L’avvocato non negozia la parcella, ma il giudice lo manda in mediazione
di Eugenio Dalmotto Scarica in PDFTrib. Milano14 ottobre 2015
Procedimenti sommari – Compenso per prestazioni giudiziali – Procedimento ex art. 14, D.Lgs. n. 150/2011 – Possibilità di stare in giudizio personalmente anche senza la qualità di avvocato – Negoziazione assistita – Obbligatorietà – Esclusione (D. leg. 1° settembre 2011, n. 150, art. 14; d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito in l. 10 novembre 2014, n. 162, art. 3)
Processo civile – Mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie – Mediazione delegata dal giudice – Opportunità – Fattispecie (D. leg. 4 marzo 2010 n. 2, art. 5; d.l. 21 giugno 2013, n. 69, convertito in l. 9 agosto 2013, n. 98)
[1] L’art. 3, 7° comma, d.l. n. 132/2014, secondo cui la negoziazione assistita non costituisce condizione di procedibilità quando la parte può stare in giudizio personalmente, trova applicazione nel procedimento ex art. 14, D.Lgs. n. 150/2011, relativo alle controversie per compensi e spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali, dove tale facoltà viene espressamente prevista.
[2] Deve essere disposto il procedimento di mediazione ex officio, ai sensi dell’art. 5, 2° comma, d.leg. 28/2010, quando ciò appaia opportuno per i seguenti motivi: l’incertezza circa l’esito del giudizio; la natura fiduciaria del pregresso rapporto negoziale intercorso tra attore e convenuto, che potrebbe favorire la trattativa; il modesto valore economico della controversia; la gravità dell’incombente istruttorio costituito dal giuramento decisorio, chiesto per contrastare l’altrui eccezione di prescrizione presuntiva.
CASO
[1-2] Un avvocato agisce contro il proprio cliente innanzi al Tribunale di Milano per ottenere il pagamento di una propria parcella di 4.806,50 Euro.
Il giudizio è instaurato, senza ricorrere alla procedura monitoria, nelle forme di cui all’art. 14, d leg. 1° settembre 2011, n. 150, relativo alle controversie per compensi e spese spettanti ad avvocati per prestazioni giudiziali, che, salvo quanto espressamente disposto, rinvia al procedimento sommario ex art. 702 bis c.p.c.
L’avvocato non esperisce preventivamente la procedura di negoziazione assistita.
Il giudice si pone pertanto il problema: (i) se il tentativo di negoziazione costituisca condizione di procedibilità ai sensi dell’art. 3, d.l. 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla l. 10 novembre 2014, n. 162, e, in caso negativo; (ii) se sia opportuno che venga disposta d’ufficio la cosiddetta mediazione delegata di cui all’art. 5, 2° comma, d. leg. 4 marzo 2010, n. 28.
SOLUZIONE
[1] Il primo quesito viene risolto osservando che, poiché la controversia verte su diritti disponibili ed è di valore inferiore a 50.000,00 Euro, la negoziazione dovrebbe essere imposta dall’art. 3, 1° comma, d.l. n. 132/2014.
L’art. 14, d. leg. 150/2011, consente tuttavia alla parti (diversamente che nel procedimento ai sensi del solo art. 702 bis c.p.c.) di difendersi da sole.
Trova così applicazione l’art. 3, 7° comma, d.l. n. 132/2014, secondo cui la negoziazione assistita non costituisce condizione di procedibilità quando la parte possa stare in giudizio personalmente.
Il che rende superfluo indagare se sussistano ulteriori condizioni di esclusione ed in particolare esime dal verificare l’applicabilità di quella, dettata dall’ultima parte dell’art. 3, 1° comma, d.l. n. 132/2014, secondo cui la condizione di procedibilità non sussiste quando – come spesso avviene nei rapporti tra avvocato e cliente – la controversia abbia ad oggetto obbligazioni contrattuali derivanti da contratti conclusi tra professionisti e consumatori.
[2] L’altro quesito è più complesso.
Sicuramente, appare opportuno che il giudice eserciti il potere di disporre la mediazione delegata ai sensi dell’art. 5, 2° comma, d. leg. n. 28/2010, esclusivamente quando emergano elementi tali da lasciar ragionevolmente pronosticare un futuro accordo transattivo tra le parti.
Utilmente, quindi, il Tribunale di Milano enuncia una sorta di prontuario delle situazioni prodromiche rispetto ad una possibile conciliazione, che sono: (i) l’incertezza circa l’esito del giudizio; (ii) la natura fiduciaria del pregresso rapporto negoziale intercorso tra i litiganti; (iii) il modesto valore economico della controversia; (iv) la gravità delle incombenze istruttorie da espletare; (v) l’esistenza di altre cause in corso tra le parti.
