Quando l’avvocato non può notificare l’atto a mezzo PEC: le residue competenze funzionali esclusive dell’ufficiale giudiziario in materia civile
di Andrea Ricuperati Scarica in PDFIl quadro normativo di riferimento
Negli ultimi decenni l’ordinamento processuale civile italiano, che inizialmente riservava agli ufficiali giudiziari (d’ora in poi anche, per brevità, singolarmente o collettivamente, «u.g.») – quale prerogativa assoluta ed inderogabile – ogni potestà in materia di notificazione (affidando loro l’intero iter del relativo procedimento), ha iniziato ad eroderne le competenze esclusive,
- dapprima facoltizzando gli u.g. (ed in alcuni casi addirittura obbligandoli) ad avvalersi del servizio postale (v. art. 1 l. 20.11.1982, n. 890; a decorrere dal 10 settembre 2017 è abrogata dall’art. 1, comma 57, lett. b), della l. 4.8.2017, n. 124, la norma [art. 4, lett. a), d.lg. 22.7.1999, n. 261] che attribuiva all’Amministrazione postale [e poi a Poste Italiane s.p.a., società in mano pubblica] l’esclusiva del servizio in questione; con decreto dell’Autorità nazionale per la regolamentazione del settore postale, da adottarsi entro 90 giorni dall’entrata in vigore della l. n. 124/2017, saranno fissati i requisiti per il rilascio ai privati delle licenze individuali di fornitura del servizio.)
e
- successivamente – con la l. 21.1.1994, n. 53 – estendendo agli avvocati la platea dei soggetti abilitati alla notifica.
I poteri notificatori degli avvocati, i quali per quanto riguarda le notifiche a mani e quelle postali sono subordinati al rilascio della preventiva autorizzazione del consiglio dell’ordine di appartenenza ed all’osservanza di particolari formalità (come la tenuta del registro cronologico), oltre che (per le notifiche a mani) essere circoscritti a determinate tipologie di destinatari (domiciliatari iscritti nello stesso albo del notificante), sembrerebbero invece tendenzialmente illimitati, sui piani soggettivo ed oggettivo, quando concretantisi nelle notifiche effettuate con modalità telematica, ossia tramite la posta elettronica certificata (infra «PEC»), come consentito con la piena attuazione delle modifiche ed integrazioni apportate alla l. n. 53/1994 (cfr. l’ultimo periodo dell’art. 1 della l. n. 53/1994, come innovato da ultimo dall’art. 46, comma 1, lett. a), d.l. 24.6.2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla l. 11.8.2014, n. 114; si veda altresì l’art. 1 del d.m. Giustizia 3.4.2013, modificativo dell’art. 18 del regolamento sul processo civile telematico (d.m. Giustizia 21.2.2011, n. 44).
La problematica
A voler accontentarsi di una superficiale lettura della disciplina legislativa e regolamentare in tema, infatti, sembrerebbe che ogni avvocato – anche se sprovvisto di autorizzazione consiliare e/o in pendenza di procedimento disciplinare a suo carico – possa notificare qualunque atto o provvedimento giudiziario civile via PEC, purché (i) sia munito di procura, (ii) utilizzi un indirizzo PEC risultante da pubblico elenco ai sensi dell’art. 16-ter d.l. 18.10.2012, n. 179 (conv. dalla l. 17.12.2012, n. 221), (iii) trasmetta il plico virtuale all’indirizzo PEC del destinatario inserito in un pubblico elenco, (iv) attesti ex art. 16-undecies d.l. n. 179/2012 cit. la conformità della copia informatica all’originale, quando quest’ultimo abbia formato analogico, e (v) rediga e firmi digitalmente la relazione di notifica col contenuto prescritto dall’art. 3-bis, comma 5, della più volte menzionata l. n. 53/1994.
Ma è proprio così ?
Certamente no, quando «l’autorità giudiziaria disponga che la notifica sia eseguita personalmente» (cfr. l’inciso finale del primo periodo dell’art. 1 l. n. 53/1994): l’avverbio «personalmente», contrapposto alla locuzione «a mezzo del servizio postale» – e, per effetto del richiamo operato dal secondo periodo della norma («Quando ricorrono i requisiti di cui al periodo precedente»), a quella «a mezzo di posta elettronica certificata» – vale ad escludere il ricorso alla PEC laddove il giudice abbia ordinato che la notifica avvenga con gli strumenti tradizionali.
