L’appello incidentale tardivo perde ogni efficacia laddove quello principale sia dichiarato inammissibile
di Francesco Tedioli, Avvocato Scarica in PDFCass., ord., 12 luglio 2018, n. 18415 Pres. Di Iasi – Rel. De Masi
Impugnazioni civili – Appello – Appello incidentale tardivo – Presupposti – Accertamento (C.p.c., artt. 331, 334; D.Lgs. 31.12.1992, n. 546, artt. 49, 54)
[1] Ai sensi dell’articolo 334 c.p.c., comma 2, applicabile anche al processo tributario, l’efficacia dell’impugnazione incidentale presentata tardivamente “dipende” dal destino dell’impugnazione principale. Se quest’ultima viene dichiarata inammissibile, quella incidentale tardiva decade. Pertanto, ove la parte intenda ottenere, incondizionatamente, una decisione sulla propria impugnazione, sarà onerata dal proporla tempestivamente. Se, al contrario, non esercita tale prerogativa nei termini, implicitamente manifesta la volontà di accettare il rischio del passaggio in giudicato della sentenza emessa in primo grado.
CASO
[1] Con avviso di accertamento, l’Agenzia delle Entrate rettificava il reddito di impresa della J.E.M. – esercente l’attività di parrucchiera – rideterminandone i ricavi dichiarati nell’anno d’imposta 2003.
La contribuente impugnava l’avviso di accertamento e la Commissione Tributaria provinciale di Avellino accoglieva parzialmente il ricorso, quantificando il reddito d’impresa in Euro 29.148,00
Tale pronuncia veniva riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania, che dichiarava inammissibile l’appello principale dell’Ufficio per mancanza di preventiva autorizzazione, ex art. 52, co. 2, d.lgs. n. 546 del 1992, nel testo ratione temporis applicabile, nonché infondati i motivi di gravame. Allo stesso tempo, accoglieva l’appello incidentale della J.E.M., annullando, di conseguenza, l’atto impositivo.
Avverso tale provvedimento, l’Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione. Secondo la prospettazione dei ricorrenti, in particolare, il giudice d’appello non avrebbe considerato che alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione principale – sul capo della sentenza rispetto al quale l’Agenzia delle Entrate aveva prestato acquiescenza – avrebbe dovuto seguire la declaratoria di inefficacia della impugnazione incidentale tardiva del contribuente, ai sensi degli articoli 49, 54, co. 2, Dlgs 546/1992, e 334 cpc. Sarebbe, dunque, stato precluso ai giudici del gravame di deliberare in merito alla legittimità della pretesa impositiva.
SOLUZIONI
[1] Dopo aver ricordato che l’impugnazione incidentale tardiva è sempre ammessa anche quando sia scaduto il termine per l’impugnazione principale e, persino, se la parte abbia prestato acquiescenza alla sentenza, la Corte ha precisato che l’unico limite è costituito dal fatto “…che essa perde efficacia se l’impugnazione principale è dichiarata inammissibile” (Cass. 27 giugno 2014, n. 14609; Cass. 11 giugno 2008, n. 15483). In particolare, secondo la Suprema Corte, la parte, per ottenere una decisione “di merito” sulla propria impugnazione, avrebbe dovuto proporre una impugnazione tempestiva. Non avendo esercitato, nei tempi previsti tale potere, quest’ultima ha “implicitamente” accettato il rischio del passaggio in giudicato della sentenza gravata.
In conclusione, la declaratoria di inammissibilità dell’appello principale proposto dall’Ufficio ha, di fatto, determinato il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado. La Ctr ha, dunque, errato nell’aver analizzato nel merito sia la controversia oggetto di gravame principale che quella incidentale.
La quinta sezione della Suprema Corte ha, dunque, accolto il ricorso, cassato la sentenza impugnata e dichiarato inammissibile l’appello principale dell’Ufficio, nonché l’appello incidentale della contribuente.
QUESTIONI
[1] Come noto, l’impugnazione incidentale tardiva, disciplinata dall’art. 334 c.p.c., è il gravame proposto dal soccombente parziale – o dal litisconsorte necessario cui viene esteso il contraddittorio ex art. 331 c.p.c. – il quale, nel momento in cui riceve l’impugnazione principale, ha perso il potere di censurare la pronuncia giudiziale per decorrenza dei termini o per acquiescenza. In tal caso la notificazione dell’impugnazione vale a rimetterlo in termini (Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2014, 490; Attardi Limiti di applicazione del gravame incidentale tardivo, in Riv. dir. proc., 1965, 173).
Ben si comprende, dunque, la duplice ratio dell’istituto: da un lato si mira a soddisfare un’esigenza equitativa di tutela della parte che, non avendo censurato il provvedimento sul presupposto che neppure l’altra parte lo avrebbe fatto, è stata, poi, destinataria dell’impugnazione altrui; dall’altro lato, si risponde ad una generale esigenza di economia processuale che impedisce la proposizione di gravami meramente cautelativi da parte di chi sarebbe disposto ad accettare la parziale soccombenza. In questo modo, la parte che si ritiene maggiormente vittoriosa nella sostanza (Grasso, Le impugnazioni incidentali, Milano, 1973, 107 ss.), grazie all’istituto della impugnazione incidentale tardiva, può evitare di proporre un impugnazione nel termine di cui agli artt. 325-327 c.p.c., riservandosi di farlo a seguito di una scelta in tal senso dell’altra parte (in senso conforme, Cass. 7 ottobre 2015, n. 20040; Cass. 24 aprile 2012, n. 6470; Cass. 31 gennaio 2006 n. 2126, e Cass. 24 novembre 1988, in Giur. it, 1989, I,1, 1136, con nota di Chizzini).
