13 Giugno 2017

La violazione del dovere di sinteticità e chiarezza espositiva determina l’illegittimità del ricorso per Cassazione

di Beatrice Piletti Scarica in PDF

Cass. Civ., Sez. I, 13 aprile 2017, n. 9570 – Pres. Trirelli – Rel. Valitutti

Impugnazioni civili – Ricorso per Cassazione – Contenuto – Dovere di chiarezza e sintesi espositiva – Mancato rispetto – Conseguenze – Declaratoria di inammissibilità del ricorso – Fondamento Fattispecie (Cod. proc. civ., art. 121 e art. 366, co. 1, n. 3 e 4;  cod. proc. amm., art. 3, co. 2; Cost. art. 24 e art. 111, Conv. eur. dir. uomo art. 6)

[1] È inammissibile il ricorso per cassazione redatto in violazione del dovere di sinteticità e chiarezza.

CASO

[1] La Società Alfa citava in giudizio la Società Beta chiedendone la condanna al pagamento delle somme dovute in relazione a talune riserve formulate con riferimento al contratto di appalto stipulato tra le parti. La domanda veniva rigettata dal Tribunale e la soccombente proponeva appello. La Corte territoriale rigettava il gravame, confermando la pronuncia di primo grado. Avverso tale sentenza la Società Alfa proponeva ricorso per Cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per mancato rispetto del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali fissato dall’art. 3, comma 2, cod. proc. amm., considerato alla stregua di un principio generale del diritto processuale operante anche nel processo civile, in quanto funzionale alla realizzazione dello scopo del processo, dato dalla decisione di merito.

QUESTIONI

[1] Il provvedimento in commento, non ancora massimato, si impone all’attenzione degli addetti ai lavori per inserirsi nel solco ermeneutico tracciato negli ultimissimi anni dalla Suprema Corte, con il quale è stata compiuta una decisa presa di posizione in materia.

Si osserva preliminarmente che i canoni di sinteticità e chiarezza espositiva hanno trovato dimora nel diritto positivo solo nel 2010, con il D.Lgs. n. 104, che ha riformato il processo amministrativo; prima di tale modifica le uniche disposizioni che disciplinavano expressis verbis la redazione degli atti processuali erano l’art. 121 c.p.c. – che stabilisce la libertà di forme per gli atti non specificamente regolati dalla legge – e l’art. 46 disp. att. c.p.c. – a norma del quale gli atti debbono essere chiari e leggibili dal punto di vista grafico.

La giurisprudenza di legittimità, nel precedente quadro normativo, aveva elaborato il c.d. principio di autosufficienza del ricorso, in virtù del quale gli atti debbono essere scritti in modo tale da risultare “autonomi”, garantendo l’agevole comprensione delle questioni di fatto e di diritto poste a fondamento dell’impugnativa, senza imporre alla Corte la consultazione di atti ulteriori; si esigeva, pertanto, una pregnante completezza del ricorso dal punto di vista contenutistico, sino ad arrivare alla necessità di trascrivere integralmente gli atti posti a fondamento della pretesa (ex plurimis Cass. civ., 25 marzo 1999, n. 2838; Cass. civ., 10 marzo 2000, n. 2802; Cass. civ., 11 febbraio 2009, n. 3338; Cass. civ., 9 aprile 2009, n. 8708).

La dottrina prevalente aveva accolto con sfavore tale orientamento, in quanto si riteneva avesse implicitamente di mira il mero deflazionamento delle cause tramite lo “strumento” dell’inammissibilità (v. Alunni S., Cosa giudicata civile – principio di autosufficienza del ricorso – rilievo del giudicato esterno in Cassazione e principio di autosufficienza del ricorso, in Giur. It., 2017, fasc. 3, pag. 644 e ss.; cfr. Santangeli, Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in Riv. Dir. Proc., 2012, pag. 607 e ss.; Chiarloni, Il diritto vivente di fronte alla valanga dei ricorsi in cassazione: l’inammissibilità per violazione del c.d. principio di autosufficienza, in www. judicium.it e Ricci E.F., Sull’autosufficienza del ricorso per cassazione: il deposito dei fascicoli come esercizio ginnico e l’avvocato cassazionista come amanuense, in Riv. Dir. Proc., 2010, pag. 736 e ss.).

