19 Gennaio 2016

L’ascolto del minore nel procedimento di separazione giudiziale

di Rita Lombardi Scarica in PDF

Cass. Sez. I.,  29 settembre 2015 n. 19327


Scarica la sentenza

Famiglia – Procedimento di separazione giudiziale – Ascolto del minore – Necessità. 


(C.c. artt. 315 bis, 336 bis, 337 bis c.c; disp. att. c.c. art. 38 bis)

[1] In virtù degli artt. 315 bis, 336 bis, 337 bis c.c. e 38 bis disp. att. c.c.  – espressione delle convenzioni di New York del 1989 e di Strasburgo del 2003 – è obbligatorio l’ascolto del minore in tutti i procedimenti in cui si assumono provvedimenti che lo riguardano, salvo che l’audizione sia manifestamente superflua o si ponga in contrasto con il suo interesse, nel qual caso il giudice deve darne atto con provvedimento motivato.

CASO
[1]  In un procedimento di separazione personale in cui ambedue i coniugi chiedono sia l’addebito della separazione che l’affidamento dei figli minori, i giudici romani di prime e seconde cure dispongono in ordine a quest’ultimo punto senza il previo ascolto della prole. Propone ricorso in cassazione la moglie denunciando – tra l’altro – la violazione dell’art. 12, della Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo, dell’art. 6 Convenzione di Strasburgo del 1996 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli, nonché dell’art. 155 sexies c.c., per la mancata audizione nel processo di separazione della minore non affidatole. La Cassazione accoglie il ricorso per tale motivo e rinvia alla Corte d’Appello, in diversa composizione, affinchè si proceda a siffatta audizione. 

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione, richiamate le fonti sovranazionali sull’obbligo di sentire il minore nei procedimenti che lo investono e tracciata l’evoluzione normativa del sistema italiano sul punto, rimarca che, in ragione della previsione del novello art. 336 bis c.c., che sostituisce l’art. 155 sexies c.c., il giudice è obbligato ad ascoltare il minore nel processo che lo riguarda giustificando l’omesso ascolto solo la contrarietà con l’interesse del minore o la superfluità dello stesso, evenienze che nella specie non sussistevano. 

QUESTIONI

[1] La sentenza in esame rimarca l’obbligatorietà dell’ascolto del minore minore ultradodicenne o comunque capace di discernimento ad opera del giudice nel procedimento di separazione giudiziale e, in generale, in ogni processo in cui il giudice è chiamato a rendere provvedimenti che incidono nella sua sfera personale, specificando che le uniche deroghe consentite a tale incombente sono quelle di cui all’art. 336 bis c.c. (negli stessi temini v. Cass. 2 agosto 2013 n. 18538, in Foro it., Rep. 2013, voce Filazione n. 77). In tal senso si è orientata la giurisprudenza di legittimità successivamente alla pronuncia delle sezioni unite del 21 ottobre 2009, n. 22238 (in Riv. dir. proc., 2010, 1468 ss. con nota di Danovi, L’audizione del minore nei processi di separazione e divorzio tra obbligatorietà e prudente apprezzamento; in Fam e dir. 2010, 4, 364, con nota di Graziosi, Ebbene sì, il minore ha diritto di essere ascoltato nel processo), resa dopo l’inserimento nel codice civile dell’art. 155 sexies (l. n. 54/2006 sull’affidamento condiviso), con la quale si era puntualizzato che l’omissione dell’audizione della prole minore determina la nullità del processo e del relativo provvedimento decisorio. La nuova concezione del figlio minore inteso non più come “oggetto di tutela” ma come “soggetto titolare di diritti soggettivi perfetti, autonomi ed azionabili” era stata, invece, più attentamente evidenziata da Cass. 11 febbraio 2010, n. 7282, in Fam. dir. 2011, 268 con nota di Querzola, La Cassazione prosegue nel comporre il mosaico del processo minorile; negli stessi termini di quest’ultima nella giurisprudenza di merito v. Trib. Varese 24 gennaio 2013, in Foro it., Rep. 2013, voce Separazione di coniugi, n.183.

Sul piano sovranazionale il cammino verso il riconoscimento dell’ascolto come diritto del minore ha avuto avvio – come evidenzia la pronuncia in esame –  con la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989 (art.12 co. 1 e 2), cui hanno fatto seguito la Convenzione europea di Strasburgo del 25 gennaio 1996 sull’esercizio dei diritti dei fanciulli (artt. 3-5), la Convenzione di Strasburgo del 15 maggio 2003 sulle relazioni personali (art. 6) ed, altresì, il  Regolamento Ce n. 2201 del 27 novembre 2003 (art. 23), la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2009, e le Linee guida del Consiglio d’Europa del 2010 (su cui v. Tommaseo, Il processo familiare e minorile italiano nel contesto dei principi europei, in Dir. fam. e pers., 2012, 1265).

