23 Maggio 2023

L’affitto d’azienda non comporta ex se la cessazione dell’attività d’impresa ai fini della dichiarazione di fallimento

di Saverio Luppino, Avvocato Scarica in PDF

Tribunale di Torre Annunziata, Sez. Fallimentare, Decreto del 22 Dicembre 2020, Presidente Dott. F. Abete, Estensore Dott.ssa A.L. Magliulo.

Massima: “Non può essere dichiarata fallita una società̀ che, dismessa l’attività̀, non svolga in concreto alcuna attività̀ imprenditoriale, ma un mero affitto dell’azienda ”, atteso che “ ai fini della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale, l’affitto d’azienda comporta, solitamente, la cessazione della qualità di imprenditore, salvo l’accertamento in fatto che l’attività d’impresa sia, invece, proseguita in concreto, non essendo sufficiente affermare la compatibilità tra affitto d’azienda e prosecuzione dell’impresa, la quale va invece positivamente accertata dal giudice del merito”.

CASO

La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano avanzava domanda giudiziale contenente la richiesta di fallimento nei confronti della società (OMISSIS) S.a.s. e del socio accomandatario Tizio, avanti il Tribunale di Torre Annunziata.

Quest’ultima Autorità dichiarava la propria competenza a pronunciarsi sul proposto ricorso di fallimento ex art. 9 legge fallimentare in quanto l’impresa debitrice aveva sede nel Comune campano di Torre Annunziata; tuttavia nel merito venne dichiarata l’impossibilità di dichiarare il fallimento dell’impresa: “per intervenuta cessazione dell’attività aziendale da oltre un anno, avendo la società provato di aver dimesso la propria attività, ponendo in essere nel 2013 un affitto d’azienda”.

Venne inoltre rilevato che, alla luce degli atti prodotti, non sussistessero elementi dai quali desumere la prosecuzione dell’impresa, ineludibile requisito per la dichiarazione di fallimento, non essendo di per sé sufficiente la circostanza che l’azienda fosse stata ceduta in affitto, dato, viceversa, indicativo della cessazione dell’attività.

SOLUZIONE

Il Tribunale campano dichiarò inammissibile il ricorso per fallimento – che ora prenderebbe il nome più edulcorato di liquidazione giudiziale – proposto nei confronti della (OMISSIS) S.a.s. nonché nei confronti di Tizio.

QUESTIONI

Alla base della decisione, il Tribunale campano pose il principio di diritto enunciato dalla Suprema Corte di Cassazione nella propria ordinanza n. 7311 del 16 marzo 2020, attraverso la quale venne dichiarato che: “non può essere dichiarata fallita una società che, dismessa l’attività, non svolga in concreto alcuna attività̀ imprenditoriale, ma un mero affitto dell’azienda”, atteso che “ai fini della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale, l’affitto d’azienda comporta, solitamente, la cessazione della qualità di imprenditore, salvo l’accertamento in fatto che l’attività d’impresa sia, invece, proseguita in concreto, non essendo sufficiente affermare la compatibilità tra affitto d’azienda e prosecuzione dell’impresa, la quale va invece positivamente accertata dal giudice del merito”.

 La pronuncia sulla quale è stata dunque fondata la breve motivazione offerta dal Tribunale adito, concerne la correlazione tra la stipulazione di un contratto d’affitto da parte del soggetto commerciale e la perdita della qualifica di imprenditore, condizione integrante uno dei requisiti soggettivi di fallibilità ex art.1 L. Fall..

La Corte si interrogò se l’intervenuta stipulazione del contratto d’affitto da parte dell’imprenditore possa integrare, ex sè ed indiscutibilmente, la prova della prosecuzione dell’attività d’impresa o meno.

Riprendendo l’orientamento, più che convincente della richiamata pronuncia di legittimità, i giudici campani si convinsero negativamente rispetto a tale collegamento, escludendo che l’accertamento del perfezionamento dell’affitto dell’azienda possa ex se costituire l’unico fattore rilevatore del proseguimento dell’attività d’impresa.

Tuttavia, una tale presa di posizione non implica che l’avvenuta stipulazione possa determinare, a priori, la dismissione dell’attività commerciale. Sarà dunque rimesso al giudizio dell’organo adito l’onere di determinare, in concreto, se alla stipulazione del contratto sia accompagnata una condotta dell’imprenditore univocamente diretta alla definitiva dismissione dell’attività originariamente intrapresa o meno.

In termini più generali, la necessità di svolgimento di un’indagine effettiva ed in positivo al fine di determinare la cessazione dell’attività imprenditoriale risulta essere in linea con quanto sancito dallo stesso legislatore all’art. 10 della Legge Fallimentare.

Alla luce dell’attuale formulazione della disposizione, lasciando alle spalle la tanto artificiosa quanto divisiva distinzione tra imprenditori individuali e collettivi, ha stabilito che il fallimento non possa essere dichiarato decorso un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, comportando l’affermazione nel sistema del principio di pubblicità e di certezza dei rapporti giuridici.

A dispetto di ciò, la distinzione di trattamento tra l’imprenditoria individuale e quella collettiva viene altresì riproposta al secondo comma dell’art.10 laddove prevede l’opportunità di dimostrare che la cancellazione dell’impresa individuale non corrisponde all’effettiva cessazione dell’attività di impresa, con la conseguenza che il termine dell’anno non decorre dalla cancellazione, ma dalla effettiva interruzione.

Pertanto, l’elemento del dato formale della cancellazione dal registro delle imprese costituisce, per l’imprenditore persona fisica, conditio sine qua non affinché l’imprenditore possa usufruire dei benefici del termine annuale per la dichiarazione di fallimento. Tuttavia, tale cancellazione non sarà di per sé sufficiente in quanto la presunzione iuris tantum di cessazione potrà essere vinta dalla prova contraria, fornita dal p.m. e dai creditori, che l’attività è comunque proseguita anche successivamente.

Volendo dunque concludere il ragionamento proposto, se è la realtà materiale ad esser prevalente sul dato formale della cancellazione appare perfettamente coerente con suddetta impostazione il principio espresso dalla pronuncia in commento secondo cui “ai fini della dichiarazione di fallimento dell’imprenditore commerciale, l’affitto dell’azienda comporta, di regola, la cessazione della qualità di imprenditore, salvo l’accertamento in fatto che l’attività d’impresa sia, invece, proseguita in concreto, non essendo sufficiente affermare la compatibilità tra affitto di azienda e prosecuzione dell’impresa, la quale va invece positivamente accertata dal giudice del merito”.

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