26 Marzo 2024

La tassabilità delle liberalità c.d. informali

di Matteo Ramponi, Avvocato Scarica in PDF

MPOSTA SULLE SUCCESSIONI E DONAZIONI – ALIQUOTE – Art. 56-bis, comma 1, del d.lgs. n. 346 del 1990 – Liberalità atipiche – Sottoposizione a imposta – Condizioni – Fattispecie.

Massima:  “Le liberalità diverse dalle donazioni sono accertate e sottoposte ad imposta (con l’aliquota dell’8%) – pur essendo esenti dall’obbligo della registrazione – in presenza di una dichiarazione circa la loro esistenza, resa dall’interessato nell’ambito di procedimenti diretti all’accertamento di tributi, se sono di valore superiore alle franchigie oggi esistenti*”.

* Massima redazionale

 Disposizioni applicate

Artt. 762, 782 e 809 cod. civ; art. 56-bis, comma 1, D.Lgs. n. 346/1990

[1] A seguito di istanza presentata da Tizio per la procedura di collaborazione volontaria (voluntary disclosure) ex art. 1, commi 1 e 2, della legge 15 dicembre 2014, n. 186, emergeva un trasferimento a favore della di lui nipote, Caia, di attività finanziarie (denaro e titoli) detenute su un conto corrente acceso presso una banca svizzera. A seguito di detta istanza, Caia si vedeva recapitare un avviso di liquidazione per omesso pagamento dell’imposta sulle donazioni. Impugnato l’avviso, la Commissione tributaria regionale della Lombardia qualificava in termini di liberalità indiretta detto trasferimento ed anche la Corte d’appello rigettava l’impugnazione di Caia sul presupposto che il trasferimento di attività finanziarie in questione, ancorché sprovvisto dei requisiti formali dell’atto pubblico, integrasse una «liberalità» (senza ulteriore specificazione sulla relativa natura) e fosse soggetto ad imposta sulle donazioni.

Caia proponeva, dunque, ricorso in Cassazione fondandolo su diversi motivi, dei quali, nella presente sede, è il primo a venire in evidenza.

Con tale motivo, la ricorrente denunciava l’errore dei giudici di merito laddove avevano ritenuto che la liberalità avente ad oggetto strumenti finanziari fosse valida anche in difetto di stipulazione in forma pubblica, là dove, essendo affetta da nullità, essa non poteva costituire il presupposto di un’obbligazione tributaria.

[2] La Suprema Corte ha ritenuto tale motivo infondato.

Nel proprio percorso argomentativo, gli Ermellini richiamano in primis un recente pronunciato a Sezioni Unite in cui si è statuito che il trasferimento, attraverso un ordine di bancogiro, di strumenti finanziari dal conto deposito titoli del beneficiante a quello del beneficiario non rientra tra le donazioni indirette, ma configura una donazione tipica ad esecuzione indiretta, soggetta alla forma dell’atto pubblico, salvo che sia di modico valore. Infatti, l’operazione bancaria tra il donante ed il donatario costituisce mero adempimento di un distinto accordo negoziale fra loro concluso e ad essa rimasto esterno, il quale solo realizza il passaggio immediato di valori da un patrimonio all’altro, e tale circostanza esclude la configurabilità di un contratto in favore di terzo, considerato che il patrimonio della banca rappresenta una “zona di transito” tra l’ordinante ed il destinatario, non direttamente coinvolta nel processo attributivo, e che il beneficiario non acquista alcun diritto verso l’istituto di credito in seguito al contratto intercorso fra quest’ultimo e l’ordinante. Da tali considerazioni si è giunti a ritenere tali disposizioni nulle per mancanza di forma.[1]

Pur prendendo atto di tale principio, la Suprema Corte, nella sentenza in commento, ritiene doversi diversamente ragionare sotto il profilo fiscale: l’ordine di bonifico assume natura di delegazione di pagamento, in forza del rapporto esistente tra banca e ordinante – che vede la banca obbligarsi ad eseguire sin dall’origine del rapporto i futuri ordini del correntista – ed al quale il beneficiario della disposizione rimane del tutto estraneo. “Attraverso l’atto di delegazione si realizza il fine di liberalità, producendo l’effetto, eccedente rispetto al mezzo, di una attribuzione gratuita”.[2]