Quella appena illustrata è, tuttavia, un’eventualità abbastanza rara. Ben più frequenti sono altre ipotesi, non disciplinate in modo esplicito sul punto, per le quali la notifica a mezzo PEC da parte dell’avvocato è problematica. Trattasi in particolare:
- delle notificazioni cd. endoesecutive (= aventi ad oggetto tipicamente il pignoramento presso terzi, il pignoramento immobiliare, l’avviso ex 608 c.p.c. o altri atti dell’esecuzione/espropriazione forzata);
- della notifica dell’atto di precetto contenente la trascrizione di titoli esecutivi extragiudiziali (cambiale, assegno, verbale di conciliazione in esito a mediazione o negoziazione assistita da avvocati);
- della notifica dell’avviso previsto dall’ultimo comma dell’art. 660 del codice di procedura civile;
- della notificazione telematica all’indirizzo PEC del professionista/imprenditore individuale di un atto (o provvedimento) riferito ad un contenzioso estraneo all’attività professionale/imprenditoriale del destinatario della notifica.
Stante l’assenza di previsioni normative, dette ipotesi generano nell’interprete dubbi più o meno elevati circa la sussistenza della legittimazione dell’avvocato alla notifica via PEC.
Le soluzioni prospettabili
- Il primo caso è il più semplice da dirimere: l’ufficiale giudiziario è il soggetto istituzionalmente deputato ad eseguire i comandi insiti nel provvedimento del giudice (cfr. art. 59 c.p.c.) ed una corretta esegesi – letterale e sistematica – della l. n. 53/1994 (che significativamente parla solo di «notificazione di atti»), voluta con finalità di accelerazione dei processi e decongestionamento dei pubblici uffici attraverso l’outsourcing di attività delegabili a soggetti che già si occupavano di gran parte dell’iter notificatorio (ricercando il luogo di consegna e compilando relate, buste di notifica ed avvisi di ricevimento postale), consente di negare che si sia inteso attribuire all’avvocato una funzione – di attuazione degli ordini del giudice – di stretta pertinenza dell’u.g., in quanto coessenziale alla stessa ragion d’essere della sua figura. Ne discende che le notificazioni cd. endoesecutive, inserendosi nel quadro di una più complessa sequenza procedimentale (di cui esse costituiscono un mero step), non possono essere curate in proprio dall’avvocato.
- A differente conclusione, in generale, deve giungersi per l’atto di precetto, proprio perché esso consiste in una diffida di parte la quale si colloca al di fuori dell’esecuzione forzata (pur precedendola necessariamente); non vi sono allora soverchi dubbi sul fatto che l’avvocato possa notificarlo via PEC (del resto, la l. n. 53/1994 estende una simile facoltà pure agli atti «stragiudiziali»). L’art. 480, secondo comma, c.p.c. impone però «la trascrizione integrale del titolo [esecutivo, n.d.r.] stesso, quando è richiesta dalla legge.»: è il caso dei titoli esecutivi di formazione extragiudiziale, come gli assegni, le cambiali e – da ultimo – i verbali recanti gli accordi raggiunti a séguito di mediazione (art. 12, primo comma, d.lg. 4.3.2010, n. 28) o negoziazione assistita da avvocati (art. 5, comma 2-bis, d.l. 12.9.2014, n. 132, conv. dalla l. 10.11.2014, n. 162): in dette ipotesi «l’ufficiale giudiziario, prima della relazione di notificazione, deve certificare di avere riscontrato che la trascrizione corrisponde esattamente al titolo originale». Qui si pongono due quesiti:
- può il difensore sostituirsi all’u.g. nella certificazione in parola ?
- può il difensore notificare via PEC il precetto, dopo che l’u.g. abbia attestato la conformità della trascrizione del titolo esecutivo ?
A proposito del primo problema, va rilevato che nessuna norma attribuisce all’avvocato il potere certificativo in discussione: il combinato disposto degli artt. 3-bis, comma 2, l. n. 53/1994 e 16-undecies, secondo e terzo alinea, d.l. n. 179/2012 concerne, invero, la conformità della copia notificanda via PEC al relativo originale analogico, mentre nella fattispecie ad essere notificato non è il titolo esecutivo bensì il solo precetto con la ivi inclusa trascrizione; e l’art. 6 della l. n. 53/1994, nell’attribuire la qualità di pubblico ufficiale all’avvocato quando notifica in proprio un atto, redige la relazione di notifica e/o compie le annotazioni sul registro cronologico riguardanti le notifiche a mani, non menziona l’attività di certificazione di cui al capoverso dell’art. 480 c.p.c. A parere di chi scrive, dunque, la domanda merita risposta negativa.
