14 Gennaio 2025

La valutazione della validità, ai sensi dell’art. 2265 c.c., di una clausola di indennizzo contenuta in un accordo di permuta di azioni deve essere condotta anche alla luce del complessivo assetto di interessi sottostante all’operazione posta in essere dalle parti

di Ilaria Tironi, Dottoressa in legge Scarica in PDF

Cass. civ., Sez. I, Ord., 22/10/2024, n. 27283

Parole chiave: permuta azionaria – clausola di indennizzo – opzione put – patto leonino

Massima: “Non è possibile affermare la nullità ai sensi dell’art. 2265 c.c. della clausola che, nell’ambito di una permuta di azioni, obblighi una parte al pagamento di un indennizzo a favore delle altre nel caso in cui le azioni acquistate da queste ultime al prezzo di 1,00 Euro, una volta immesse sul mercato, abbiano un valore inferiore al prezzo pagato, qualora tale clausola non risulti idonea a determinare un’alterazione totale e costante del ruolo del socio, la quale deve essere valutata anche in relazione al complessivo assetto d’interessi sottostante all’operazione posta in essere dalle parti”

Disposizioni applicate: artt. 2265 e 2431-bis c.c.

CASO

La vicenda in questione riguarda la validità di una clausola contenuta in un contratto di permuta azionaria, in forza della quale una delle parti si era obbligata al pagamento di un indennizzo a favore delle altre qualora le azioni permutate, al momento della loro immissione nel mercato, avessero avuto un valore inferiore all’importo pagato al momento dell’acquisto delle stesse, avvenuto al prezzo di 1,00 Euro per azione.

Al verificarsi delle condizioni sopra descritte, la società obbligata al pagamento dell’indennizzo propone domanda di accertamento della nullità della clausola davanti al Tribunale di Roma, sostenendo che la stessa, prevedendo per le società acquirenti la possibilità di controbilanciare, tramite il diritto all’indennizzo, le perdite derivanti da un eventuale diminuzione del prezzo di mercato delle azioni acquistate, integri un’ipotesi di cd. “patto leonino”, sanzionato dall’art. 2265 c.c., secondo il quale “è nullo il patto con il quale uno o più soci sono esclusi da ogni partecipazione agli utili o alle perdite”.

Dopo aver visto la propria domanda respinta sia dal Tribunale sia, successivamente, dalla Corte d’Appello, la quale ha identificato la clausola in questione come un’opzione “put” non contrastante con l’art. 2265 c.c., la società propone ricorso per Cassazione.

La Corte di Cassazione, aderendo all’inquadramento effettuato dalla Corte d’Appello, identifica la clausola in questione come opzione “put”, in quanto trattasi di un accordo che prevede la possibilità, a favore di un socio, di vedersi remunerato il valore della propria partecipazione ad un prezzo fissato. Viene poi specificato che, secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, tale accordo deve essere considerato meritevole di tutela, in quanto integrante un patto parasociale rispondente alla finalità, prevista dall’ art. 2341-bis c.c., di stabilizzazione dell’assetto di una partecipazione nel capitale della società (cfr. Cass. Sez. 1, ord. n. 27227 del 2021 e n. 17498 del 2018).

Tale accordo, secondo la giurisprudenza della Corte in tema di patto leonino, non può essere considerato nullo, in quanto non rispondente ai requisiti delineati dalla stessa Corte in tema di violazione dell’art. 2265 c.c., i quali vengono espressi nella ordinanza n. 25594 del 2023, richiamata dalla pronuncia in commento.  Secondo  l’orientamento ivi descritto, per aversi un’esclusione dalle perdite tale da comportare la nullità dell’accordo, quest’ultimo deve produrre un’alterazione del ruolo del socio tale da essere “totale (a), in quanto deve avere come effetto un’alterazione completa della causa societatis, che per effetto di esso subisca una completa modificazione dell’assetto, sì da porsi con essa in totale contrasto (in tal modo dovendo interpretarsi la locuzione normativa laddove menziona l’esclusione del socio “da ogni” partecipazione agli utili o alle perdite); costante (b), perché l’effetto di totale alterazione deve risultare tendenzialmente irreversibile per effetto della pattuizione vietata e non risolversi in un’alterazione transeunte dei diritti patrimoniali del socio”.

Nel caso di specie, viene evidenziato come la mancanza dei caratteri della totalità e della costanza dell’esclusione dalle perdite dei soci a favore dei quali era stato previsto l’indennizzo sia esclusa dal fatto che l’operatività della clausola fosse subordinata al possesso delle azioni, da parte degli acquirenti, per un periodo di tre anni, costituendo quindi solo una garanzia eventuale.

Inoltre, a sostegno della validità del patto di indennizzo oggetto del ricorso, la Cassazione precisa che la validità dello stesso non va valutata unicamente considerando isolatamente e in astratto l’operatività dell’opzione “put, ma anche considerandone il nesso funzionale rispetto all’assetto di interessi complessivo che le parti hanno voluto realizzare con la permuta azionaria. In questo caso, si sottolinea che la previsione di un obbligo di indennizzo a carico di una delle parti si giustificasse in quanto avente carattere sinallagmatico rispetto all’acquisto, da parte del soggetto obbligato, della titolarità delle azioni cedute dalle controparti.

Sulla base di queste motivazioni, la Corte di Cassazione respinge il ricorso.

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