18 Gennaio 2022

La violazione degli obblighi informativi non provoca la risoluzione del contratto preliminare di compravendita

di Paolo Cagliari, Avvocato

Cass. civ., sez. II, 9 luglio 2021, n. 19579 – Pres. Manna – Rel. Oliva

Parole chiave: Risoluzione del contratto – Inadempimento – Gravità – Obbligazioni costitutive del sinallagma contrattuale – Obblighi informativi – Esclusione – Inadempimento grave o abuso del diritto – Necessità

[1] Massima: Nella valutazione della gravità dell’inadempimento di un contratto, vanno preliminarmente distinte le violazioni delle obbligazioni costitutive del sinallagma contrattuale, che possono essere apprezzate ai fini della valutazione della gravità di cui all’art. 1455 c.c., rispetto a quelle che incidono sulle obbligazioni di carattere accessorio, che non sono idonee, in sé sole, a fondare un giudizio di gravità dell’inadempimento, potendosi dare rilievo alla violazione degli obblighi generali di informativa e avviso imposti dalla cosiddetta buona fede integrativa soltanto in presenza di un inadempimento grave incidente sul nucleo essenziale del rapporto giuridico, ovvero di una ipotesi di abuso del diritto da parte di uno dei paciscenti.

Disposizioni applicate: cod. civ., artt. 1175, 1375, 1453, 1455

CASO

I promissari acquirenti di un rudere che, previo ottenimento dei necessari titoli abilitativi, doveva essere fatto oggetto degli interventi volti a trasformarlo in abitazione da parte della promittente venditrice, convenivano in giudizio quest’ultima e il suo legale rappresentante, perché venisse accertato l’inadempimento consistente nel non avere consegnato l’immobile né ultimato la sua ristrutturazione nel termine pattuito nel preliminare.

I convenuti resistevano in giudizio, chiedendo, in via riconvenzionale, l’accertamento dell’inadempimento dei promittenti venditori, che non si erano presentati per la stipula del contratto definitivo di compravendita.

Ravvisando la natura non essenziale dei termini previsti nel preliminare, il Tribunale di Firenze rigettava la domanda degli attori e accoglieva quella riconvenzionale; in secondo grado, invece, pur essendo stata confermata la natura non essenziale dei termini pattuiti, veniva ritenuto che il grave inadempimento fosse addebitabile alla promittente venditrice, che non aveva fornito adeguate informazioni in merito all’andamento dei lavori di ristrutturazione, con conseguente declaratoria di risoluzione del contratto.

Avverso la sentenza di secondo grado, veniva proposto ricorso per cassazione.

SOLUZIONE

[1] La Corte di cassazione ha accolto il ricorso, affermando che, nell’ambito di una compravendita immobiliare, gli obblighi informativi non fanno parte del nucleo essenziale del sinallagma contrattuale, ma assumono carattere accessorio, con la conseguenza che la loro violazione non è idonea a fare assurgere l’inadempimento alla gravità necessaria ai fini della declaratoria della risoluzione del contratto, ai sensi dell’art. 1455 c.c.

QUESTIONI

[1] L’inadempimento dell’obbligazione è una delle cause di risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive, in virtù di quanto previsto dall’art. 1453 c.c.

Non ogni inadempimento, tuttavia, è idoneo a determinare lo scioglimento del rapporto negoziale, dal momento che, a termini dell’art. 1455 c.c., esso dev’essere grave, ossia di non scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte.

L’apprezzamento del giudice circa l’importanza dell’inadempimento è escluso – ovvero non necessario – solo quando i contraenti abbiano inserito nel contratto una clausola risolutiva espressa, contemplata dall’art. 1456 c.c.: in questo caso, infatti, si ritiene che le parti, nell’individuare in base alla loro autonomia le obbligazioni il cui inadempimento vale a provocare la risoluzione di diritto del contratto, abbiano già operato ex ante tale valutazione. Proprio per questo motivo, è considerata di stile (e, pertanto, sostanzialmente inefficace) la clausola risolutiva espressa che faccia riferimento, in modo generico, a tutte le obbligazioni previste dal contratto, senza possibilità di distinguere quelle reputate realmente determinanti (nel complessivo assetto di interessi negoziato dalle parti) dalle altre.

Allo stesso modo, in presenza di un termine considerato ovvero qualificato come essenziale, la sua inosservanza provoca la risoluzione di diritto del contratto, ai sensi dell’art. 1457 c.c., dal momento che l’attribuzione del requisito dell’essenzialità ha da intendersi quale riconoscimento della ritenuta gravità della sua inosservanza.

Anche in presenza di una clausola risolutiva espressa, d’altro canto, la valutazione circa l’importanza e la gravità dell’inadempimento andrà nondimeno effettuata quando esso riguardi obbligazioni diverse da quelle considerate dalla clausola.

In tutti i casi, invece, vale a dire sia quando la risoluzione del contratto venga domandata ai sensi dell’art. 1453 c.c., sia quando essa si fondi su una clausola risolutiva espressa, sia quando essa scaturisca della violazione di un termine essenziale, sarà sempre necessario che l’inadempimento risulti imputabile al debitore della prestazione rimasta inadempiuta, ovvero ascrivibile a sua colpa, che, in base alla regola generale dettata dall’art. 1218 c.c., è presunta (sicché solo dimostrandone l’assenza, il contraente inadempiente andrà esente da responsabilità ed eviterà la pronuncia risolutiva).

