La vendita coattiva della quota del socio moroso è azione esecutiva
di Paolo Cagliari, Avvocato Scarica in PDFCass. civ., sez. I, 18 maggio 2021, n. 13514 – Pres. Scaldaferri – Rel. Fidanzia
Parole chiave: Società a responsabilità limitata – Capitale sociale – Conferimenti – Quota – Mancato pagamento – Vendita della quota del socio moroso ex art. 2466 c.c. – Concordato preventivo – Divieto di azioni esecutive – Applicabilità
[1] Massima: La vendita coattiva della quota del socio moroso disciplinata dall’art. 2466 c.c. rientra a pieno titolo tra le azioni esecutive alle quali si applica l’art. 168, comma 1, l.fall., che fa divieto ai creditori di iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore dalla data della presentazione del ricorso per l’ammissione al concordato fino al passaggio in giudicato della sentenza di omologazione, perché appartiene alla categoria delle iniziative volte a conseguire il soddisfacimento coattivo del credito.
Disposizioni applicate: cod. civ., art. 2466; r.d. 267/1942, art. 168
CASO
Il consiglio di amministrazione di una società a responsabilità limitata, avvalendosi della disposizione recata dall’art. 2466 c.c., procedeva alla cessione coattiva della partecipazione detenuta da un socio (il quale, a propria volta, possedeva la veste di società a responsabilità limitata) che non aveva eseguito integralmente il conferimento.
La vendita, peraltro, avveniva dopo che la società inadempiente era stata ammessa alla procedura di concordato preventivo, sicché, una volta dichiarato il suo fallimento, il curatore agiva affinché fosse dichiarata l’inefficacia della cessione, in quanto posta in essere in violazione del divieto stabilito dall’art. 168 l.fall.
Sia in primo che in secondo grado, l’azione proposta dalla curatela veniva dichiarata fondata e accolta, essendo stata ravvisata la natura esecutiva della vendita in danno del socio moroso prevista dall’art. 2466 c.c.
La pronuncia resa dalla Corte d’appello di Venezia veniva impugnata con ricorso per cassazione sia dalla società la cui quota era stata ceduta coattivamente, sia da quella che l’aveva acquistata: entrambe le ricorrenti sostenevano, infatti, che la disposizione di cui all’art. 2466 c.c., essendo diretta a tutelare l’integrità del capitale sociale, a garanzia del corretto funzionamento delle società a responsabilità limitata, costituisce norma imperativa e inderogabile, che, in quanto volta a proteggere interessi di rango prevalente rispetto al principio della par condicio creditorum, risulta applicabile pure in caso di sottoposizione del socio moroso a concordato preventivo. Inoltre, secondo le ricorrenti, dal momento che la vendita coattiva dev’essere considerata un rimedio avente carattere risolutorio (essendo finalizzata a realizzare, in via di autotutela contrattuale, lo scioglimento del rapporto sociale nei confronti del socio inadempiente, onde ottenere, da parte di altri soggetti, l’esecuzione del conferimento non liberato) e non un’azione esecutiva, non la si può fare rientrare nell’ambito di applicazione dell’art. 168 l.fall., il quale, costituendo norma eccezionale e di stretta interpretazione, non è suscettibile di applicazione analogica.
SOLUZIONE
[1] La Corte di cassazione ha respinto il ricorso, affermando la natura di azione esecutiva della vendita coattiva della quota del socio moroso contemplata dall’art. 2466 c.c. e confermando, quindi, la qualificazione e l’impostazione adottate dai giudici di merito.
QUESTIONI
[1] L’ordinanza che si annota affronta una questione di sicuro interesse, contribuendo a chiarire i rapporti – sempre delicati – che intercorrono tra azioni esecutive e procedure concorsuali.
Come noto, infatti, gli artt. 51 (con riguardo al fallimento) e 168 (con riferimento al concordato preventivo) l.fall. stabiliscono il divieto di avviare o proseguire azioni esecutive o cautelari individuali sul patrimonio del fallito o dell’imprenditore ammesso alla procedura di concordato preventivo a fare data, rispettivamente, dalla dichiarazione di fallimento e dalla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di concordato.
Tra le azioni esecutive alle quali fanno riferimento le disposizioni innanzi citate rientrano a pieno titolo, ovviamente, quelle espropriative disciplinate dagli artt. 491 e seguenti c.p.c., in quanto la ratio delle due norme risiede nella salvaguardia della par condicio creditorum, essendo entrambe volte a impedire che alcuni creditori possano soddisfare le loro pretese al di fuori della sede concorsuale, a discapito degli altri.
Secondo i giudici di legittimità, tuttavia, anche la vendita coattiva della quota del socio moroso disciplinata dall’art. 2466 c.c. rientra nel novero delle azioni esecutive contemplate dall’art. 168 l.fall., in quanto pur sempre diretta a conseguire in via coattiva il soddisfacimento del credito vantato dalla società, qualora non sia stato interamente eseguito il conferimento.
La pronuncia in commento si pone nel solco dell’orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale le azioni esecutive considerate dalla legge fallimentare non debbono necessariamente coincidere con quelle proprie del processo di esecuzione disciplinate dagli artt. 474 e seguenti c.p.c., rientrandovi ogni iniziativa del creditore volta a realizzare unilateralmente e al di fuori della sede concorsuale il contenuto dell’obbligazione del debitore concordatario, ivi compresi, dunque, quei particolari procedimenti che, adottando una classificazione proposta dalla dottrina, appartengono alla categoria dell’esecuzione privata o per autorità del creditore.
