto dal patrimonio sociale, la cui diminuzione è conseguenza soltanto in diretta ed eventuale della condotta dell’amministratore (Trib. Latina 08.06.2022 n. 1205). Al contrario “I soci di una società di capitali non hanno titolo al risarcimento dei danni che costituiscano mero riflesso del pregiudizio arrecato da terzi alla società stessa, con conseguente reintegrazione indiretta a favore del socio; essi hanno, invece, diritto ad essere risarciti esclusivamente qualora il danno allegato e provato non possa considerarsi giuridicamente riflesso, come accade per i danni arrecati alla sfera personale del socio (diritto all’onore o alla reputazione) o per taluni danni patrimoniali – come quelli derivanti dalla perdita di opportunità personali, economiche e lavorative, o dalla riduzione del cosiddetto merito creditizio, i quali vanno risarciti al socio dal terzo responsabile.” (Trib. Parma 03.03.2020 n. 184).
Dall’impostazione sopra esposta derivava nella giurisprudenza anteriforma del codice della crisi d’impresa l’orientamento consolidato secondo il quale “l’azione ex art. 146 L.Fall presenta natura inscindibile e unitaria in quanto cumula in sé le diverse azioni previste dagli articoli 2393 e 2394 cc a favore, rispettivamente, della società e dei creditori sociali […]” (ex pluris Tribunale Napoli 29.04.2022); “In caso di fallimento di società, la legittimazione ad esercitare le azioni di responsabilità nei confronti degli amministratori e sindaci, spetta, in via esclusiva, al curatore fallimentare, e non soltanto quella c.d. sociale, per il ristoro di danni arrecati alla società, ma anche le cc.dd. azioni di massa, ovvero, quelle azioni finalizzate alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica e avente carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo, siano essi i soci o i creditori sociali, ed al cui novero non appartiene l’azione risarcitoria individuale, la quale, analogamente a quella prevista dall’art. 2395 c.c., costituisce strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore.” (Trib. Sez. IV – Bologna 25.07.2017 n. 1654; nello stesso senso Trib. Sez. IV – Bologna 13.07.2017 n. 1508; Cass. Civ. Sez. III – 12.05.2017 n.11798; Cass. Civ. Sez. I – 20.04.2017 n. 9983).
Tale orientamento risulta oggi normato all’art. 255 CCI laddove si prevede che al titolo “Azioni di responsabilità:
- Il curatore, autorizzato ai sensi dell’articolo 128, comma 2, può promuovere o proseguire;
a) l’azione sociale di responsabilità;
b) l’azione dei creditori sociali prevista dall’articolo 2394 e dall’articolo 2476, sesto comma, del codice civile;
c) l’azione prevista dall’articolo 2476, ottavo comma, del codice civile;
d) l’azione prevista dall’articolo 2497, quarto comma, del codice civile;
e) tutte le altre azioni.”
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