L’amministratore di condominio non può riscuotere quote di contribuzione per la manutenzione dei beni e servizi comuni da chi è conduttore della singola unità immobiliare
di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDFMassima: “L’amministratore di condominio ha diritto di riscuotere i contributi per la manutenzione e per l’esercizio delle parti e dei servizi comuni esclusivamente da ciascun condomino, e cioè dall’effettivo proprietario o titolare di diritto reale sulla singola unità immobiliare, sicché è esclusa un’azione diretta nei confronti del coniuge o del convivente assegnatario dell’unità immobiliare adibita a casa familiare, avendo il relativo diritto natura di diritto personale di godimento “sui generis””.
CASO
Il Tribunale di Bari accoglieva l’appello proposto da Tizia avverso la sentenza n. 38/2020 emessa dal Giudice di Pace di Putignano, mediante la quale fu respinta l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal Condominio (OMISSIS) nei confronti dell’appellante per il pagamento delle spese condominiali.
Il Tribunale pugliese decideva di disattendere quanto disposto dalla sentenza appellata, ritenendo fondato il motivo relativo al difetto di legittimazione passiva della condomina rispetto alle pretese creditorie avanzate dal Condominio “essendo l’appellante mera assegnataria della casa familiare – di proprietà esclusiva del coniuge – a seguito di separazione personale”.
Il giudice di gravame osservava come le deliberazioni assembleari medianti le quali erano state ripartite le spese condominiali sono azionabili soltanto nei confronti dei soggetti condomini, in quanto unici legittimati a partecipare all’assemblea medesima esercitando il diritto di voto. Pertanto, l’assegnatario della casa familiare acquisirebbe un semplice diritto di godimento sul bene che lo libererebbe da qualsivoglia obbligo di pagamento degli oneri condominiali, mentre, il principio secondo il quale le spese condominiali riguardanti la casa familiare, oggetto di provvedimento di assegnazione, resterebbero a carico dell’assegnatario, rimane valido solo per quel che riguarda i rapporti interni tra i coniugi.
Per questo motivo, riformava la sentenza di primo grado disponendo la revoca del decreto ingiuntivo intimato dal Condominio, con condanna di quest’ultimo a rimborsare le spese processuali del doppio grado di giudizio nei confronti dell’assegnataria.
Avverso tale riforma, il Condominio (OMISSIS) proponeva ricorso articolato in cinque motivi mentre Tizia si costituiva nel grado di legittimità.
Su proposta del relatore, ritenendo che il ricorso potesse essere dichiarato inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 1), c.p.c., il presidente fissava l’adunanza della camera di consiglio.
SOLUZIONE
La Suprema Corte di Cassazione dichiarò inammissibile il ricorso, disponendo la condanna al ricorrente a rimborsare alla condomina le spese sostenute nel giudizio.
QUESTIONI
In primis, gli Ermellini affrontarono le eccezioni sollevate da Tizia in merito alla presunta inammissibilità del ricorso presentato dal condominio ricorrente.
In merito all’eccezione riguardante il presunto vizio della delibera assembleare di autorizzazione al proponimento del ricorso per cassazione del 31 agosto 2021, i giudici evidenziarono come questo fosse privo di fondamento sotto vari aspetti: “1) al fine di impugnare la sentenza resa nella controversia instaurata dall’amministratore per riscuotere i contributi occorrenti per le parti o i servizi comuni, ai sensi dell’art. 1130 n. 3) c.c., non occorre l’autorizzazione o la ratifica dell’assemblea, necessarie per le sole cause che esorbitano dalle attribuzioni dello stesso amministratore, ex art. 1131, commi 2 e 3, c.c.; 2) la mancata comunicazione a taluno dei condomini dell’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale, in quanto vizio procedimentale, comporta l’annullabilità della delibera condominiale, da far valere a norma dell’art. 1137 c.c. e nel termine perentorio ivi previsto; 3) in ipotesi di deliberazione assembleare volta ad approvare il promovimento o la prosecuzione di una controversia giudiziaria tra il condominio e un singolo condomino, venendosi la compagine condominiale a scindere di fronte al particolare oggetto della lite in base ai contrapposti interessi, non sussiste il diritto del singolo a partecipare all’assemblea, né, quindi, la legittimazione a lamentare l’annullabilità della delibera per omessa, tardiva o incompleta convocazione”.
Proseguendo nella disamina dei motivi proposti, il Condominio, innanzitutto, denunciò la nullità della sentenza di gravame per l’asserita violazione dell’articolo 132 comma I c.p.c. e dell’articolo 111 Cost., in quanto la motivazione della pronuncia impugnata dovrebbe ritenersi meramente apparente.
Con il secondo motivo, invece, venne dedotta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1104 e 1123 c.c., dell’art. 63 disp. att. c.c. “nonché dei principi e delle norme che disciplinano il condominio”. La censura in esame investiva la sentenza impugnata nella parte in cui fu ritenuto escluso l’obbligo di pagamento delle spese condominiali in capo all’assegnataria della casa familiare, ravvisando altresì la “contraddittorietà” dell’attività processuale di Tizia la quale, pur affermandosi non condomina, ha proceduto in corso di lite, come in distinti giudizi, ad eccepire vizi delle delibere assembleari e delle tabelle millesimali.
Con il terzo motivo di ricorso, invece, il ricorrente allegò la violazione e falsa applicazione degli articoli 1104, 1123 e 1218 c.c., dell’articolo 63 disp. att. c.c. e “dei principi e norme che regolano la comunione e il condominio”, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio. Venne infatti ribadito come l’assegnatario debba ritenersi soggetto sul quale incombono le spese relative alla manutenzione e all’uso del bene.