Nel nostro ordinamento il primo passo a favore dell’audizione del minore nel processo, sia pur come attività rimessa alla discrezionalità del giudice,  è da ricondurre alla l. n.74 del 1987 che ha inciso sulla l. n. 898/70 (la legge sul divorzio: v. gli artt. 4 co. 8 e 6 co. 9), applicabile, in ragione dell’art. 23 della medesima legge, anche al giudizio di separazione.

Ma è solo con l’ introduzione dell’art. 155-sexies c.c. ad opera della legge n. 54/2006 che viene delineato il diritto del minore all’ascolto. A seguito delle riforme di cui alla l. 10 dicembre 2012 n. 219 e del d.lgs. 154/2013 in materia di filiazione l’istituto è stato più attentamente disciplinato (v. gli l’art. 315 bis, 336 bis, e 337 octies c.c.; l’art. 38 bis disp. att. c.p.c. e il modificato art. 4 co. 8 l. 898/70).

Resta comunque ancora aperto il dibattito sull’ascolto del minore nell’ambito del procedimento di separazione consensuale, ex art. 711 c.p.c., e di divorzio su domanda congiunta, ex art. 4 co.16 l. div.: a favore dell’obbligatorietà dell’audizione, in un’ottica di generalizzazione del diritto del minore all’ascolto v. Graziosi, Profili processuale della l. n. 54 del 2006 sul c.d. affidamento condiviso dei figli, in Dir. fam. pers. 2006, 1866; Nascosi, La separazione consensuale e il divorzio su ricorso congiunto, in I processi di separazione e di divorzio , a cura di Graziosi, Torino, 2011, 307 ss.; reputa, invece, non necessaria detta assunzione, in ragione della mancata conflittualità tra coniugi in tali procedimenti, Lombardi, I procedimenti fondati sull’accordo tra le parti, in Trattato della separazione e divorzio, cura di M.A. Lupoi, II, Ravenna, 2015, II, 523 ss.; escludono altresì l’automatismo dell’ascolto del minore Querzola, L’ascolto del minore, ivi, 274 ss., spec. 281 ss.; Danovi, L’ascolto del minore nel processo civile, in Dir. fam. e pers., 2014, 1614 ss.; M.A. Lupoi, Aspetti processuali della normativa sull’affidamento condiviso, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2006, 1063. A sostegno di tale conclusione sembra essersi posto il legislatore con la riforma di cui al d.lgs. 132/2014, convertito con significativi emendamenti,  nella l. n. 162 del 2014, con la quale si è riconosciuta ai coniugi la possibilità di addivenire alla separazione, al divorzio e alla modifica delle relative condizioni attraverso il procedimento di negoziazione assistita, ossia con un procedimento che si svolge dinanzi agli avvocati. Si tratta di uno schema procedimentale che esclude detto ascolto, esclusione rimarcata dalla previsione di cui all’art. 56 del codice deontologico forense.

Sulla natura (lato sensu istruttoria) dell’ascolto del minore, sulle modalità di assunzione di esso e sulla sua valutazione ad opera del giudice v., tra gli altri, v. Danovi, L’ascolto del minore, cit., 1599 ss.; Querzola, L’ascolto del minore, cit., 278 ss.; Sul vizio della sentenza priva di motivazione in ordine alla capacità di discernimento del minore o riguardo al mancato rispetto dell’opinione dello stesso minore da parte del giudice, da far valere attraverso il ricorso per cassazione, v. Ruffini, Il processo civile di famiglia e le parti: la posizione del minore, in Dir. fam. pers., 2006, 1257 ss. Limita l’obbligatorietà dell’ascolto al primo grado e, di conseguenza, esclude il rinnovo di esso in appello Cass. 2 luglio 2014, n. 15143, non mass.

 

Corte di Cassazione, sez. I Civile, 29 settembre 2015, n. 19327
Presidente Forte – Relatore Dogliotti

Svolgimento del processo
Con ricorso in data 22-3-2004, B. Daniela chiedeva al Tribunale di Roma dichiararsi separazione personale dal coniuge D.V.V., con addebito allo stesso, affidamento dei figli minori L., L. ed E. a sè, rassegnazione della casa coniugale, riconoscimento di un assegno di mantenimento per sè e per i figli.


