14 Febbraio 2023

L’aggiudicatario dell’immobile è successore a titolo particolare del debitore esecutato, anche agli effetti di cui all’art. 111 c.p.c.

di Valentina Scappini, Avvocato Scarica in PDF

Cassazione civile, seconda sez., sentenza del 2 settembre 2022, n. 25926; Pres. Di Virgilio; Rel. Tedesco.

Massima: “L’acquisto del bene sottoposto ad esecuzione forzata, da parte dell’aggiudicatario, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario, e pur ricollegandosi ad un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo, non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato, con la conseguenza che, qualora, nel corso del giudizio promosso contro il proprietario di un immobile, il bene venga espropriato in esito ad esecuzione forzata, la sentenza che definisce quel giudizio deve ritenersi opponibile all’aggiudicatario, ai sensi dell’art. 111, comma 4 c.p.c., in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, salva l’eventuale operatività delle limitazioni previste dagli artt. 2915 e 2919 c.c.”.

CASO

G.A. vendeva un immobile ad una società, che tuttavia, poco dopo, citava in giudizio per sentire dichiarare la nullità della compravendita per violazione del divieto di patto commissorio. In via subordinata, l’attore G.A. proponeva domanda per avere il corrispettivo della vendita, che assumeva non essere stato pagato dalla società acquirente.

La domanda di nullità dei contratti di compravendita era tempestivamente trascritta il 17 maggio 1997.

Il Tribunale adito rigettava la domanda di nullità, ma accoglieva la subordinata e ordinava alla convenuta il pagamento di € 62.415,00.

Sulla base di tale sentenza G.A. avviava l’esecuzione forzata, pignorando l’immobile trasferito con i contratti oggetto della domanda di nullità. La trascrizione del pignoramento contro la venditrice inadempiente era, naturalmente, successiva alla trascrizione della domanda di nullità della vendita.

Nel 2008 si concludeva l’esecuzione ed il bene era aggiudicato in favore di M.A.G. e F.G. (lotto 1) e di una azienda agricola (lotto 2).

Nel frattempo, si era svolto il giudizio di appello contro la sentenza del Tribunale che aveva rigettato la domanda principale di nullità della vendita, sentenza che era stata impugnata sia da G.A. sia dalla società acquirente.

Con sentenza del 20 giugno 2007, l’appello del G.A. era accolto e la Corte d’Appello di Venezia dichiarava la nullità della vendita, condannando la società acquirente al rilascio del bene immobile a suo tempo acquistato con i contratti dichiarati nulli.

La sentenza diveniva definitiva solo il 4 novembre 2014 in seguito al giudizio per cassazione.

Sulla base della sentenza d’appello, G.A. chiamava in giudizio gli aggiudicatari del bene, ai quali chiedeva la restituzione dell’immobile, sostenendo che la trascrizione della domanda di nullità della vendita, accolta in secondo grado, era precedente alla trascrizione del pignoramento.

Il Tribunale adito accoglieva la domanda. Seguiva l’appello della azienda agricola dinnanzi alla Corte di merito, la quale sospendeva il giudizio in attesa della formazione del giudicato sulla decisione che aveva dichiarato la nullità dei contratti.

Si evidenzia che la richiesta di sospensione per pregiudizialità era stata avanzata dagli aggiudicatari già in primo grado, ma la domanda era stata rigettata.

Sceso il giudicato sulla sentenza che dichiarava la nullità della vendita, e riassunto il processo di secondo grado, la Corte d’appello confermava la decisione del Tribunale, evidenziando che:

a) non occorreva che l’attore impugnasse il decreto di trasferimento, essendo sufficiente far valere la priorità della trascrizione della domanda di nullità della vendita;

b) la mancanza della sospensione del procedimento in primo grado è irrilevante, in quanto la sospensione è stata disposta in secondo grado ed il processo è stato sospeso sino al verificarsi del giudicato. Ne consegue il rigetto delle censure di inammissibilità della domanda perché asseritamente proposta sulla base di una sentenza che, al momento della citazione, non era ancora passata in giudicato.

