L’amministratore di fatto di una società può essere ritenuto penalmente responsabile anche in presenza di attività di gestione della medesima società poste in essere dagli amministratori “di diritto”
di Dario Zanotti, Avvocato Scarica in PDFCass. pen. Sez. V, sentenza del 24 aprile 2020 (udienza 6 febbraio 2020), n. 12912.
Parole chiave: Società – Amministratore di fatto – Bancarotta fraudolenta
Massima: “In tema di reati fallimentari, la previsione di cui all’art. 2639 c.c. non esclude che l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali – in tempi successivi o anche contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione.”
Disposizioni applicate: Art. 2639 c.c.
La presente sentenza analizza la sussistenza di profili di responsabilità penale degli amministratori di fatto che abbiano commesso fatti di bancarotta fraudolenta in concomitanza con l’esplicazione dell’attività gestoria di una società da parte degli amministratori di diritto. Il tema, infatti, non è di poco conto e trova origine dall’annosa questione (posta soprattutto in ambito civilistico) sulla possibile configurabilità di una compresenza tra attività gestorie da parte di amministratori “di diritto” e “di fatto”.
Nel caso di specie, un soggetto, che i giudici di merito hanno identificato quale amministratore di fatto di una S.r.l. poi fallita, è stato condannato, all’esito di giudizio abbreviato, per aver commesso il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
L’imputato, per quanto rileva ai fini della presente analisi, nel ricorso per cassazione contesta il positivo accertamento di condotte penalmente rilevanti per fatti che sarebbero avvenuti in un periodo di tempo nel quale operazioni distrattive ai danni della società fallita avrebbero ben potuto essere poste in essere dall’amministratore di diritto.
Secondo la Suprema Corte, tuttavia, il soggetto che assume, ai sensi dell’art. 2639 c.c., la qualifica di amministratore di fatto di una società è gravato dell’intera gamma dei doveri ai quali sono soggetti gli amministratori di diritto. Di conseguenza, laddove concorrano altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, tale amministratore di fatto è penalmente responsabile anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione dell’art. 40, comma 2, c.p. (a sostegno di tale tesi, la Suprema Corte cita i propri precedenti n. 15065/2011 e n. 39593/2011).
Alla luce di tali considerazioni, spetterebbe all’amministratore di fatto (così come spetta a quello di diritto) dimostrare la mancata distrazione o il mancato occultamento dei beni della società (in proposito, si vedano Cass. pen., n. 8260/2016; Cass. pen., n. 19896/2014; Cass. pen., n. 11095/2014 e gli altri arresti citati nella sentenza in commento), operando un’inversione dell’onere della prova a carico del soggetto fallito, anche laddove risultasse ricoprire attività gestorie di fatto.
L’amministratore di fatto deve quindi dimostrare la concreta destinazione dei beni distratti e/o occultati o del loro ricavato.
Secondo la Cassazione dunque, anche in considerazione delle finalità della normativa fallimentare, l’imprenditore di fatto è posto in una posizione di garanzia nei confronti dei creditori al pari degli amministratori di diritto, perciò egli è direttamente responsabile per la conservazione dell’integrità del patrimonio della società.
Naturalmente, le condotte distrattive o di occultamento devono essere ascritte all’amministratore di fatto a livello soggettivo, e in proposito la Cassazione ritiene che sia sufficiente anche l’accertamento del solo dolo eventuale.
Nel caso di specie, giacché è stato accertato come certe scelte fossero state prese di comune accordo con l’amministratore di diritto, è stato ritenuto sussistente l’elemento soggettivo in capo all’imputato. La Cassazione ha così respinto il ricorso dell’imputato.
In conclusione, dalla presente sentenza è possibile ricavare che: (i) l’amministratore di fatto assume, ai fini della normativa fallimentare penale, la medesima garanzia circa l’integrità del patrimonio sociale riservata agli amministratori di diritto, perciò data l’inversione dell’onere della prova egli dovrà provare destinazione dei beni e/o dei relativi ricavi; (ii) non vale ad escludere la responsabilità penale dell’amministratore di fatto il concomitante svolgimento di attività gestorie dell’amministratore di diritto, specie se si accerta che l’amministratore di fatto ha preso decisioni circa fatti penalmente rilevanti di concerto con l’amministratore di diritto (o che le avesse conosciute).