Si costituiva il D.V., proponendo domanda di addebito alla moglie, affidamento dei figli a se, in subordine affido congiunto, in ulteriore subordine, in caso di affido alla madre, ampie modalità di frequentazione con il padre, determinazione di un assegno mensile soltanto per i figli, non superiore ad euro 1200,00.


All’udienza presidenziale, il Presidente autorizzava i coniugi a vivere separati, affidava i figli alla madre, cui assegnava la casa coniugale e determinava in Euro 1500,00 il contributo di mantenimento ai figli da parte del padre.

Con sentenza non definitiva del 21-3-2007, il Tribunale di Roma pronunciava la separazione personale dei coniugi.


Con sentenza definitiva in data 10-9-2008, il predetto tribunale dichiarava l’addebitabilità della separazione al marito, affidava i figli minori, collocati presso la madre, ai Servizi sociali, assegnava alla B. la casa coniugale, determinava in Euro 1800,00 il contributo paterno per il mantenimento dei figli. Proponeva appello la B., chiedendo l’affidamento a se dei minori L. ed E., la determinazione in Euro 2400,00 dell’assegno per figli e assegno di mantenimento per in Euro 800,00.


Si costituiva il D.V., chiedendo il rigetto dell’appello principale e, in via incidentale, l’addebito soltanto alla moglie.


La Corte d’appello di Roma, con sentenza in data 17-2-2012, confermava l’affidamento di E. al servizio sociale, essendo ormai maggiorenni gli altri figli, elevava l’assegno per essi ad Euro 2200,00, confermava l’esclusione per l’assegno della moglie, revocava la pronuncia di addebito della separazione al D.V..


Ricorre per cassazione la B..


Resiste con controricorso il D.V., che deposita due memorie difensive.

Motivi della decisione
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta vizio di motivazione, là dove la Corte d’appello aveva confermato l’affidamento della minore ai Servizi sociali.

Con il secondo, violazione dell’art. 3 Convenzione di New York sui diritti dei minori del 1989, ratificata con L.n. 176 del 1991, nonché erronea valutazione dell’interesse della minore E., essendo l’affidamento ai Servizi, nella specie, in contrasto con l’interesse della minore stessa.

Con il terzo, violazione dell’art. 12, predetta convenzione i nonché dell’art. 6 Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori, ratificata con L.n.77 del 2003 nonché degli artt. 155 sexies c.c. sul mancato ascolto della minore.


Con il quarto, violazione dell’art. 156 e 143 c.c., nonché vizio di motivazione, sul mancato accoglimento della domanda di assegno per la moglie.


Per ragioni sistematica va dapprima esaminato il terzo motivo relativo al 
mancato ascolto della minore: la Corte d’appello non vi aveva provveduto nonostante epoca di dieci anni, ne avesse fatto richiesta con lettera versata in atti, risultava, secondo la ricorrente, capace di discernimento, come da certificazione medica e relazione scolastica. Né risultava che la minore fosse stata sentita in primo grado.

La nuova disciplina sull’ascolto del minore, contenuta oggi negli artt. 315 bis, 336 bis, 337 bis c.c. e 38 bis – disp.att. c.c. -, é doverosa espressione, come precisa la ricorrente, di rilevantissimi documenti internazionali (e in particolare le convenzioni di New York e Strasburgo).

Già la L. n. 898 del 1970, sul divorzio, con la novella del 1987 aveva previsto l’audizione del minore, ma limitandola notevolmente: il Presidente predisponeva l’ascolto, ove esso fosse strettamente necessario.

Al contrario, la riforma dell’adozione dei 2001 e quella del 2006 sull’affidamento condiviso, hanno esplicitamente previsto tale incombente, riguardo al minore dodicenne, ma pure di età inferiore, se capace di discernimento (si tratta evidentemente di consapevolezza e comprensione, limitatamente al senso dell’audizione stessa, e non certo di una vera e propria capacità), come un obbligo e non una mera facoltà.

La giurisprudenza successiva ha confermato la sussistenza di un obbligo, a pena di nullità, e tuttavia ha ammesso che il minore possa essere sentito da un consulente o dal personale dei servizi sociali, anche se ha precisato che sarebbe necessario uno specifico mandato del giudice (tra le altre Cass. S.u.. 22238 del 2009; n. 21651 de1 2011; 11687 de1 2013).


Oggi l’art. 336 bis c.c. precisa che viene ascoltato dal giudice il minore dodicenne o di età inferiore, se capace di discernimento (tale condizione sarà accertata dal giudice stesso, eventualmente coadiuvato da un ausiliario). Si riconferma l’obbligo del’ascolto in tutti i procedimenti in cui si assumono provvedimenti che riguardano il fanciullo, salvo che l’audizione sia manifestamente superflua o si ponga in contrasto con il suo interesse, ma di ciò il giudice dovrà dar atto con provvedimento motivato.