Il quarto motivo di ricorso dedusse la violazione e falsa applicazione degli articoli 1104, 1123 e 1218 c.c., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo, lamentando la mancata analisi e valutazione di una raccomandata, che avrebbe avuto “valore pienamente confessorio della posizione di obbligata verso il Condominio” della signora nel medesimo senso avrebbe deposto un procedimento di accertamento tecnico preventivo promosso da quest’ultima nei confronti del condominio “e che si è concluso con esito sfavorevole per Tizia come risulta dalla relativa consulenza che è agli atti del procedimento di primo grado”.
L’esame dei suddetti quattro motivi venne svolto congiuntamente, in quanto ritenuti connessi, e tutti si rivelarono ugualmente inammissibili non avendo di fatto superato l’esame ex art.360 bis, n.1, c.p.c.[1].
Nella motivazione del rigetto dei motivi, la Suprema Corte argomentò che, secondo costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, l’amministratore del condominio avrebbe diritto, in base al combinato disposto degli artt. 1118 e 1123 c.c. e 63, comma 1, disp. att. c.c., di riscuotere i contributi e le spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell’interesse comune direttamente ed esclusivamente da ciascun condomino, e cioè di ciascuno dei titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari. In virtù di tale considerazione, resterebbe esclusa un’azione diretta anche nei confronti del conduttore della singola unità immobiliare (contro il quale può invece agire in risoluzione il locatore, ove si tratti di oneri posti a carico del locatario sulla base del rapporto contrattuale fra loro intercorrente), motivo per cui che è stato affermato risolutivamente che “di fronte al condominio esistono solo i condomini”[2]. Tanto specificato, allorquando si renda necessario il recupero della quota di spese di competenza di una unità immobiliare di proprietà esclusiva, risulterà passivamente legittimato il vero proprietario di detta unità e non anche chi possa apparire tale, poiché si manifesterebbe un difetto , nei rapporti fra condominio e singoli partecipanti ad esso, nelle condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza del diritto, strumentale essenzialmente ad esigenze di tutela dell’affidamento del terzo in buona fede[3].
Tanto specificato, gli Ermellini ritennero opportuno ricordare che, in merito alla ripartizione delle spese condominiali inerenti alla casa familiare oggetto di assegnazione in sede di separazione o di divorzio, è essenziale distinguere tra le spese che sono dovute dal coniuge assegnatario, il quale utilizza in concreto l’immobile e quelle che rimangono a carico del coniuge proprietario esclusivo dell’immobile[4]. Infatti, “l’essenziale gratuità dell’assegnazione della casa familiare esonera, invero, l’assegnatario dal pagamento di un corrispettivo per il godimento dell’abitazione di proprietà dell’altro, ma non si estende alle spese correlate all’uso (tra cui, appunto, i contributi condominiali inerenti alla manutenzione delle cose comuni poste a servizio anche dell’alloggio familiare), spese che, – in mancanza di un provvedimento espresso del giudice della separazione o del divorzio, che ne accolli l’onere al coniuge proprietario – vanno a carico del coniuge assegnatario”[5]. Il diritto di godimento della casa familiare da parte del coniuge o del convivente affidatario di figli minori, pertanto, si configura come un diritto personale di godimento “sui generis”[6], motivo per cui non rileverebbe ai fini della pretesa dell’amministratore volta a riscuotere la quota di spese per la manutenzione delle cose comuni ed i servizi nell’interesse comune, rendendo improponibile un’azione diretta nei confronti dell’assegnatario.
Venne inoltre aggiunto, con riguardo al quarto motivo di ricorso, che l’art. 360, comma I, n. 5, c.p.c. concernerebbe l’omesso esame di un fatto storico la cui esistenza possa risultare dal testo della sentenza o dagli atti processuali e che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. La censura è stata formulata senza rispettare le ulteriori previsioni degli artt. 366, comma I, n. 6, e 369, comma II, n. 4, c.p.c., in quanto il ricorrente non avrebbe indicato il “dato”, testuale o extratestuale, da cui i fatti sarebbero risultati esistenti, il “come” e il “quando” tali fatti siano stati oggetto di discussione processuale tra le parti né la loro “decisività”[7].
Stanti le ragioni sopra esposte, il ricorso venne dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al rimborso delle spese di giudizio.
La sentenza si colloca nel solco di altre pronunce, citate in nota, riguardo ad un conforme orientamento della suprema corte riguardante interdipendenza delle obbligazioni tra il condomino, ossia il proprietario e/o titolare di un diritto reale minore ed il titolare di un diritto personale di godimento e/o “sui generis”, quale per l’appunto il coniuge assegnatario nella fattispecie in esame.[8]
[1] Il ricorso è inammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa.
[2]Cfr. Cass. 25 ottobre 2018, n. 27162; Cass. 9 dicembre 2009, n. 25781; Cass. 3 febbraio 1994, n. 1104.
[3] Così Cass. 25 ottobre 2018, n. 27162; Cass. 9 ottobre 2017, n. 23621.
[4] Così Cass. 24 luglio 2000, n. 9689.
[5] Sul punto Cass. 22 febbraio 2006, n. 3836; Cass. 19 settembre 2005, n. 18476; Cass. 30 luglio 1997, n. 7127; Cass. 3 giugno 1994, n. 5374).
[6] Così definito da Cass. Sez. Unite 26 luglio 2002, n. 11096; Cass. Sez. Unite 21 luglio 2004, n. 13603; Cass. Sez. Unite 29 settembre 2014, n. 20448.
[7] Fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa (nella specie, titolarità del diritto di condominio della unità immobiliare) sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.
[8] In via autoreferenziale per approfondimenti specifici, si veda anche, S. Luppino, “Le locazioni in condominio”, S. Arcangelo di Romagna, Maggioli, 2020
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