L’azienda agricola ha proposto ricorso per cassazione formulando sei motivi.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione ha rigettato l’intero ricorso, condannando la ricorrente al pagamento del doppio del contributo unificato e statuendo il seguente principio di diritto:

“L’acquisto del bene sottoposto ad esecuzione forzata, da parte dell’aggiudicatario, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario, e pur ricollegandosi ad un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo, non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato, con la conseguenza che, qualora, nel corso del giudizio promosso contro il proprietario di un immobile, il bene venga espropriato in esito ad esecuzione forzata, la sentenza che definisce quel giudizio deve ritenersi opponibile all’aggiudicatario, ai sensi dell’art. 111, comma 4 c.p.c., in qualità di successore a titolo particolare nel diritto controverso, salva l’eventuale operatività delle limitazioni previste dagli artt. 2915 e 2919 c.c.”

QUESTIONI

Con i primi due motivi, esaminati congiuntamente, la ricorrente ha denunciato, da una parte, la nullità della sentenza e del procedimento ex art. 360, n. 4, c.p.c., nonché la violazione dell’art. 295 c.p.c., dall’altra l’errata interpretazione degli artt. 99 e 100 c.p.c., anche ai sensi dell’art. 360, n. 4, c.p.c.

In sostanza, la ricorrente ha sostenuto che la mancata sospensione del processo di primo grado per pregiudizialità avrebbe dovuto indurre la Corte d’appello a dichiarare la nullità del procedimento, che non avrebbe potuto essere proseguito, essendo incerti sia l’interesse ad agire che la legittimazione dell’attore, in assenza del passaggio in giudicato della sentenza che aveva dichiarato la nullità della vendita ed in forza dell’efficacia non sanante del giudicato sopravvenuto in corso di causa.

Entrambi i motivi sono infondati, in quanto la mancata sospensione del processo in primo grado non ha comportato alcun vizio del procedimento tale da comportare la rimessione della causa al primo giudice. Inoltre, le condizioni dell’azione (legittimazione ed interesse ad agire) possono sopravvenire in corso di causa (Cass., n. 3314/2001; n. 5321/2016).

Con il terzo motivo è denunciata la violazione ed errata interpretazione degli art. 163 e 164 c.p.c. in relazione all’atto di citazione, avendo, G.A., proposto azione contro gli aggiudicatari sulla base di una sentenza pronunciata contro terzi e senza aver promosso un’azione di rivendicazione contro gli aggiudicatari al fine di far valere l’inefficacia del decreto di trasferimento.

Il motivo è infondato, poiché è noto che “l’acquisto di un bene da parte dell’aggiudicatario in sede di esecuzione forzata, pur essendo indipendente dalla volontà del precedente proprietario, e pur ricollegandosi ad un provvedimento del giudice dell’esecuzione, ha natura di acquisto a titolo derivativo e non originario, in quanto si traduce nella trasmissione dello stesso diritto del debitore esecutato” (Cass. n. 443/1985; n. 27/2000; n. 20037/2010; n. 6386/2017; n. 20608/2017).

In forza di ciò, è applicabile all’aggiudicatario l’art. 111 c.p.c., nel senso che gli è opponibile la sentenza pronunciata contro il debitore esecutato, essendo l’aggiudicatario successore a titolo particolare di quest’ultimo, salvi i limiti di cui agli artt. 2915 e 2919 c.c. (Cass., n. 1299/1977). Peraltro, non occorre l’impugnazione del decreto di trasferimento per l’opponibilità all’aggiudicatario del giudicato inter alios (Cass., n. 6072/1985).

Infatti, con il decreto di trasferimento, il giudice dell’esecuzione si limita ad ordinare la cancellazione delle trascrizioni dei pignoramenti e delle ipoteche (art. 586 c.p.c.), ma non anche della trascrizione della domanda giudiziale con cui un terzo abbia preteso la proprietà o altro diritto reale sul bene esecutato (Cass., n. 13212/2003; n. 5121/1978).

Anche il quarto e quinto motivo sono esaminati congiuntamente, in quanto con essi la ricorrente ha asserito la pretesa violazione ed errata interpretazione dell’art. 2652, n. 6, c.c. in combinato disposto con gli artt. 586 e 619 c.p.c., sostenendo, in primo luogo, che l’art. 2652, n. 6, c.c. non poteva essere applicato al caso di specie, trattandosi di conflitto tra acquirenti di diritti incompatibili, essendo la trascrizione posteriore avvenuta non in forza di un titolo negoziale, ma di un atto, quale il pignoramento, destinato a dare avvio ad un procedimento giurisdizionale.