Nulla osta, per contro, a che – una volta ottenuta la certificazione dell’u.g. – sia l’avvocato a notificare telematicamente il precetto de quo; anche se accedere all’U.N.E.P. per raccogliere tale certificazione, ritirare l’atto e riportarlo in studio per la successiva notifica via PEC potrebbe rivelarsi un inutile dispendio di energie e tempi, specie quando l’ufficio dell’u.g. competente sia ubicato in località diversa da quella del domicilio del difensore notificante.
- Ai sensi dell’ultimo alinea dell’art. 660 c.p.c., «Se l’intimazione [di sfratto] non è stata notificata in mani proprie, l’ufficiale giudiziario deve spedire avviso all’intimato dell’effettuata notificazione a mezzo di lettera raccomandata, e allegare all’originale dell’atto la ricevuta di spedizione.».
Non è questa la sede per discorrere del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulle conseguenze (in termini di nullità/irregolarità legittimante l’opposizione tardiva ex art. 668 c.p.c., o invece di vizio ininfluente sulla validità della notifica) dell’omissione od anomalia inficiante un simile adempimento; così come non interessa stabilire se, dopo la sua introduzione ad opera dell’art. 36, comma 2-quater, del d.l. 31.12.2007, n. 248 (conv. dalla l. 28.2.2008, n. 31), il nuovo ultimo comma dell’art. 7 della l. 20.11.1982, n. 890, nel prescrivere che «Se il piego non viene consegnato personalmente al destinatario dell’atto, l’agente postale dà notizia al destinatario medesimo dell’avvenuta notificazione dell’atto a mezzo di lettera raccomandata», abbia o meno reso superflua l’applicazione alle notifiche postali del succitato ultimo alinea dell’art. 660 c.p.c..
Qui interessa chiedersi se la notifica telematica – con esito positivo – ad una persona giuridica (oppure ad una società, associazione, comitato privi di personalità giuridica) si consideri effettuata «in mani proprie» e, dunque, possa esimere l’avvocato notificante dalla formalità appena ricordata.
Giova rammentare che, a norma dell’art. 48, secondo comma, del d.lg. 7.3.2005, n. 82 (cd. codice dell’amministrazione digitale), la trasmissione di un documento informatico via PEC «equivale, salvo che la legge disponga diversamente, alla notificazione per mezzo della posta».
Ora:
- chi argomenta che nell’ipotesi di notificazione a soggetto diverso da persona fisica non si applicano le norme di cui agli ultimi commi dell’art. 660 c.p.c. e/o 7 L. n. 890/1982 (v. ad esempio Cass. Civ., Sez. III, 5.8.2002, n. 11702, in pluris-cedam.utetgiuridica.it) trarrà dall’equipollenza fra notifica postale e notifica via PEC il corollario dell’esonero del difensore, il quale abbia notificato con successo l’intimazione di sfratto in via telematica, da ogni ulteriore incombenza;
- chi invece sostiene la tesi opposta (cfr. per tutte Trib. Milano 31.5.1999, in Foro It., 2000, I, 680) opterà per l’esonero in questione laddove ritenga che il soggetto titolare dell’accesso alla casella PEC sia il legale rappresentante dell’ente o comunque «persona incaricata di ricevere le notificazioni», mentre ordinerà di procedere ai sensi dell’ultimo alinea dell’art. 660 c.p.c. (e/o dell’art. 7 L. n. 890/1982) qualora reputi che tale persona sia una mera «addetta alla sede»; Ritiene lo scrivente che tale ultima scelta sia errata, in quanto chiunque possiede le credenziali di accesso ad una casella di posta elettronica certificata si presume per definizione (con prova contraria sostanzialmente impossibile) investito del compito di ricevere gli atti per conto dell’ente; anche se non si ignora l’opinione espressa dal Tribunale di Modena (ordinanza 23.7.2014, reperibile su wordpress.com/2014/09/09/giurisprudenza-notifica-pec-compatibile-con-giudizio-di-convalida-ma-va-sempre-integrata-con-racc-ex-art-660-cpc), secondo cui la notifica telematica ad una società non può mai reputarsi eseguita «in mani proprie», sicché l’avviso ex art. 660 u.c. c.p.c. occorrerebbe sempre.
