8 Marzo 2022

La violazione delle regole di civile convivenza legittima il recesso dal contratto di comodato

di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 2021, n. 27122 – Pres. Travaglino – Rel. Scarano

Parole chiave: Contratto – Elementi accidentali – Presupposizione – Natura – Circostanza esterna al contratto – Specifico e oggettivo presupposto di efficacia – Rilevanza ai fini del mantenimento del vincolo contrattuale

[1] Massima: “La presupposizione, non attenendo all’oggetto, né alla causa, né ai motivi del contratto, consiste in una circostanza a esso esterna, che, pur se non specificamente dedotta come condizione, ne costituisce specifico e oggettivo presupposto di efficacia, assumendo per entrambe le parti – o anche per una sola di esse, ma con riconoscimento da parte dell’altra – valore determinante ai fini del mantenimento del vincolo contrattuale, il cui mancato verificarsi legittima l’esercizio del recesso”.

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1321, 1322, 1325, 1372, 1373

Parole chiave: Contratto – Obbligazioni – Comportamento secondo correttezza – Esecuzione secondo buona fede – Violazione – Responsabilità – Sussistenza

[2] Massima: “Il principio di correttezza e buona fede dev’essere inteso in senso oggettivo, in quanto enuncia un dovere di solidarietà, fondato sull’art. 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell’imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell’altra, a prescindere dall’esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge, sicché dalla violazione di tale regola di comportamento può discendere, anche di per sé, un danno risarcibile”.

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1175, 1218, 1375

CASO

La proprietaria di un box e di un locale adiacente, dopo averli concessi in comodato a tempo determinato, agiva in giudizio per fare accertare la cessazione del contratto, in conseguenza dei comportamenti emulativi tenuti dal comodatario, il quale, oltre ad avere tenuto atteggiamenti intimidatori e ingiuriosi, si era reso responsabile della violazione dei vincoli di utilizzo dei beni e del mancato rispetto del basilare obbligo di cooperazione, di consultazione e di condivisione con la proprietaria; da ciò, secondo quanto sostenuto da quest’ultima, era scaturita un’elevata conflittualità, che aveva determinato il venire meno del vincolo fiduciario posto alla base della concessione in godimento gratuito degli immobili.

La sentenza di primo grado, che aveva accolto la domanda attrice, veniva riformata in appello, dal momento che, per i giudici di secondo grado, i contrasti tra le parti, esplicando – al limite – rilievo sul rapporto di fiducia che si era instaurato tra le stesse, non avevano comunque inciso sul contenuto del comodato, considerate la notevole discrezionalità e le ampie facoltà concesse al comodatario nell’utilizzo dei beni, secondo quanto emergeva dal testo contrattuale.

La proprietaria degli immobili proponeva, quindi, ricorso per cassazione, lamentandosi del fatto che non fossero stati considerati presupposti essenziali della concessione in godimento dei beni la permanenza del vincolo di fiducia e il rispetto della pacifica convivenza, il venire meno dei quali non poteva che incidere direttamente sulla sorte del contratto.

SOLUZIONE

[1] [2] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, censurando la sentenza gravata nella parte in cui non aveva adeguatamente valutato se, nel caso di specie, ricorresse o meno una presupposizione e se, di conseguenza, le condotte del comodatario potevano reputarsi idonee a influire negativamente sul rapporto di fiducia e di civile convivenza sotteso alla conclusione del contratto, al punto da legittimare il recesso della comodante, nonché, in ogni caso, a comportare una violazione degli obblighi di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto.

QUESTIONI

[1] [2] Il contratto di comodato attribuisce al comodatario il diritto (personale) di godere di un bene a titolo gratuito, ossia senza riconoscere alcun corrispettivo al concedente, fatta salva soltanto la possibilità che gli venga imposto l’adempimento di un onere, a patto che non si configuri una prestazione che comporti, di fatto, il venire meno della gratuità.

In virtù di quanto stabilito dagli artt. 1809 e 1810 c.c., se al comodato è stato apposto un termine di durata, che può evincersi anche indirettamente dalla previsione dell’utilizzo del bene per un determinato scopo, il comodatario sarà tenuto alla restituzione solo una volta che sia venuto a scadenza tale termine; diversamente, ossia quando non sia stato convenuto alcun termine, il comodante potrà pretendere in ogni momento – vale a dire, ad nutum – la riconsegna (essendo questo uno dei riflessi della gratuità della figura negoziale in parola).

Nel caso esaminato dall’ordinanza che si annota, in cui il comodato era stato qualificato come contratto a termine, la proprietaria dei beni concessi in godimento aveva agito lamentando che le condotte contrarie alle regole della civile convivenza tenute dal comodatario avevano determinato il venire meno del rapporto di fiducia che costituiva il presupposto fondamentale dell’avvenuta stipulazione, sicché doveva reputarsi legittima la richiesta di restituzione anticipata degli immobili.

