L’accertamento tecnico preventivo ex art. 445 bis c.p.c.: un «filtro» obbligatorio nelle controversie previdenziali
di Mara Adorno Scarica in PDFL’art. 38, d.l. 38/2011, convertito in l. 111/2011, ha introdotto nell’ambito delle controversie previdenziali e assistenziali l’art. 445 bis c.p.c. che delinea il procedimento di accertamento tecnico da realizzarsi in via preventiva rispetto all’azione giudiziaria. Il nuovo istituto consiste in una condizione di procedibilità della domanda giudiziale, in quanto obbliga le parti che intendano intraprendere un giudizio per il riconoscimento dei propri diritti in materia di invalidità civile ad espletare l’accertamento tecnico preventivo.
Presupposto per la sua operatività è un contrasto su una questione di fatto, ossia la sussistenza del requisito medico-sanitario, che può essere verificato esclusivamente attraverso una consulenza tecnica. Malgrado la nuova procedura «sommaria» sia nata con l’obiettivo di accelerare e contenere il contenzioso previdenziale, tuttavia, nel ripercorrere i tratti salienti della relativa disciplina, emergono vuoti normativi e questioni controverse a cui hanno cercato di sopperire le prassi applicative.
L’istituto rubricato all’art. 445 bis c.p.c. «Accertamento tecnico preventivo obbligatorio» – introdotto dall’art. 38, d.leg. 98/2011, convertito, con modificazioni, in l. 111/2011 – configura un nuovo filtro obbligatorio di procedibilità per l’accesso alla tutela giurisdizionale in materia previdenziale e assistenziale (cfr. D. Dalfino, Il rito speciale del lavoro come modello processuale, in Aa. Vv., a cura di D. Dalfino, La nuova giustizia del lavoro, Bari, 2011, 60).
Esso, infatti, impone a chi intenda avviare un contenzioso «in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, disciplinati dalla legge 12 giugno 1984, n. 222» l’obbligo di promuovere in via preventiva un accertamento tecnico delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere.
Si tratta, dunque, di un procedimento ispirato al modello della consulenza tecnica preventiva ex art. 696 bis c.p.c. (in virtù del richiamo espresso contenuto nell’art. 445 bis c.p.c., previa verifica di compatibilità), in quanto anch’esso è finalizzato a prevenire l’instaurazione di un processo ogniqualvolta il solo punto controverso consista nel requisito sanitario accertabile unicamente attraverso l’espletamento della consulenza tecnica. In tal caso, l’accertamento tecnico disposto in via preventiva consente alle parti in conflitto di formulare una previsione circa il probabile esito della causa e, di conseguenza, valutare l’opportunità di astenersi dal promuoverla.
Il nuovo art. 445 bis, 2° comma, c.p.c. introduce una condizione di procedibilità del successivo giudizio di merito volto a conseguire il definitivo riconoscimento del diritto, nel senso che ne subordina l’instaurazione al previo espletamento del procedimento di accertamento tecnico preventivo. L’improcedibilità deve essere rilevata, su istanza di parte o d’ufficio, nel termine decadenziale della prima udienza. Una volta dichiarata l’improcedibilità, il giudice assegna alle parti un termine di quindici giorni per soddisfare la condizione di procedibilità, sia ove il procedimento non sia iniziato, sia ove sia iniziato, ma non concluso: nel primo caso, il termine è fissato per la presentazione dell’istanza di accertamento tecnico; nel secondo, per il completamento del procedimento medesimo (tra i vari contributi sul nuovo istituto, v. V. Battaglia, L’accertamento tecnico preventivo nelle controversie previdenziali e assistenziali connesse allo stato di invalidità, in Riv. dir. proc., 2016, 80 ss.; F. Cossignani, L’accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art. 445 bis c.p.c., id., 2013, 629 ss.; G. Frabasile, L’accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art. 445 bis c.p.c.: questioni controverse e soluzioni possibili, in www.judicium.it; L.S. Gentile, In attesa dell’art. 445 bis c.p.c.: una cognizione trifasica per sfoltire il contenzioso previdenziale in materia di invalidità?, in Foro it., 2012, V, 17 ss.; Id., La giurisdizione imbrigliata nell’accertamento tecnico preventivo dell’invalidità previdenziale, id., 2013, V, 136 ss.; G. Ianniruberto, Nuove regole (e nuovi problemi) per le controversie previdenziali ed assistenziali, in Riv. it. dir. lav., 2012, III, 57 ss.; P. Licci, Il nuovo accertamento tecnico preventivo obbligatorio nelle controversie previdenziali: l’occasione mancata per l’ottenimento rapido di un titolo esecutivo?, in Riv. esec. forzata, 89 ss.; A.M. Luna-M. Forziati, Il nuovo processo previdenziale e assistenziale, in Giur. merito, 2012, 1505 ss.).