Devesi pertanto ragionevolmente concludere – pur con la riserva di cui alla (isolata, a quanto consta) pronunzia appena ricordata – che in qualsiasi ipotesi di notificazione telematica di un’intimazione di sfratto (e non solo, come pare incontestabile, quando il conduttore sia una persona fisica; per una conferma in tal senso nel caso di una ditta individuale v. Trib. Frosinone 22.3.2016, con nota di E. Pofi, in questa Rivista, ed. 20.6.2017) basta, per il perfezionamento della notifica, la generazione della ricevuta di avvenuta consegna del messaggio PEC.
- L’art. 4 del d.l. n. 179/2012, introducendo l’art. 3-bis nell’àmbito del codice dell’amministrazione digitale, ha contemplato la facoltà di ogni cittadino di indicare al Comune di residenza un proprio domicilio digitale, ossia un indirizzo PEC destinato ad essere inserito all’interno dell’anagrafe nazionale della popolazione residente («ANPR»). La ANPR – che resta al momento un progetto ancora lontano dall’essere completato – costituisce pubblico elenco, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 16-ter del d.l. n. 179/2012, sicché ad esso si potrà validamente attingere quando il difensore desideri procedere alla notifica con modalità telematica.
Alcuni cittadini sono tenuti per legge a dotarsi di un indirizzo PEC, in quanto titolari di impresa individuale (art. 5, commi 1 e 2, d.l. n. 179/2012 cit.) o professionisti (ex art. 16, comma 7, d.l. 29.11.2008, n. 185, conv. dalla l. 2.1.2009, n. 2); e detto indirizzo viene inserito in pubblici elenchi (INI-PEC [art. 6-bis d.lg. n. 82/2005] e/o registro imprese [art. 16, comma 6, d.l. n. 185/2008]).
Quid iuris se detti cittadini ricevono sulla casella PEC della loro attività economica una notificazione telematica riferita ad un contenzioso estraneo all’impresa o professione esercitata ?
L’art. 3-bis, comma 1 (primo periodo), della l. n. 53/1994 si limita a prevedere che «La notificazione con modalità telematica si esegue a mezzo di posta elettronica certificata all’indirizzo risultante da pubblici elenchi», senza esigere che tale indirizzo abbia una qualche pertinenza con l’oggetto del contenzioso; né esistono norme che subordinino l’utilizzabilità dell’elenco alla pertinenza del medesimo rispetto alla natura della lite.
Non potendosi concepire una scissione di soggettività giuridica fra la persona fisica e la professione svolta o la sua ditta, pare destinata al rigetto l’eventuale eccezione di nullità di una notifica eseguita alla casella PEC professionale/imprenditoriale per vertenze di carattere personale o consumeristico. Del resto, la costituzione in giudizio sanerebbe ogni vizio ai sensi dell’art. 156, terzo comma, c.p.c. e, nel caso di una scelta diversa da parte dell’interessato (che decidesse di non costituirsi per censurare in prosieguo l’invalidità dell’intero procedimento), non vi sarebbe proporzione fra il vantaggio (modesto, stante l’efficacia retroattiva della sanatoria connessa alla tempestiva rinnovazione) di un probabile ordine di rinnovazione della notifica e le (più serie) negative conseguenze della ipotetica declaratoria di contumacia ove il giudice reputi valida la notifica a mezzo PEC.
La tesi qui predicata ha trovato autorevole riscontro presso la Fondazione italiana per l’innovazione forense (cfr. l’articolo pubblicato in www.fiif.it/gli-elenchi-pubblici-degli-indirizzi-pec-gli-eventuali-limiti-al-relativo-utilizzo) e nella ivi menzionata pronunzia della Corte d’Appello di Torino n. 128 del 27.1.2016 (inedita, a quanto consta).
Conclusioni
Dall’analisi testé svolta si evince che, per taluni atti (e provvedimenti), continua ad essere necessario ed insostituibile l’intervento dell’ufficiale giudiziario; nei casi dubbi, la doverosa cautela suggerisce di adottare – in attesa che si formino nella giurisprudenza linee-guida consolidate – la soluzione più prudente, onde prevenire in radice il rischio di eccezioni (o rilievi del giudice: «Le notificazioni di cui alla presente legge sono nulle e la nullità è rilevabile d’ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica.» [art. 11 l. n. 53/1994]) defatiganti e capaci di dilatare in misura cospicua i tempi della decisione del merito della controversia, fine ultimo delle domande di giustizia presentate allo Stato.