L’art. 315 bis c.c. prevede altresì che il minore ultradodicenne e anche di età inferiore, se capace di discernimento, abbia diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.


Va pertanto accolto il relativo motivo del ricorso, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla Corte d’Appello in diversa composizione, con necessario assorbimento dei primi due dei motivi del ricorso, attinenti all’affidamento della minore.


Nella memoria difensiva, il resistente precisa che è in corso procedimento di divorzio e sarebbe stata emessa sentenza, all’odierna udienza discussione, il difensore ha fatto riferimento una pronuncia di dovrzio in secondo grado. Non è stato peraltro effettuatoa alcuna produzione al riguado, e questa Corte non evidentemente tenerne conto.

E’ bensì vero che l’avvio di una procedura di divorzio, con discussione sull’affidamento di un minore, e a maggior ragione, l’assunzione di provvedimenti, su cui il giudice potrebbe pronunciarsi anche d’ufficio di regola darebbe luogo a cessazione della materia del contendere tra le parti. Tuttavia,
 stante la totale incertezza al riguardo, appare evidente e conforme al superiore interesse del minore, la necessità del suo ascolto da parte del giudice. II giudice dei rinvio potrà eventualmente effettuare accertamenti al riguardo.

Va rigettato il quarto motivo di ricorso relativa al mancato accoglimento della domanda di assegno divorzile da parte della B. . Come é noto, nel pronunciare la separazione ai sensi dell’art. 156 c.c. il giudice stabilisce a favore del coniuge cui non sia addebitale la separazione e che non abbia adeguati redditi propri un assegno di mantenimento. L’art. 5 L.n. 898 del 1970 precisa che il tribunale,con la pronuncia di divorzio, dispone l’obbligo per un coniuge di corrispondere periodicamente all’altro un assegno, quando quest’ultimo non abbia mezzi adeguati o non possa procurarseli per ragioni oggettive. La norma era stata così modificata dalla L.n.74 del 1987, accentuando il profilo assistenziale dell’assegno e avvicinandolo a quello di separazione, con l’uso di un’identica espressione.


La giurisprudenza ha interpretato la nozione di inadeguatezza dei redditi tanto in sede di separazione che in quella di divorzio, nel senso che i mezzi debbano essere tali da consentire al coniuge economicamente più debole di mantenere un tenore di vita analogo a quello che aveva durante la convivenza matrimoniale. Si tratta di interpretazione giurisprudenziale che, subito dopo la novella del 1987 riguardo sul divorzio, fu variamente contrastata: talora si affermò (al riguardo Cass. 1652 del 1990) che l’indagine sull’adeguatezza andava effettuata con riferimento ad un modello di vita economicamente autonomo e dignitoso, come viene a configurarsi di tempo in tempo nella coscienza sociale. D’altra parte, dopo una sentenza a sezioni unite, la n.11490 del 1990, la prima soluzione, frutto comunque di un interpretazione giurisprudenziale e non certo indicata nella lettera della norma si consolidò ampiamente (tra le altre più recentemente Cass. 4698/2009).
Questa Corte ritiene allo stato di conformarsi alla giunspru enza nettamente prevalente, pur con l’ovvia considerazione che spesso l’obbligato non può mantenere, con la separazione o con il divorzio, il tenore di vita di cui egli stesso godeva ndurante la convivenza matrimoniale, e tale situazione non potrà che incidere sul diritto del coniuge economicamente più debole. Nella specie, peraltro, il motivo, pur con riferimento anche a violazione di legge, riguarda per gran parte profili di merito, preclusi in questa sede di legittimità. La sentenza impugnata, con motivazione congrua e non illogica, ha rigettato la domanda della ricorrente, già disattesa in primo grado, evidenziando come, seppur a fronte di una discrepanza reddituale tra i coniugi1la ricorrente non sostenga oneri di alloggio labitando nella casa P1c1Aomproprietà con il marito, gravato da mutuo relativo a detto immobile, ma pure da altro mutuo sulla casa di propria abitazione. La Corte territoriale ha pure considerato i maggiori oneri a carico del marito per il mantenimento dei figli.


Conclusivamente, va rigettato il quarto motivo del ricorso, accolto il terzo, assorbiti gli altri, M cassata la sentenza impugnata, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Roma, in diversa composizione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, assorbiti i primi due; rigetta il quarto; cassa la sentenza impugnata, con rinvio1 anche per le spesel alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.
 In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 Dlgs 196/03, in quanto imposto dalla legge.

 

Centro Studi Forense – Euroconference ti consiglia: