L’abuso di posizione dominante finisce sotto la lente della Suprema Corte di Cassazione
di Virginie Lopes, Avvocato Scarica in PDFCassazione civile, Sez. I, Ordinanza, 2 gennaio 2024, n. 9
Parole chiave: Società – Concorrenza sleale – Posizione dominante – Abuso – Antitrust
Massima: “È responsabile di illecito anticoncorrenziale la società farmaceutica che, con abuso di posizione dominante nel settore di un determinato componente farmaceutico necessario per la cura di una determinata patologia, ha posto in essere condotte riconducibili ad un’unica finalità escludente, volta a ritardare l’ingresso dei cd. farmaci generici nel mercato italiano della commercializzazione di farmaci analoghi, ma di costo sensibilmente più contenuto”.
Disposizioni applicate: art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (“TFUE”); art. 66 C.P.I.
Nella fattispecie in esame, il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze hanno convenuto in giudizio una società farmaceutica, per ottenere il risarcimento dei danni subiti a fronte dell’abuso di posizione dominante nel mercato di una determinata tipologia di farmaco, un tale abuso essendo già stato accertato nei confronti della società in un provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (“AGCM”).
La condotta rimproverata alla società era consistita in particolare (i) in attività volte ad ottenere il protrarsi dei suoi vigenti diritti di privativa per la protezione brevettuale di un principio attivo utilizzato nella produzione del suo farmaco per la cura di una determinata patologia, mediante la proposizione di domanda di brevetto divisionale e la conseguente richiesta, solo in Italia, di certificato di protezione complementare (CPC), idoneo ad estendere la privativa per quasi altri due anni e (ii) in altri comportamenti tipici dell’abuso di posizione dominante quali diffide e contenziosi giudiziari ad effetto escludente, come accertato nel provvedimento dall’AGCM.
Va da sé che la condotta della società aveva avuto per effetto di ritardare l’ingresso nel mercato italiano di farmaci generici per la cura della suddetta patologia, generando per i suddetti Ministeri un maggior costo sostenuto, dal momento che il Servizio Sanitario Nazionale era stato tenuto per il periodo del ritardo soprammenzionato a rimborsare il costo del medicinale prodotto dalla società farmaceutica, più elevato rispetto a quello di un farmaco generico.
Il Tribunale di prime cure aveva respinto le pretese delle Amministrazioni, considerando che il provvedimento dell’AGCM non aveva alcuna efficacia vincolante nell’ambito del giudizio di merito, pur considerando che fosse dotato di efficacia probatoria privilegiata seppur limitatamente alla sussistenza dell’illecito anticoncorrenziale.
Avverso la decisione di primo grado avevano proposto appello i Ministeri e la Corte di merito aveva accolto la loro domanda, condannando la società al risarcimento dei danni conseguenti all’accertato illecito anticoncorrenziale.
Avverso tale provvedimento ha poi proposto ricorso per cassazione la società farmaceutica, lamentando in particolare la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 102 TFUE e dell’art. 66 C.P.I., per avere la Corte d’Appello ritenuto che le condotte della società – che si era limitata ad esercitare facoltà insite nei diritti conferitigli dai brevetti lecitamente ottenuti – fossero costitutive di un abuso di posizione dominante.
Nel respingere il ricorso della società, gli ermellini hanno innanzitutto ricordato che la disciplina antitrust combatte tre tipologie di condotte che riducono o impediscono la concorrenza effettiva sul mercato, ovvero le concentrazioni, le intese e l’abuso di posizione dominante.
Orbene, l’art. 102 TFUE) stabilisce, al primo comma, il principio secondo cui “è incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo”, senza fornire una definizione né di “posizione dominante”, né di “sfruttamento abusivo”, bensì proponendo soltanto un elenco, non tassativo o esaustivo, di quelle pratiche già qualificate come abusive, fra le quali colloca le condotte escludenti che consistono “…b) nel limitare la produzione, gli sbocchi o lo sviluppo tecnico, a danno dei consumatori…” (come quella contestata alla ricorrente).