Iniziando dall’incertezza del giudizio, prendere atto – magari su segnalazione del giudice, come avvenuto nella fattispecie – dell’esistenza di rischi precedentemente ignorati costituisce un indubbio stimolo ad operare reciproche concessioni. Ciò tanto più quando continuare a litigare appaia poco conveniente per la scarsa entità economica della lite o alla luce dell’istruzione da svolgere, di cui il Tribunale di Milano coglie (non il profilo, astrattamente rilevante, della perdita di tempo derivante dall’ascolto dei testimoni, o quello dei costi di una eventuale consulenza tecnica, bensì) il profilo – evocato dalla specificità del caso concreto – delle possibili conseguenze anche penali della risposta offerta al giuramento decisorio deferito dall’avvocato al proprio cliente. Un deferimento inevitabile per vincere l’eccezione avversaria di prescrizione presuntiva ai sensi degli artt. 2956 e 2957 c.c., essendo trascorsi più di tre anni tra la decisione della lite o la revoca del mandato difensivo e la richiesta di pagamento della parcella.
Passando poi alla natura fiduciaria del rapporto, come è tipicamente quello tra l’avvocato e il proprio assistito, desta invece qualche perplessità l’affermazione secondo cui tale circostanza favorisca la trattativa tra le parti: proprio l’antica e tradita fiducia potrebbe anzi costituire un ostacolo insormontabile alla ripresa dei rapporti interrotti dalla lite.
Quanto infine all’esistenza di altre controversie, la pendenza tra l’avvocato e il suo cliente di più cause distinte sarebbe stato – ad avviso del Tribunale di Milano – un ulteriore motivo di favore per la mediazione, giacché nulla vieta al mediatore di considerare i fatti in modo complessivo e di cumularli ai fini di un unico tentativo di conciliazione.
QUESTIONI
[1] Sulla negoziazione assistita dagli avvocati, cfr., tra i molti, Chiarloni, Minime considerazioni critiche su trasferimento in arbitrato e negoziazione assistita, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2015, 221 ss., ed ora, amplius, Id., Sempre aperto il cantiere delle riforme del processo civile, in Giur. it., 2015, 1257 ss.; Farina, La negoziazione assistita dagli avvocati: da «preambolum ad litem» ad «outsourcing» della decisione del giudice, in Riv. dir. proc., 2015, 514 ss.; Luiso, La negoziazione assistita, in Nuove leggi civ. comm., 2015, 649 ss. È dubbio se l’ipotesi di cui all’art. 3, 7° comma, d.l. n. 132/2014, laddove esclude la negoziazione assistita obbligatoria quando la parte possa stare in giudizio personalmente, possa considerarsi integrata allorché l’avvocato stia in giudizio senza il ministero di altro difensore, come consentito dall’art. 86 c.p.c.
Secondo Ronco, in AA.VV., Trasformazioni e riforme del processo civile, Bologna, 2015, 37, ciò non sarebbe possibile, in quanto l’ipotesi di esclusione dovrebbe intendersi limitata ai casi (quali quello di cui all’art. 82, 1° comma, c.p.c. e per l’appunto quello di cui all’art. 14, d. leg. n. 150/2011) nei quali può difendersi personalmente anche la parte priva di specifica qualificazione all’attività forense.
Considerato che se può autodifendersi dinanzi al giudice a maggior ragione l’avvocato può assistere se stesso nella negoziazione assistita, ciò però determinerebbe una negoziazione nella quale verrebbe meno l’elemento di stemperamento della lite, e quindi di facilitazione della transazione, derivante dall’interposizione tra i litiganti dei rispettivi avvocati.
[2] Sulla mediazione delegata, cfr. Cuomo Ulloa, La nuova mediazione, Bologna, 2013, 217 ss.; e, per profili di interesse specifico, Atti, La mediazione delegata dal giudice: opportunità, limiti e condizioni, in Foro pad., 2012, II, 121 ss. In giurisprudenza, cfr., inoltre, Trib. Prato 16 gennaio 2012, in Giur. it., 2013, 1161, secondo cui, nell’esercitare la propria discrezionalità ai fini dell’invito delle parti alla mediazione ai sensi dell’art. 5, 2° comma, d. leg. 28/2010, il giudice deve valutare la natura della causa, lo stato dell’istruzione ed il comportamento delle parti stesse; nonché Trib. Milano 29 ottobre 2013, in Nuova giur. civ., 2014, I, 230, a cui parere un elemento positivo della mediazione ex officio consisterebbe nella possibilità per il mediatore di estendere la trattativa a fatti emersi successivamente all’instaurazione della lite, non esaminabili nel processo, dal momento che l’eventuale conciliazione potrebbe risolvere definitivamente il conflitto, mentre la sentenza del giudice consentirebbe una soluzione solo parziale.