Si tratta, per esempio, dell’esecuzione coattiva per inadempimento del compratore (art. 1515 c.c.) o del venditore (art. 1516 c.c.), della vendita coattiva delle cose che il creditore è legittimato a ritenere per effetto del privilegio che trova causa in prestazioni e spese di conservazione e miglioramento (art. 2756 c.c., che viene richiamato anche dall’art. 2761 c.c. con riguardo ai crediti del vettore, del mandatario, del depositario e del sequestratario), nonché della vendita della cosa data in pegno (artt. 2796 e 2797 c.c.).
Anche la fattispecie da ultimo menzionata, in particolare, rappresenta uno dei casi nei quali il legislatore ha espressamente previsto la possibilità per il creditore di soddisfarsi coattivamente, su sua semplice iniziativa e senza la cooperazione del debitore, attivando un procedimento che, pur non avendo natura giurisdizionale, è nondimeno circondato da cautele volte a impedire che possa tradursi in un abuso ai danni del debitore, mediante una regolazione puntuale e dettagliata sia delle modalità con le quali deve procedersi, sia del prezzo di vendita.
D’altra parte, considerato che l’art. 168 l.fall. ha lo scopo di assicurare l’integrità del patrimonio del debitore e il rispetto della par condicio creditorum anche in vista del possibile sbocco nel fallimento, nel caso in cui il concordato non giungesse a buon fine, tale finalità risulterebbe inevitabilmente frustrata se si consentisse a ciascun creditore di porre in essere una qualsiasi iniziativa diretta a realizzare unilateralmente e coattivamente il proprio credito.
In quest’ottica, pertanto, anche la vendita coattiva della quota del socio moroso di società a responsabilità limitata (così come la vendita delle azioni del socio moroso di società per azioni di cui all’art. 2344 c.c.) va considerata, per gli effetti previsti dall’art. 168 l.fall., azione esecutiva individuale.
In virtù di quanto stabilito dall’art. 2466 c.c., infatti, qualora gli amministratori della società creditrice per i conferimenti sottoscritti e non ancora integralmente liberati non ritengano utile promuovere nei confronti del socio moroso l’azione per l’esecuzione di quanto ancora dovuto, possono vendere coattivamente la sua quota agli altri soci in proporzione alle loro partecipazioni e procedere, in mancanza di offerte per l’acquisto, alla vendita della quota all’incanto.
Per i giudici di legittimità, non si tratta, in primo luogo, di un rimedio avente natura risolutoria (che, cioè, consente alla società di accertare, in via di autotutela, l’inadempimento del socio e di giungere allo scioglimento del rapporto sociale, quale sanzione per il suo inadempimento), visto che non sempre la mancata esecuzione dei conferimenti determina l’esclusione del socio moroso: nell’ordinanza, viene riportato l’esempio dei versamenti dovuti a titolo di conferimento per la sottoscrizione dell’aumento del capitale sociale deliberato dall’assemblea nel corso della vita della società da parte del socio che, essendo in regola con i conferimenti precedentemente sottoscritti ed eseguiti, non può essere privato della partecipazione sociale detenuta prima del deliberato aumento di capitale, posto che, in simile evenienza, la regola dettata dall’art. 2466 c.c. può trovare applicazione per la sola quota di partecipazione derivante dall’aumento medesimo, salvo solo che lo statuto non disponga l’indivisibilità della quota (così, di recente, Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 2020, n. 1185).
In secondo luogo, anche qualora l’inadempimento riguardi il pagamento delle quote originariamente sottoscritte in sede di costituzione della società, all’effetto risolutorio si accompagna – contestualmente – quello esecutivo, essendo il procedimento disciplinato dall’art. 2466 c.c. finalizzato a ottenere l’immediato soddisfacimento coattivo del credito della società, visto che, in caso di mancanza di offerte di acquisto da parte degli altri soci, è prevista l’immediata vendita all’incanto della quota del socio moroso, senza che la società debba preventivamente procurarsi un titolo esecutivo.
In terzo luogo, poiché lo scopo sotteso alla norma dettata dall’art. 168 l.fall. è la protezione del patrimonio del debitore da aggressioni di singoli creditori che possano ostacolare il tentativo di composizione della crisi e la realizzazione della par condicio creditorum, evitando la concorrenza tra le azioni esecutive individuali dei singoli creditori e quella collettiva, non può nemmeno condividersi l’assunto in base al quale la disposizione recata dall’art. 2466 c.c., ispirata alla tutela dell’integrità e dell’effettività del capitale sociale, dovrebbe prevalere su quella dettata in ambito concordatario.
Convince di ciò, del resto, l’osservazione secondo cui l’art. 168 l.fall. non ammette deroghe al divieto di azioni esecutive individuali, a differenza di quanto previsto dall’art. 51 l.fall., che, in proposito, fa salvo quanto diversamente stabilito da altre disposizioni di legge e, quindi, consente di realizzare individualmente, in pendenza del fallimento, i crediti garantiti da pegno o assistiti da privilegio a norma degli artt. 2756 e 2761 c.c. (giusta quanto disposto dall’art. 53 l.fall.), né vieta le azioni esecutive previste da norme speciali (come quella dettata dall’art. 41 d.lgs. 385/1993 in materia di crediti fondiari).
Un tanto evidenzia l’incondizionata prevalenza che l’ordinamento accorda alla tutela dell’interesse della massa dei creditori concordatari, che, pertanto, non può soccombere al cospetto di quello – pure meritevole di tutela, ma recessivo – della società all’integrità del capitale sociale.
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