Ricordando, poi, come – con l’introduzione dell’art. 56-bis del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346 –  il legislatore abbia “previsto una disciplina per le «liberalità diverse dalle donazioni», ampio genus nel quale rientrano, e rilevano ai fini impositivi considerati dalla norma, liberalità che neppure si traducono in contratti scritti, trattandosi di meri comportamenti materiali, oppure che risultano da documenti scritti per i quali non è imposta la formalità della registrazione”, la Suprema Corte giunge ad affermare che “l’inosservanza della forma pubblica richiesta dall’art. 782 cod. civ. e la relativa sanzione della nullità, se rilevano sul piano civilistico, a tutela del donante, nessuna conseguenza producono sul piano tributario, in ragione del principio generale affermato dall’art. 53 Cost.”.

Per i giudici di legittimità, il piano tributario va tenuto ben distinto da quello civilistico. È, dunque, possibile rinvenire accanto alle donazioni formali ed a quelle indirette, tutta una serie di elargizioni liberali che si caratterizzano per la mancanza di qualsivoglia atto scritto da registrare. In proposito, a giudizio degli Ermellini, “si deve prendere le mosse dalle seguenti premesse:

a) il rilievo che «(g)li atti di donazione sono soggetti a registrazione secondo le disposizioni del testo unico sull’imposta di registro» (articolo 55, comma 1, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131;

b) il rilievo che l’art. 1, comma 4-bis, del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, dispone la non applicazione dell’imposta sulle donazioni in talune fattispecie, dopo aver, però, esordito sancendo che resta «(f)erma (…) l’applicazione dell’imposta [sulle donazioni] anche alle liberalità indirette risultanti da atti soggetti a registrazione».

Da questi dati normativi parrebbe doversi desumere che, in tanto la donazione indiretta sarebbe rilevante ai fini dell’imposta sulle donazioni, in quanto essa sia «risultant(e)» (anche per effetto di enunciazione, ai sensi dell’art. 22 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131) «da atti soggetti alla registrazione» (e, come è noto, per esserci obbligo di registrazione, deve esserci, anzitutto, di regola, la formazione «per iscritto» «nel territorio dello Stato» dell’atto da sottoporre a tassazione: art. 2, lett. a), del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131); pertanto, ad esempio, le donazioni informali (non stipulate «per iscritto», né enunciate in un« atto scritto») non sarebbero un possibile oggetto di tassazione. In altre parole, quando non si sia in presenza di «atti soggetti alla registrazione», non si avrebbe una fattispecie rilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta sulle donazioni, a meno che (ai sensi dell’art. 56-bis del d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346):

a) si faccia luogo alla registrazione “volontaria” della donazione indiretta non «risultant(e)» «da atti soggetti alla registrazione»;

b) la donazione indiretta non «da atti soggetti alla registrazione» sia “confessata” dal contribuente nell’ambito di una procedura di accertamento tributario”.

[3] Le liberalità realizzate attraverso disposizioni bancarie quali il bonifico od il giroconto, pertanto, non sarebbero soggette ad alcun obbligo di registrazione, salvo quanto poc’anzi precisato.

Se è innegabile che quella appena riportata sia la posizione assolutamente dominante nella giurisprudenza della sezione tributaria della Suprema Corte, a giudizio dello scrivente, di tale impostazione viene data una lettura troppo entusiastica e, forse, semplicistica. Per rendersi conto di ciò, basta inserire in qualsiasi motore di ricerca gli estremi della sentenza in commento e vedere come i risultati riportino, per lo più, affermazioni del tipo “i bonifici tra genitori e figli non sono tassati”, “niente tasse sulle donazioni informali tra genitori e figli”…

A ben vedere, una simile conclusione non è del tutto corretta. Non si può dimenticare come, dal punto di vista civilistico, rimanga preminente il principio espresso dalle Sezioni Unite che commina la sanzione della nullità alle ipotesi di trasferimenti attuati a mezzo bonifico bancario di somme di denaro non di modico valore. La pronuncia del 2017, infatti, non condivide la ricostruzione (operata dalla sentenza epigrafata) delle disposizioni bancarie in termini di delegazione di pagamento (negozio indiretto che realizzerebbe una liberalità valida anche sotto il profilo formale).[3]

Se, dunque, è vero che la Sezione tributaria della Suprema Corte ha ritenuto non tassabili (se non in ipotesi di autodenuncia o di accertamento) le c.d. donazioni informali di denaro, è altrettanto vero che tali liberalità sono considerate civilisticamente nulle dalle Sezioni Unite del medesimo organo.