La Suprema Corte ha poi rammentato che fa altrettanto l’art. 3 della legge n. 287 del 1990 (recante norme per la tutela della concorrenza e del mercato), esemplificando una serie di condotte abusive, fra le quali si ritrovano quelle escludenti, che consistono nell’“… b) impedire o limitare la produzione, gli sbocchi o gli accessi al mercato, lo sviluppo tecnico o il progresso tecnologico, a danno dei consumatori…”.
Alla luce di quanto precede, i comportamenti vietati dalla disciplina in materia di tutela della concorrenza e del mercato sono quelli diretti a creare barriere all’ingresso all’interno di un determinato mercato con l’obiettivo di ostacolare possibili imprese concorrenti.
Ciò premesso, gli ermellini hanno ricordato che, per la Corte di Giustizia UE, l’articolo 102 TFUE deve essere interpretato nel senso che una pratica lecita al di fuori del diritto della concorrenza può, qualora sia attuata da un’impresa in posizione dominante, essere qualificata come abusiva, ai sensi di tale disposizione, se può produrre un effetto escludente e se si basa sull’utilizzo di mezzi diversi da quelli propri di una concorrenza basata sui meriti (Cons. Stato, Sez. 6, Ordinanza n. 4646 del 20/07/2020).
Qualora entrambe le condizioni siano soddisfatte, l’impresa può tuttavia sottrarsi al divieto di cui all’art. 102 TFUE, dimostrando che la pratica posta in essere era obiettivamente giustificata e proporzionata a tale giustificazione oppure controbilanciata, se non superata, da vantaggi in termini di efficienza che vanno a beneficio anche dei consumatori (Corte di giustizia UE, Sez. 5, Sentenza n. 377 del 12/05/2022, caso C-719/2022).
Pertanto, è vietata qualsiasi pratica che possa pregiudicare, mediante risorse diverse da quelle su cui si impernia una concorrenza normale, una struttura di effettiva concorrenza.
La Suprema Corte ricorda infatti che l’intento dell’articolo 102 TFUE non è di impedire a un’impresa di conquistare, grazie ai suoi meriti, e in particolare alle sue competenze e capacità, una posizione dominante su un mercato, né di garantire che rimangano sul mercato concorrenti meno efficienti di un’impresa che detiene una simile posizione.
Per valutare in concreto se una condotta vada o meno condannata, la Corte di legittimità sottolinea che un criterio di valutazione efficace adottato dalla Corte di Giustizia UE è quello della verifica della possibilità che la pratica attuata possa essere adottata anche da un ipotetico concorrente il quale, benché altrettanto efficiente, non detenga una posizione dominante sul mercato in questione, fermo restando che, in caso contrario, tale pratica si basa sullo sfruttamento di risorse o di mezzi propri di una tale posizione (quali, ad esempio, pratiche tariffarie, sconti fedeltà, prezzi selettivi o predatori, compressione dei margini e, per le pratiche non tariffarie, rifiuti di fornitura di beni o servizi).
Nel respingere il ricorso, la Corte ha concluso che la Corte d’Appello aveva ritenuto che la condotta della società farmaceutica, mediante lo sfruttamento dei suoi diritti di privativa ed altri espedienti, aveva ritardato l’ingresso di farmaci generici equivalenti nel mercato italiano, ove il brevetto principale sarebbe scaduto pochi mesi dopo. Il fatto di aver ricorso alla registrazione di un brevetto divisionale dopo molti anni dall’ottenimento di quello principale, senza che fosse poi stata avviata la produzione di un altro farmaco, ma accompagnato dalla richiesta di certificato di protezione complementare, aveva consentito alla società farmaceutica di continuare ad usufruire in Italia per qualche ulteriore mese dell’esclusiva nell’uso del principio attivo impiegato per la produzione del suo farmaco, con chiare finalità escludenti dei concorrenti (a tale riguardo, si era già pronunciata in senso conforme Corte di Giustizia UE, Sez. 5, Sentenza n. 377 del 12/05/2022, caso C-719/2022).
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