Per rafforzare quanto dedotto la ricorrente ha evidenziato che, peraltro, nel caso in esame il pignoramento fu trascritto dal medesimo soggetto (il venditore) che aveva trascritto la domanda di nullità dei contratti di compravendita. Pertanto, il venditore avrebbe dovuto far valere i propri diritti nell’esecuzione in corso, tramite opposizione, anche per evitare il pagamento del prezzo da parte degli aggiudicatari, pagamento effettivamente corrisposto e riscosso proprio dal venditore-creditore procedente. Insomma, quest’ultimo avrebbe espropriato il bene, incassandone il ricavato, e al contempo preteso nei confronti dell’aggiudicatario di essere riconosciuto proprietario del bene stesso.

Entrambi i motivi sono infondati: la Corte evidenzia ancora che l’aggiudicatario subentra nella medesima situazione giuridica soggettiva spettante al debitore sul bene espropriato. Infatti, nella vendita forzata, pur avendo quest’ultima carattere diverso dalla comune alienazione negoziale in quanto trasferimento coattivo, permane la derivazione del diritto del nuovo titolare del bene dal precedente titolare, vale a dire che vi è una successione in senso proprio, quale sostituzione di un soggetto ad un altro nella titolarità del diritto trasferito, che rimane oggettivamente immutato.

Ne è conferma il diritto positivo, ossia l’art. 2919 c.c., che statuisce che la vendita forzata trasferisce all’acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l’espropriazione. L’aggiudicatario viene dunque posto nella stessa condizione di chi acquista un bene mediante vendita negoziale, nel senso che sono a lui trasferiti gli stessi diritti del suo dante causa.

Anche la garanzia per evizione di cui all’art. 2921 c.c., pur essendo peculiare rispetto all’omonima azione nell’ambito della vendita volontaria, sta a significare che i creditori, intanto hanno diritto al ricavato della vendita forzata, in quanto il prezzo versato abbia surrogato la cosa venduta, entrando a far parte del patrimonio del debitore, effetto che però non si verifica laddove manchi la qualità di proprietario del bene di costui.

Quindi, anche nell’esecuzione forzata, il conflitto tra acquirente e terzi va risolto secondo i principi generali, con le particolari disposizioni previste per l’evizione (art. 2921 c.c.) (Cass., n. 655/1964).

La Suprema Corte osserva che l’art. 2915 c.c. condiziona l’opponibilità al pignoramento delle domande per la cui efficacia di fronte ai terzi la legge richiede la trascrizione, al fatto che la trascrizione sia anteriore al pignoramento. In questo ambito, il creditore pignorante è equiparato al terzo acquirente e nella fattispecie, la domanda di nullità è stata trascritta prima del pignoramento, di conseguenza l’aggiudicatario è privo della tutela prevista in favore del sub acquirente dall’art. 2652, n. 6, c.c. (Cass., n. 1292/1974; n. 37722/2021).

Peraltro, il fatto che l’attore sia il medesimo creditore pignorante non introduce alcuna reale ragione di anomalia, né crea le premesse per un indebito arricchimento, poiché l’aggiudicatario dispone dei rimedi a lui riconosciuti dall’art. 2921 c.c. che regola l’evizione nella vendita forzata e che esprime il principio secondo cui è vietato l’indebito arricchimento dei creditori ed eventualmente del debitore e di coloro cioè che si ripartiscono il prezzo ricavato dalla vendita del bene espropriato e poi tolto all’acquirente.

La violazione ed errata interpretazione degli artt. 2652, n. 6, c.c. e 619 c.p.c. è stata dedotta anche quale sesto motivo di ricorso, con cui la ricorrente ha censurato il rigetto della domanda riconvenzionale proposta proprio dalla azienda agricola, domanda volta a far valere la presunta prevalenza del decreto di trasferimento rispetto alla domanda giudiziale trascritta prima del pignoramento.

La Suprema Corte dichiara il motivo inammissibile, in quanto ripetitivo dei due precedenti e in contrasto con gli insegnamenti già evidenziati in merito agli artt. 2652, n. 6 c.c. e 2919 c.c. e rigetta, quindi, il ricorso, esprimendo la massima riportata in epigrafe.

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