Il professionista dovrà tenere debitamente conto di tale aspetto, poiché se è comprensibile che il cliente si senta autorizzato (leggendo su Google) ad ipotizzare un vantaggio fiscale e di spesa provvedendo ad un bonifico a favore del figlio, anziché recarsi dal notaio per stipulare un atto formale di donazione, il consulente non può non illustrare a costui le ulteriori conseguenze di una simile operazione.

Prescindendo per un secondo dalle ricostruzioni giuridiche effettuate dalla Cassazione nei diversi pronunciati richiamati, può evidenziarsi come sia del tutto logico che, se non si dichiara all’Agenzia delle Entrate una liberalità compiuta senza la sottoscrizione di alcun atto, non vi sia possibilità di registrazione immediata: manca un atto da registrare[4]. Non si tratta di aver stipulato un atto non soggetto a tassazione, ma di aver puntato ad ottenere un risultato per il quale la legge prevede una forma solenne (atto notarile con assistenza irrinunciabile dei testimoni), senza rispettare tale prescrizione! Ed il risparmio, poi, potrebbe anche essere solo apparente. L’assenza di tassazione, come detto, discende dal fatto che l’Agenzia delle Entrate non venga a conoscenza della liberalità: una volta emersa, invece, l’aliquota sarà quella massima dell’8% (anziché il 4% previsto nei trasferimenti tra parenti in linea retta). Inoltre, l’atto potrà essere impugnato con l’azione di nullità e, dunque, al danno unirsi la beffa…

[1] Cass. Civ. Sez. Un., Sentenza n. 18725 del 27/07/2017. Si vedano, altresì: Cass. Civ., Sez. 2, Ordinanza n. 982 del 10/01/2024; Cass. Civ., Sez. 2, Ordinanza n. 31272 del 24/10/2022Cass. Civ., Sez. 2, Ordinanza n. 23127 del 19/08/2021.

[2] In questo senso, oltre alla sentenza in commento, si vedano: Cass. Civ., Sez. 5, Sentenza n. 9780 del 12/04/2023; Cass. Civ., Cass. Civ., Sez. 5, Sentenza n. 5802 del 24/02/2023; Cass. Civ., Sez. 5, Ordinanza n. 735 del 12/01/2022.

[3] Riguardo alle donazioni indirette, è opportuno richiamare Cass.Civ., Sez. 5, Ordinanza n. 17424 del 16/06/2023: “In tema di liberalità indirette, l’art. 1, comma 4-bis, del d.lgs. n. 346 del 1990, prevedendo un’ipotesi di esclusione dall’imposta sulle successioni e donazioni, allo scopo di evitare una duplicazione del prelievo tributario su fattispecie che, seppur composte da negozi distinti, siano manifestazione di un’unica capacità contributiva, non richiede che il contribuente indichi, nell’atto pubblico di compravendita, di volersene avvalere, essendo sufficiente la prova dell’oggettivo collegamento tra la liberalità ed il trasferimento di diritti immobiliari o di aziende, assoggettabile ad imposta proporzionale di registro o ad IVA”. Contra, Cass. Civ., Sez. 5, Sentenza n. 13133 del 24/06/2016 ove, nella parte motiva, si sostiene la necessità che il collegamento tra liberalità indiretta ed atto soggetto a registrazione debba essere esplicitato in tale atto.

[4] È la stessa Corte di Cassazione a ricordare, nella pronuncia in commento, che “una delle regole-base dell’imposta di registro è che la soggezione a registrazione consegue alla formazione di un atto «per iscritto nel territorio dello Stato»; art. 2, lett., a), del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131.

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