Nell’accogliere il ricorso, i giudici di legittimità hanno, in primo luogo, condiviso l’assunto per cui alla base del comodato poteva, in effetti, ravvisarsi una presupposizione, ovvero una condizione inespressa dalle parti ma costituente una circostanza esterna tale da assurgere a specifico e oggettivo presupposto di efficacia del vincolo contrattuale, che assume valore determinante ai fini del suo persistente mantenimento e il cui venire meno, di converso, ne legittima lo scioglimento.

In difetto di una previsione normativa che contempli e disciplini la presupposizione, la giurisprudenza si è fatta carico dell’individuazione dei suoi elementi caratterizzanti, definendola come obiettiva situazione di fatto o di diritto (passata, presente o futura) tenuta in considerazione e valorizzata dai contraenti – pur in mancanza di un espresso riferimento nelle clausole contrattuali – nella formazione del loro consenso, quale presupposto condizionante la validità e l’efficacia del negozio, con rilievo distinto e diverso da quello attribuibile ai suoi elementi essenziali o accidentali e il cui verificarsi o meno è del tutto indipendente dall’attività e dalla volontà dei contraenti medesimi, non corrispondendo all’oggetto di una specifica obbligazione di uno di essi.

Nel contempo, sempre secondo l’elaborazione giurisprudenziale, non possono ricondursi alla presupposizione fatti e circostanze ascrivibili alla causa concreta del contratto, che attengono propriamente alla realizzazione della ragione pratica o dell’interesse che l’operazione negoziale è diretta a soddisfare, in conformità a ciò che le parti hanno inteso tutelare mediante la conclusione di quel determinato contratto.

Allo stesso modo, è stato escluso che la presupposizione possa coincidere, da un lato, con i risultati dovuti (anch’essi rientranti nel contenuto tipico del contratto, sicché la loro mancanza è fonte di responsabilità da inadempimento per la parte che era tenuta ad assicurarli) e, dall’altro lato, con i motivi, intesi quali meri impulsi psichici alla stipulazione, che, rimanendo nella sfera volitiva interna della parte, non concorrono a integrare la causa concreta del contratto.

In definitiva, alla presupposizione può e deve riconoscersi rilievo quando siano ravvisabili, nel caso specifico, fatti e circostanze che, pur non attenendo alla causa del contratto o al contenuto della prestazione, assumono (per entrambe le parti o, al limite, per una sola di esse, purché – in questo caso – vi sia riconoscimento da parte dell’altra) un’importanza determinante ai fini della conservazione del vincolo contrattuale, in base al significato suo proprio risultante dall’applicazione dei criteri legali d’interpretazione.

La conseguenza del venire meno di tali fatti e circostanze, peraltro, è rappresentata non già dall’invalidità o dall’inefficacia del contratto, né dalla sua risoluzione per impossibilità sopravvenuta, ma dalla legittimazione a esercitare il potere di recesso, ovvero a domandarne l’accertamento giudiziale.

Nel caso sottoposto all’esame dei giudici di legittimità, è stato evidenziato che gli atti emulativi e di disturbo lamentati dalla proprietaria degli immobili concessi in comodato erano di per sé idonei a incidere sul rapporto di fiducia che, pur non essendo espressamente contemplato nel contratto, poteva effettivamente assurgere al rango di presupposizione, assumendo rilievo ai fini della persistenza o meno del vincolo negoziale e, dunque, della legittimità o meno del recesso esercitato dalla comodante e posto alla base della domanda di restituzione anticipata dei beni.

Senza contare che i medesimi comportamenti potevano rilevare anche sotto il profilo della violazione, da parte del comodatario, dell’obbligo di correttezza e buona fede nell’esecuzione del contratto, che trova applicazione indipendentemente dalla sussistenza di specifiche previsioni contrattuali e impegna la parte a mantenere una condotta leale, volta alla salvaguardia dell’utilità altrui nei limiti di un apprezzabile sacrificio, ossia fino a quando – avuto riguardo al caso concreto, alla natura del rapporto e alla qualità dei soggetti coinvolti – non si rendano necessarie attività gravose o eccezionali, ovvero tali da comportare notevoli rischi. Con la conseguenza che anche la violazione di tale obbligo può essere fonte di responsabilità e influire sulla sorte della vicenda negoziale.

In altre parole, anziché respingere senz’altro la domanda attrice, i giudici di merito avrebbero dovuto valutare se il mancato rispetto delle regole di civile e pacifica convivenza, in un contesto caratterizzato dall’indivisibilità degli spazi, poteva reputarsi idoneo a fare venire meno quel rapporto di fiducia sotteso al comodato, che aveva indotto le parti a concluderlo e senza il quale non aveva senso la sua persistente vigenza.

Per queste ragioni, la sentenza impugnata è stata cassata con rinvio, imponendosi una rilettura e una riconsiderazione delle risultanze di causa alla luce dei principi affermati nell’ordinanza annotata.

Centro Studi Forense - Euroconference consiglia

Diritto dell’e-commerce