Concluse le operazioni peritali, il giudice assegna un termine perentorio non superiore a trenta giorni, entro il quale le parti devono dichiarare se intendono contestare le risultanze peritali.
A questo punto il procedimento può sfociare in due differenti esiti:
– in caso di mancata contestazione – il che equivale ad accettazione implicita – il giudice nel termine su indicato «omologa l’accertamento del requisito sanitario secondo le risultanze probatorie indicate nella relazione del consulente tecnico dell’ufficio provvedendo sulle spese» con decreto qualificato non impugnabile né modificabile. Spetterà poi agli organi competenti, previa verifica della sussistenza degli altri requisiti previsti dalla legge, provvedere al pagamento delle prestazioni richieste.
– in caso di «mancato accordo», ossia ove la parte manifesti la volontà di contestare le conclusioni del consulente tecnico deve, nel predetto termine, formulare la propria dichiarazione di dissenso (che può consistere in una dichiarazione generica, priva della specificazione dei motivi del dissenso, v. Cass. 15 giugno 2015, n. 12332, Foro it., 2015, I, 3892, con nota di S.L. Gentile, La controversia sul requisito sanitario come seconda fase eventuale dell’accertamento tecnico preventivo (Atp) in materia di invalidità), nonché, nei trenta giorni successivi alla manifestazione del dissenso, a pena di decadenza, depositare il ricorso introduttivo del relativo giudizio di merito, con l’indicazione specifica delle ragioni del dissenso, pena l’inammissibilità della domanda (nel senso che nel ricorso introduttivo del giudizio ex art. 445 bis, 6º comma, c.p.c., conseguente al «mancato accordo» in sede di accertamento preventivo, devono essere specificati, a pena d’inammissibilità, i motivi della contestazione; pertanto, il ricorso che non metta in concreta evidenza carenze di indagine o vizi di carattere medico e/o logico-giuridico dell’accertamento tecnico preventivo esperito, non è ammissibile, v. Trib. Roma 9 maggio 2013, id., Rep. 2013, voce Lavoro e previdenza (controversie), n. 212).
La sentenza che definisce il giudizio viene dichiarata inappellabile (art. 445 bis, 7° comma, c.p.c., inserito dalla l. 12 novembre 2011, n. 183, c.d. Legge di stabilità).
Il nuovo procedimento «sommario» rappresenta il frutto di una discutibile scelta legislativa che, a dispetto del dichiarato obiettivo di voler deflazionare il contenzioso in materia previdenziale e contenere in tempi ragionevoli la durata dei processi, ha determinato un aggravamento, in termini di tempo e di attività, del carico degli uffici giudiziari, considerato, peraltro, che la disciplina introdotta risulta in diversi passaggi oscura e lacunosa.
Tanto più che Trib. Roma 18 gennaio 2013, id., Le banche dati, archivio Merito ed extra, ha sollevato dubbi di legittimità costituzionale dell’art. 445 bis c.p.c. riguardo a diversi profili. La Corte costituzionale, tuttavia, ha disatteso ciascuna delle singole censure, dichiarando l’infondatezza della questione di legittimità costituzionale del nuovo «procedimento giurisdizionale sommario a carattere contenzioso». Il legislatore avrebbe, infatti, operato un «congruo bilanciamento» tra gli interessi generali sottesi all’introduzione dell’accertamento tecnico consistenti: a) nella riduzione del contenzioso previdenziale e assistenziale, b) nel contenimento della durata dei relativi processi, c) nel conseguimento della certezza giuridica in ordine all’accertamento del requisito medico-sanitario e l’interesse della parte a far valere la sua pretesa assistenziale e previdenziale, basata sullo stato di invalidità (Corte cost. 28 ottobre 2014, n. 243, id., 2015, I, 358, con nota di S.L. Gentile, La gestione dell’accertamento tecnico preventivo (Atp) previdenziale tra principî costituzionali e riproposizioni infrannuali, Giur. costit., 2014, 4015, con nota di R. Donzelli, L’accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art. 445 bis c.p.c. al vaglio della corte costituzionale, Mass. giur. lav., 2015, 514, con nota di E. Boghetich, Approdi giurisprudenziali sull’accertamento tecnico preventivo, nonché Riv. it. dir. lav., 2015, II, 733, con nota di M. Scalamogna, L’art. 445 bis c.p.c. supera il vaglio di legittimità costituzionale: un monito mancato).
D’altra parte, a distanza di alcuni anni dalla sua entrata in vigore, l’intervento chiarificatore della Suprema corte insieme alla sperimentazione degli operatori hanno cercato di appianare alcuni dubbi interpretativi cui ha dato vita l’applicazione della norma.
