L’approvazione del progetto di distribuzione è atto conclusivo dell’espropriazione immobiliare impugnabile con l’opposizione ex art. 617, comma 2, c.p.c.
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. III, 28 agosto 2024, n. 23240 – Pres. De Stefano – Rel. Rossi
Espropriazione immobiliare – Progetto di distribuzione – Approvazione – Dichiarazione di esecutività – Impugnazione – Opposizione agli atti esecutivi – Dichiarazione di estinzione del processo esecutivo contestuale all’approvazione del progetto di distribuzione – Irrilevanza
Massima: “Il provvedimento di approvazione del progetto finale di distribuzione è impugnabile con l’opposizione agli atti esecutivi, essendo irrilevante che il giudice abbia contestualmente dichiarato l’estinzione del processo esecutivo, in quanto tale dichiarazione è solo una presa d’atto della chiusura fisiologica del processo di espropriazione, non idonea a precludere l’impugnazione dell’approvazione del progetto finale di distribuzione, che è l’ultimo atto di quel processo”.
CASO
Al termine di un’espropriazione immobiliare, il giudice dell’esecuzione dichiarava approvato il progetto di distribuzione ed estinta la procedura esecutiva.
I debitori esecutati proponevano reclamo ex art. 630 c.p.c., lamentando che i titoli esecutivi azionati fossero stati erroneamente considerati idonei a sorreggere l’azione esecutiva; il reclamo veniva dichiarato inammissibile dal Tribunale di Nocera Inferiore, con sentenza confermata all’esito del giudizio di secondo grado, in quanto il provvedimento del giudice dell’esecuzione andava impugnato mediante opposizione agli atti esecutivi.
Gli esecutati proponevano, quindi, ricorso per cassazione.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, confermando che l’opposizione ex art. 617 c.p.c. è l’unico strumento idoneo per impugnare l’atto con cui il giudice dell’esecuzione, una volta approvato il progetto di distribuzione, dichiara quest’ultimo esecutivo e concluso il processo di espropriazione, indipendentemente dalla terminologia impiegata.
QUESTIONI
[1] Il processo esecutivo è caratterizzato da un sistema chiuso e tipico di impugnazioni, dal momento che:
- le contestazioni inerenti al diritto del creditore di agire esecutivamente, ovvero alla pignorabilità dei beni assoggettati a espropriazione forzata vanno veicolate attraverso l’opposizione agli atti esecutivi (art. 615 c.p.c.);
- le contestazioni che attengono, invece, alla regolarità, alla validità e alla legittimità dei singoli atti (delle parti o del giudice) attraverso i quali si svolge e progredisce il processo esecutivo vanno proposte attraverso l’opposizione agli atti esecutivi (art. 617 c.p.c.);
- per quanto concerne, infine, i provvedimenti che dichiarano l’estinzione del processo esecutivo, il rimedio approntato dal legislatore è il reclamo (art. 630 c.p.c.).
A tale ultimo riguardo, tuttavia, si impone una precisazione: il reclamo può essere proposto nelle ipotesi che vengono definite di estinzione tipica del processo esecutivo, vale a dire in quelle precipuamente considerate dall’art. 630 c.p.c., che fa riferimento, da un lato, ai casi espressamente previsti dalla legge e, dall’altro lato, alle fattispecie nelle quali le parti non proseguono o non riassumono nel termine perentorio il processo esecutivo, cioè quando si verifica una loro specifica e qualificata inattività.
È noto, tuttavia, che l’estinzione o l’arresto definitivo del processo esecutivo può ricorrere in numerosi altri casi, nei quali, per la situazione patologica che si è venuta a determinare o per l’inottemperanza a un ordine impartito dal giudice, l’esecuzione non è in grado di raggiungere il suo scopo e deve, pertanto, essere chiusa anticipatamente (si parla anche, in questi casi, di improseguibilità o improcedibilità dell’esecuzione).
Lo stesso è a dirsi per il provvedimento con cui, ai sensi dell’art. 164-bis disp. att. c.p.c., viene disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo per infruttuosità, quando risulta che non è più possibile conseguire – per esempio, per il considerevole ribasso del prezzo del bene pignorato, a seguito dell’esperimento di plurimi e infruttuosi tentativi di vendita – un ragionevole soddisfacimento delle ragioni creditorie, anche in considerazione dei costi necessari per la prosecuzione della procedura.
In tutti questi casi, il provvedimento del giudice dell’esecuzione va attinto con l’opposizione agli atti esecutivi nel termine perentorio di venti giorni dalla comunicazione o dalla sua conoscenza legale.
Analogo regime di impugnazione segue, come precisato dalla Corte di cassazione, l’ordinanza che, una volta approvato il progetto di distribuzione, dichiara lo stesso esecutivo e, nel contempo, definita ovvero conclusa la procedura esecutiva.
Tale declaratoria, infatti, non è altro che una presa d’atto della chiusura fisiologica del processo di espropriazione forzata, ovvero dell’impossibilità di compiere ulteriori atti una volta giunti al termine dell’iter processuale delineato dal legislatore: da questo punto di vista, il provvedimento del giudice dell’esecuzione ha una valenza puramente descrittiva, come tale priva tanto di autonoma portata precettiva, quanto di contenuto accertativo di una delle situazioni che danno luogo alla fattispecie legale di estinzione tipica dell’esecuzione cui propriamente si riferisce l’art. 630 c.p.c., fondamentalmente legata all’inerzia dei soggetti titolati a dare impulso all’esecuzione.