[2] Il disposto dell’art. 334 c.p.c. appare logicamente suddivisibile in due parti. La prima prevede una forma speciale di rimessione in termini per la proposizione dell’appello incidentale, a favore delle parti che abbiano prestato acquiescenza alla sentenza e contro le quali sia proposta un’impugnazione (ovvero di quelle chiamate ad integrare il contraddittorio). La seconda, che disciplina i rapporti tra l’appello principale e quello incidentale tardivo, statuisce un legame di dipendenza tra le due impugnazioni. Alla declaratoria di inammissibilità della prima deve necessariamente seguire l’inefficacia della secondo. Pertanto – come ribadito dalla sentenza in commento – la dichiarazione d’inammissibilità del ricorso principale per cassazione determina la perdita di efficacia di quello incidentale tardivo (Cass. 27 marzo 2014, n. 7210, in Corr. Giur., 2014, 727; Cass. 22 marzo 2007, ord. n. 6937 ; Cass. 22 agosto 2006, n. 18273; Cass. 26 febbraio 2004, n. 3862, in Gius, 2004, 2823. In dottrina, Liebman, Manuale di diritto processuale civile, II, Milano 1984, 283; Corrado, Riflessioni a margine degli art. 334 e 331 c.p.c., in Riv. dir. Proc., 2008, 1423).
La tempestività dell’impugnazione va verificata con riguardo ai termini previsti dall’art. 325, co. 2, e 327, co. 1, c.p.c., non potendosi attribuire rilevanza ai termini propri dell’impugnazione incidentale (cfr. Cass. 6 aprile 2006, n. 8105; Cass. 20 febbraio 2004, n. 3419, in Giur. it. 2005, 333; Cass. 8 luglio 1994 n. 6430; per la determinazione della tempestività con riferimento al termine di 40 giorni dalla notifica del ricorso principale in Cassazione, come previsto dall’art. 371 c.p.c., cfr. Cass. 4 maggio 2004, n. 8446, in Riv. giur. ed., 2004, I, 4, 2216; Cass. 23 maggio 2003, n. 8154, in Arch. giur. Circ., 2004, 44). È, infatti, evidente che, se l’impugnazione principale non è stata tempestivamente proposta ed è, quindi, inammissibile, viene meno ogni ragione perché l’ordinamento consideri efficace un’eventuale impugnazione tardiva: nel caso in cui l’impugnazione principale sia ab origine inidonea per un suo vizio originario, oggettivamente percepibile dalle parti, a rimettere in discussione la parziale vittoria dell’impugnato, l’ipotetica rimessione in termini della parte che ha ricevuto tale impugnazione risulterebbe, infatti, priva di qualsiasi giustificazione. Se l’impugnazione principale non è stata validamente proposta, il potere di impugnare in via incidentale tardiva non può dirsi infatti neppure sorto, non essendosi realizzato il presupposto per il suo esercizio (Cass. sez. un. 19 aprile 2011, n. 8925, in Corr. Giur., 2011, 1575, con nota di Turatto).
In ordine alla regola per cui, se il giudice dichiara inammissibile il gravame principale, non può poi decidere nel merito il gravame incidentale tardivo, si richiamano poi le sezioni unite della Cassazione (Cass. 14 aprile 2008, n. 9741, in Riv. dir. proc., 2009, 233), secondo cui detta regola si applica non solo all’impugnazione principale dichiarata inammissibile, ma anche al caso in cui essa sia dichiarata improcedibile. A tale conclusione, si giunge attraverso una “interpretazione logico-sistematica dell’ordinamento, che conduce a ritenere irrazionale che un’impugnazione (tra l’altro anomala) possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità” (in dottrina si veda Odorisio, Dichiarazione di improcedibilità dell’impugnazione principale ed impugnazione incidentale tardiva, in Riv. dir. proc., 2009, 238; Turatto, Quale destino per il gravame incidentale tardivo? fra favor iudicati ed equilibrio delle parti, in Corr. Giur., 2009, 224)
[3] La pronuncia in rassegna si è mossa nel solco della communis opinio secondo cui l’art. 334 c.p.c. può essere applicato anche in sede di processo tributario (si vedano Cass. 30 gennaio 2018, n. 2248, in Fisco 2018, 785; Cass. 7 maggio 2008, n. 11080; Cass. n. 30 agosto 2001. n. 11349, in Foro It., 2002, I, 1481). In tal senso depone, innanzitutto, l’art. 49 del D.lgs. 546/1992, il quale, nel codificare una disciplina generale delle impugnazioni nell’ambito del processo tributario, interamente rimanda alle norme del Codice di procedura civile, con la sola esclusione dell’articolo 337. A venire in gioco è poi anche l’art. 54 del decreto appena citato, che all’atto del riconoscere alle parti diverse dall’appellante la facoltà di esperire appello incidentale, non pone limitazioni di sorta in ordine alla possibilità di proporre il gravame in via tardiva (Cass. 30 agosto 2001, n. 11349, cit.).