Riguardo al contenuto del ricorso introduttivo dell’accertamento preventivo nulla dispone l’art. art. 445 bis c.p.c.
Premesso che oggetto dell’accertamento è la verifica preventiva dei requisiti sanitari necessari al conseguimento della pretesa assistenziale e previdenziale, deve ritenersi senz’altro necessaria, ai fini della valutazione della sussistenza dell’interesse ad agire, l’indicazione del diritto al cui riconoscimento è preordinato l’accertamento preventivo (v., per ulteriori indicazioni, F. Cossignani, L’accertamento tecnico preventivo obbligatorio ex art. 445 bis c.p.c., cit., 635 s.; L.S. Gentile, In attesa dell’art. 445 bis c.p.c.: una cognizione trifasica per sfoltire il contenzioso previdenziale in materia di invalidità?, cit., 21, nonché Prime indicazioni sull’accertamento tecnico preventivo del Tribunale di Lecce, 6 dicembre 2011, reperibile su www.ordineavvocatilecce.it).
Una criticità attiene al profilo dell’oggetto della cognizione del giudice adito in sede di accertamento preventivo, rispetto al quale si fronteggiano due opinioni contrastanti. Da un lato, l’orientamento più rigido ritiene che rientri nella valutazione giudiziale unicamente la sussistenza del requisito sanitario, essendo preclusa al giudice ogni verifica degli ulteriori requisiti socio-economici richiesti dalla legge per il conseguimento della pretesa, con la conseguenza che il giudice deve disporre la consulenza medico-legale anche se risultino ostacoli pregiudiziali o preliminari che precludono il diritto alla prestazione richiesta (Cass. 17 marzo 2014, n. 6085, Foro it., 2014, I, 1499, con note critiche di S.L. Gentile, Accertamento tecnico preventivo previdenziale, consulenze mediche inutili, spese superflue a carico dell’erario: è compito del giudice impedire l’abuso del procedimento, e P. Morabito, La Cassazione e l’accertamento tecnico preventivo in materia previdenziale: un arresto criticabile); dall’altro lato, si attribuisce, invece, al giudice il dovere di compiere una serie di verifiche preliminari dei presupposti processuali della domanda nonché «una valutazione prima facie» degli altri requisiti diversi da quello sanitario costitutivi della prestazione che si vuole ottenere, sanzionate, in caso di esito negativo, con l’inammissibilità della domanda (Cass. 27 aprile 2015, n. 8533, id., 2015, I, 2342, con nota di S.L. Gentile, Altri tasselli e punti fermi nel mosaico dell’accertamento tecnico preventivo (Atp) previdenziale).
Un’altra questione irrisolta investe l’oggetto dell’eventuale giudizio di merito, ex art. 445 bis, 6° comma, c.p.c., introdotto successivamente alla contestazione della consulenza tecnica, vale a dire, se l’oggetto si identifichi con quello dedotto in sede di accertamento preventivo ovvero se riguardi totalmente il diritto alla prestazione previdenziale o assistenziale. Le sporadiche indicazioni sul tema propendono per la prima alternativa, per cui nel giudizio di merito si realizza un «trascinamento» ed una esplicitazione dei motivi di dissenso manifestati dalla parte dissenziente (cfr. Cass. 17 marzo 2014, n. 6085 cit.; S.L. Gentile, La controversia sul requisito sanitario come seconda fase eventuale dell’accertamento tecnico preventivo (Atp) in materia di invalidità, cit., 3897).
Infine, il regime dei provvedimenti conclusivi del procedimento di accertamento preventivo (decreto di omologa in assenza di contestazione) e del successivo giudizio di merito (la sentenza che definisce il giudizio) ne esclude l’impugnabilità. Ciò posto, la Corte di cassazione se ha escluso l’ammissibilità del ricorso ex art. 111 Cost. avverso il decreto di omologa, dal momento che non può essere concesso il predetto rimedio impugnatorio «alla parte che, nel momento anteriore all’emissione del decreto di omologa, quando le era consentito di farlo, non ha mosso contestazioni alla possibilità di procedervi» (v. Cass. 4 maggio 2015, n. 8878, id., 2015, I, 2342, con nota citata di S.L. Gentile); tuttavia, ha ammesso la ricorribilità in via ordinaria ai sensi dell’art. 360, 1° comma, c.p.c. (e non l’impugnabilità ai sensi dell’art. 111 Cost.) della sentenza conclusiva del giudizio, trattandosi di sentenza resa in un unico grado, in quanto inappellabile (Cass. 15 giugno 2015, n. 12332, cit.).