Dopo l’introduzione dell’art. 3, co. 2, cod. proc. amm., la Corte ha compiuto i primi passi verso l’affermazione dei principi di specificità e chiarezza, con riferimento, in particolare, alla lunghezza dei ricorsi, ritenendo che, pur non essendo rinvenibile nel sistema una norma che sanzioni l’eccessiva estensione degli atti, il ricorrente abbia l’onere di sintetizzare l’esposizione dei fatti (anche in considerazione del fatto che la pedissequa riproduzione dell’intero, letterale, contenuto degli atti processuali è, per un verso, del tutto superflua e, per altro verso, inidonea a soddisfare la necessità della sintetica esposizione dei fatti di cui all’art. 366, co. 1, n. 3: v. Cass. sez. un., 11 aprile 2012, n. 5698, Cass. sez. lav., 30 settembre 2014, n. 20589, Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 2012, n. 1905, Cass. civ., sez. trib., 23 giugno 2010, n. 15180; cfr. nota di Brenda R., Osservatorio sulla Cassazione civile, in Riv. Dir. Proc., 2014, fasc. 6, pag. 1618, ove si sottolinea che la Corte ha esteso i confini del controllo di ammissibilità alla lunghezza del ricorso in ragione della superfluità della maggior parte delle pagine).

La Suprema Corte, con la sentenza che si annota, conferma l’orientamento che sanziona con l’inammissibilità la violazione del principio di chiarezza e sinteticità (Cass. civ., sez. lav., 6 agosto 2014 n. 17698; Cass. sez. lav., 30 settembre 2014, n. 20589; Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 2016 n. 21297) stabilendo che:

1) la violazione del dovere di chiarezza e sinteticità espositiva degli atti processuali si traduce nel rischio di una declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione, in quanto idonea a pregiudicare l’intellegibilità delle questioni, rendendo oscure l’esposizione dei fatti di causa e le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione dell’art. 366, co.1, n. 3 e 4;

2) il principio di chiarezza e sinteticità espositiva contenuto nell’art. 3, co. 2, cod. proc., costituisce espressione di un principio generale del diritto processuale, operante anche nel processo civile;

3) il mancato rispetto del dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva collide con l’obiettivo di realizzare lo scopo del processo, tendente alla decisione di merito, al duplice fine di assicurare l’effettiva tutela del diritto di difesa ex art. 24 Cost e di assicurare la ragionevole durata del processo, sgravando sia lo Stato che le parti di oneri processuali superflui.

Nel caso di specie, il ricorrente aveva dedotto cumulativamente e in maniera poco chiara profili di diritto e di fatto, rendendo difficoltosa la comprensione dei fatti rilevanti ai fini della decisione, come anche le doglianze mosse avverso la sentenza impugnata.

In definitiva sembrerebbe che la Corte si stia assestando, conformemente alla giurisprudenza amministrativa, su di un’interpretazione che favorisce la snellezza degli atti di parte; e ciò, forse, anche a causa dell’informatizzazione del processo che – attraverso il fascicolo telematico  –  consente di introdurre agevolmente un numero di documenti superiore rispetto al passato.

Sebbene risulti condivisibile la ratio posta a fondamento della sentenza in epigrafe indicata – anche a fronte della mole di arretrato gravante sulle Corti nazionali –  non possono tacersi le criticità in ordine all’atteggiamento ondivago della Suprema Corte che, “forzando” la disposizione di cui all’art. 366 n. 3 e 4 c.p.c., finisce per utilizzarla per dichiararare inammisibili ricorsi considerati aut insufficienti aut esorbitanti.

Per approfondimenti: sul rapporto tra principio di autosufficienza e principi di sinteticità e chiarezza v. Poli R., La evoluzione dei giudizi di appello e di Cassazione alla luce delle recenti riforme, in Riv. Dir. Proc., 2017, fasc.1, pag. 128 e ss., Arcadi A., Il c.d. “principio di autosufficienza del ricorso” nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, in Giust. civ., fasc. 9, 2009, pag. 347 e ss., Commandatore C., Sinteticità e chiarezza degli atti processuali nel giusto processo, in Giur. It., 2015, fasc. 4, p. 851 e ss.; sulla portata dell’art. 3, comma 2, cod. proc. amm. v. ex multis  Finocchiaro G., Il principio di sinteticità nel processo civile, in Riv. dir. proc, 2014, pag. 868 e ss.; Pietrosanti A. G., Sulla violazione dei principi di chiarezza e sinteticità previsti dall’art. 3 comma 2 c.p.a. (On the violation of the principles of clarity and conciseness stated by art. 3 comma 2 c.p.a.) in Il Foro amm. T.A.R., 2013, fasc. 11, pag. 3611 e ss.; Nunziata M., La sinteticità degli atti processuali di parte nel processo amministrativo: fra valore retorico e regola processuale, in Dir. Proc. Amm., fasc. 4, 2015, pag. 1327 e ss., Capponi B., Sulla ragionevole brevità degli atti processuali civili, in Riv. Trim. di Dir. e Proc. civ., fasc. 3, 2014, pag. 1075 e ss.

Si segnalano, infine, Cordopatri F., La violazione del dovere di sinteticità degli atti e l’abuso del processo, in federalismi.it, 2014, fasc. 6, pag. 20 e ss. e Pagni I., Chiarezza e sinteticità negli atti giudiziali: il protocollo d’intesa tra Cassazione e CNF [Consiglio Nazionale Forense] in Giur. it., 2016, fasc. 12, pag. 2782 e ss.