Recentemente, peraltro, la Corte di cassazione, nelle sentenze n. 32143 e n. 32146 del 20 novembre 2023, ha affrontato proprio il tema dell’individuazione del momento finale dell’espropriazione forzata immobiliare, visto che, a fronte di un orientamento secondo cui il processo esecutivo si definisce e si conclude con il provvedimento che – approvato il progetto di distribuzione delle somme ricavate dalla vendita, ovvero risolte le contestazioni sollevate ex art. 512 c.p.c. – dichiara l’esecutività del piano di riparto e ordina il pagamento ai creditori delle somme di rispettiva spettanza, era stato pure affermato che la procedura esecutiva doveva ritenersi tecnicamente pendente fino a quando il progetto di distribuzione non avesse avuto definitiva esecuzione, con l’effettiva riscossione dei mandati di pagamento emessi.
Questa seconda posizione poggiava sull’assunto per cui l’ordinanza di distribuzione definisce la fase espropriativa vera e propria, ma non anche il processo esecutivo, da ritenersi in corso fintanto che non sia stato eseguito il pagamento, a favore del creditore assegnatario, della somma ricavata dalla vendita, supponendo che la proprietà di detta somma rimanga del debitore fino a quando non avvenga in concreto il suo passaggio nella sfera patrimoniale del creditore.
I giudici di legittimità, tuttavia, hanno respinto simile ricostruzione, escludendo che l’ordinanza resa all’esito dell’approvazione del progetto di distribuzione o risolutiva delle controversie ex art. 512 c.p.c. segni la definizione della fase espropriativa vera e propria e non anche la chiusura definitiva dell’esecuzione.
Opinando diversamente, si dovrebbe ammettere che, nonostante la declaratoria di esecutività del progetto di distribuzione, il processo esecutivo sia ancora pendente in forza del mero dato della mancata esecuzione dell’ordine di pagamento delle singole quote, dandosi preminente rilievo non già all’adozione dell’ultimo provvedimento del processo da parte del giudice dell’esecuzione, ma alla sua esecuzione, che si concreta in un’attività puramente materiale, per quanto dovuta e complementare rispetto al provvedimento che l’ha ordinata.
Nemmeno la pendenza di un’opposizione distributiva può reputarsi idonea a impedire la chiusura dell’esecuzione, quando l’efficacia dell’ordinanza che ha dichiarato l’esecutività del progetto di distribuzione e ordinato i pagamenti non sia stata sospesa (così come un grado di giudizio non può dirsi pendente solo perché il provvedimento che l’ha definito è stato impugnato): solo l’eventuale successivo accoglimento dell’opposizione può travolgere, con effetto ex tunc, il provvedimento impugnato e riaprire, così, il processo esecutivo.
Questa impostazione esplica rilievo anche in ordine alla revocabilità dell’atto conclusivo dell’espropriazione forzata: poiché la definizione di un procedimento giudiziario segna la consumazione del potere di provvedere da parte del giudice che lo sovrintende, non può esservi spazio per la revoca dell’ordinanza che ha dichiarato esecutivo il progetto di distribuzione per il semplice fatto che l’ordine di dare corso ai pagamenti non sia ancora stato materialmente eseguito, poiché ciò significherebbe estendere i poteri del giudice dell’esecuzione a tempo potenzialmente indefinito, ricollegandolo a elementi esterni (in particolare, alla diligenza dell’ausiliario incaricato di dare corso ai pagamenti) alla sfera giurisdizionale.
Peraltro, proprio perché il provvedimento che determina la chiusura dell’espropriazione è soggetto a opposizione agli atti esecutivi, la sua mancata proposizione attribuisce indubbia stabilità alla distribuzione, sicché procedere a una sua revoca o modifica ai sensi dell’art. 487 c.p.c., in tesi fino a quando l’atto non abbia avuto materiale esecuzione, finirebbe con il sollevare la parte interessata dalla decadenza in cui è già incorsa, in conseguenza della propria inerzia nel proporre l’opposizione di cui all’art. 617 c.p.c.
Tenuto conto di ciò, il punto di equilibrio è stato ravvisato nella possibilità per il giudice dell’esecuzione di revocare o modificare il provvedimento di chiusura della fase distributiva fino a quando non sia spirato il termine di venti giorni per la proposizione dell’eventuale opposizione distributiva ex artt. 617 e 512 c.p.c., sempre che a detto provvedimento non sia stata data frattanto esecuzione, con l’emissione e l’incasso dei mandati di pagamento (non potendovi essere in tale caso spazio per alcuna revoca, stante la preclusione derivante dall’art. 487 c.p.c.).
D’altra parte, la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 1042 del 16 gennaio 2025, ha pure precisato che il fatto che la procedura esecutiva sia giunta al suo esito naturale, con la distribuzione finale del ricavato, non comporta necessariamente la cessazione della materia del contendere, né la sopravvenuta carenza d’interesse, con riguardo alle parentesi di cognizione che si siano già innestate nel processo esecutivo, anche attraverso l’opposizione agli atti esecutivi.
Infatti, la parte che abbia spiegato un’azione tendente a determinare l’arresto definitivo della procedura o la rinnovazione di uno o più atti del processo (perché ritenuti contra legem e tempestivamente opposti) mantiene intatto l’interesse alla decisione, visto che solo attraverso la sua esecuzione può anelare all’adeguata tutela della propria posizione soggettiva: l’eventuale accoglimento dell’opposizione formale, infatti, può comportare la riapertura del processo esecutivo che sia proseguito fino alla sua definizione (perché il giudice dell’esecuzione non ha adottato alcun provvedimento sospensivo ai sensi dell’art. 618 c.p.c.), quando sia stato riconosciuto che la nullità che colpiva l’atto oggetto di opposizione ha determinato uno sviluppo anomalo e illegittimo del processo e una altrettanto anomala e illegittima conclusione dello stesso.
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