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, la valutazione di importanza dell’inadempimento dev’essere operata alla stregua di un duplice criterio:

  • in primo luogo, va applicato un parametro oggettivo, verificando se l’inadempimento abbia inciso in maniera apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente patito dall’altro contraente), dando luogo a un sensibile squilibrio del sinallagma contrattuale;
  • in secondo luogo, vanno considerati eventuali elementi di carattere soggettivo, con particolare riguardo ai comportamenti di entrambe le parti (assumendo rilievo, per esempio, l’atteggiamento incolpevole o una tempestiva attivazione per porre rimedio dell’una, ovvero un reciproco inadempimento o una condotta tollerante dell’altra) che possano, in relazione alla fattispecie concreta e nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata, attenuare il giudizio di gravità, alla luce del principio generale di lealtà, correttezza e buona fede.

A ogni modo, non può prescindersi dalla verifica della significativa incidenza dell’inadempimento sul sinallagma contrattuale: solo dopo avere riscontrato la sussistenza di tale presupposto di carattere oggettivo, sarà possibile procedere all’apprezzamento dei profili soggettivi, che comunque non potrà mai assumere valenza sostitutiva.

Nella valutazione della gravità dell’inadempimento, vanno così distinte le violazioni delle obbligazioni costitutive del sinallagma contrattuale – che entrano senz’altro in gioco per le finalità considerate dall’art. 1455 c.c. – da quelle che riguardano obbligazioni di carattere accessorio, che non sono idonee, di per sé sole, a fondare un giudizio di gravità dell’inadempimento.

In questo senso, poiché, nell’ambito di un contratto di scambio (genere in cui rientra a pieno titolo la compravendita immobiliare), gli obblighi informativi non appartengono al nucleo essenziale del sinallagma contrattuale, né quando siano previsti dal contratto (atteso che, in tale evenienza, si tratta comunque di prestazioni secondarie), né quando di essi non vi sia traccia nell’ambito degli accordi assunti dalle parti, la loro violazione non può costituire l’unico elemento su cui incentrare la valutazione di gravità dell’inadempimento. In questo senso, una simile valutazione può assumere rilievo solo in presenza di un inadempimento caratterizzato da una gravità particolarmente intensa, ovvero di un vero e proprio abuso del diritto da parte di uno dei contraenti.

Sotto altro profilo, la gravità dell’inadempimento, ai sensi e per gli effetti previsti dall’art. 1455 c.c., va commisurata all’interesse che la parte adempiente aveva – o avrebbe potuto avere – alla regolare esecuzione del contratto e non alla convenienza della domanda di risoluzione rispetto a quella di condanna all’adempimento, posto che la gravità non va rapportata all’entità del danno provocato (che, di per sé, potrebbe anche mancare), ma alla rilevanza della violazione con riguardo alla volontà manifestata dai contraenti, alla natura e alla finalità del rapporto, nonché al concreto interesse all’esattezza e alla tempestività della prestazione.

Nel caso sottoposto al loro esame, i giudici di legittimità, sulla scorta dei suddetti principi, hanno ritenuto che non potesse essere valorizzato l’inadempimento, da parte della promittente venditrice, degli obblighi informativi concernenti l’iter avviato per la regolarizzazione urbanistico-edilizia dell’immobile (che si era concluso con l’emissione dell’ordinanza di sanatoria, avvenuta alcuni giorni dopo la scadenza del termine per il completamento dei lavori previsto dal preliminare), in assenza dell’individuazione di un abuso del diritto imputabile alla stessa o di una violazione direttamente incidente sul sinallagma contrattuale (costituito dallo scambio tra la promessa di vendita e l’impegno all’acquisto), rispetto alla quale quella avente per oggetto gli obblighi informativi – che non erano stati nemmeno previsti nel preliminare – poteva valere, al limite, come occasione di aggravamento del danno, proprio perché si trattava di obbligazioni di carattere accessorio.

Tanto più in ragione del fatto che, com’era emerso dall’istruttoria espletata, i promissari acquirenti avevano tenuto un atteggiamento tutt’altro che collaborativo, allorquando l’immobile risultava pressoché ultimato, omettendo di fornire le indicazioni loro richieste con riguardo alle finiture da impiegare.

Tali circostanze, erroneamente sottovalutate dai giudici di merito, assumevano, in realtà, sicura rilevanza, dal momento che la configurabilità di una condotta omissiva od ostruzionistica dei promissari acquirenti poteva costituire elemento sufficiente per ravvisare, in capo agli stessi, una responsabilità concorrente nella ritardata o mancata ultimazione dei lavori, se non un vero e proprio abuso del diritto.

Per tali ragioni, la sentenza impugnata è stata cassata, dovendo i giudici del rinvio effettuare un nuovo apprezzamento circa la gravità degli inadempimenti contestati, partendo innanzitutto dall’esame della portata delle violazioni incidenti in modo diretto sulle obbligazioni tipicamente funzionali e caratteristiche del preliminare di compravendita e passando, poi, alla considerazione dell’elemento soggettivo, rappresentato dalla condotta – collaborativa o meno, di tolleranza o meno, agevolativa o meno, di buona o di mala fede – tenuta dalle parti; fermo restando che, in assenza di un inadempimento involgente il nucleo essenziale del sinallagma negoziale, la violazione degli obblighi informativi, che a esso rimangono pur sempre estranei (quand’anche espressamente previsti dal contratto), non può, in ogni caso, giustificare la risoluzione ai sensi dell’art. 1455 c.c.

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