L’abuso della maggioranza nella delibera di scioglimento della società
di Eleonora Giacometti, Avvocato Scarica in PDFTribunale delle Imprese di Milano – Sentenza n. 1877/2021 pubblicata il 4 marzo 2021
Parole chiave: scioglimento società – abuso della maggioranza – onere prova – società di capitali – società a responsabilità limitata
Massima: non è impugnabile per conflitto di interessi la delibera di scioglimento anticipato di una società ex art. 2484 n. 6 c.c. in quanto la situazione di conflitto rilevante ai fini dell’art. 2373 c.c. deve essere valutata con riferimento non già a confliggenti interessi dei soci, bensì a un eventuale contrasto tra l’interesse del socio e l’interesse sociale inteso come l’insieme degli interessi riconducibili al contratto di società tra i quali non è ricompreso l’interesse della società alla prosecuzione della propria attività, giacché la stessa disciplina legale del fenomeno societario consente che la maggioranza dei soci ponga fine all’impresa comune senza subordinare tale decisione ad alcuna condizione.
Disposizioni applicate: articoli 2484 n. 6 c.c., 2373 c.c., 2900 c.c.
Con il giudizio in esame l’attore, socio al 50% di una S.r.l. in liquidazione, ha convenuto in giudizio il fratello, anch’egli socio per il restante 50%, adducendo la condotta abusiva di quest’ultimo che avrebbe illegittimamente accertato e deliberato lo stato di liquidazione della società ed il suo successivo scioglimento, al solo fine di accaparrarsi a prezzi vantaggiosi il suo rilevante patrimonio immobiliare.
Tale condotta si sarebbe concretizzata mediante (i) la mancata partecipazione alle assemblee sociali al fine di precostituire una apparente situazione di paralisi o impossibilità di funzionamento dell’assemblea rilevante ai sensi dell’art. 2484 c.c. e (ii) la determinazione della morosità della società rispetto al canone d’affitto dovuto ad un’altra società di famiglia amministrata sempre dal convenuto.
Secondo l’attore la suddetta condotta avrebbe causato uno specifico pregiudizio in capo alla S.r.l., di cui ha chiesto il risarcimento in via extracontrattuale a norma dell’art. 2043 c.c., che il Tribunale ha poi riqualificato quale azione surrogatoria ex art. 2900 c.c. (essendo il socio di una società in liquidazione creditore verso quest’ultima della propria quota di attivo di liquidazione e potendo pertanto essere legittimato a far valere contro i terzi quei diritti che la società sua debitrice “trascura di esercitare”).
Valutati gli elementi prodotti in giudizio, il Tribunale delle Imprese di Milano ha tuttavia rigettato la domanda attorea, ritenendo non assolto l’onere della prova incombente sul socio attore che avrebbe dovuto allegare e dimostrare i “sintomi” della illiceità della delibera, essendo preclusa ogni possibilità di controllo in sede giudiziaria dei motivi sottesi allo scioglimento anticipato di una società, ed essendo insindacabili le esigenze individuali del socio che possano indurlo a votare per la soluzione dissolutiva.
A tal fine, il Tribunale ha richiamato l’orientamento ormai consolidato della Corte di Cassazione, espresso con la sentenza n. 27387 del 12 dicembre 2005, secondo il quale ai fini dell’annullamento di una delibera assembleare di scioglimento anticipato di una società per conflitto di interessi del socio ai sensi dell’art. 2373 c.c. è essenziale che la delibera sia idonea a ledere l’interesse sociale, inteso come l’insieme degli interessi riconducibili al contratto di società, tra i quali non è ricompreso l’interesse della società medesima alla prosecuzione della propria attività imprenditoriale.
Secondo la Corte di Cassazione non può quindi ravvisarsi alcuna violazione dei doveri di correttezza e buona fede qualora un socio di maggioranza abbia perseguito il proprio interesse al disinvestimento, votando a favore dello scioglimento anticipato della società, a meno che non si dimostri — tenendo conto del contegno complessivo, anche successivo alla deliberazione — che il diritto di voto sia stato esercitato fraudolentemente al solo scopo di ledere gli interessi degli altri soci, ovvero risulti in concreto preordinato ad avvantaggiare ingiustificatamente i soci di maggioranza in danno di quelli di minoranza.
Applicando tali principi al caso in esame il Tribunale ha quindi ritenuto non adeguatamente dimostrato il carattere abusivo della condotta del convenuto, posto che il conflitto con il fratello attore senz’altro sussisteva, ma non era tale da poter essere univocamente ricondotto ad una specifica, esclusiva ed abusiva intenzione del convenuto medesimo di danneggiare il fratello, determinando lo scioglimento della società per appropriandosi degli immobili sociali a prezzi ribassati.
Dalla documentazione agli atti era piuttosto emersa una legittima volontà del convenuto di disinvestire, in ragione del pacifico andamento negativo della società e dalle diverse visioni dei soci quanto alla sua gestione, circostanza questa che ha quindi condotto il Tribunale a rigettare la domanda attorea.