3 Aprile 2024

La Suprema Corte conferma i principi ormai consolidati in materia di prova della cessione del credito a carico del cessionario

di Emanuela Ruffo, Avvocato Scarica in PDF

Cass. civ. Sez. Prima Ord., 29/02/2024, n. 5478, Pres. De Chiara, Est. Campese

Cessioni in blocco – Prova – Mera notificazione

[1] Ai fini della prova della cessione di un credito, benché non sia di regola necessaria la prova scritta, di certo non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 cod. civ., quanto meno nel caso in cui, sul punto, il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione, trattandosi, in sostanza, di una mera dichiarazione della parte interessata.

Disposizioni applicate

art. 1264 c.c.

CASO

Una società subiva dalla banca un decreto ingiuntivo per ricevute bancarie insolute. Proposta tempestiva opposizione incentrata sulla mancanza di prova del credito e della legittimazione del creditore, questa fu rigettata dal giudice di primo grado. Anche in secondo grado la domanda della società debitrice venne respinta.

La sentenza della Corte d’Appello venne quindi impugnata avanti la Corte di Cassazione.

SOLUZIONE

La Corte di Cassazione con la presente ordinanza ha affermato che, ai fini della prova della cessione di un credito, benché non sia di regola necessaria la prova scritta, di certo non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 cod. civ., quanto meno nel caso in cui, sul punto, il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione, trattandosi, in sostanza, di una mera dichiarazione della parte interessata.

QUESTIONI

La giurisprudenza di legittimità con l’ordinanza in commento ha confermato un orientamento ormai consolidato che ha nel tempo affermato che l’avviso pubblicato in Gazzetta Ufficiale ex art.58 TUB non prova l’esistenza del contratto di cessione e che l’estratto ex art.50 TUB non esime la banca dal provare come si sia formato il proprio credito, laddove contestato.

Merita in questa sede soffermarsi sulla prima questione ovvero sulla prova della titolarità del credito da parte del cessionario dell’istituto di credito.

Il provvedimento in commento si sofferma in particolare sulla distinzione tra la legittimazione ad agire e la titolarità del diritto sostanziale oggetto del processo.

Secondo la Corte infatti la legittimazione ad agire manca tutte le volte in cui dalla stessa prospettazione della domanda emerga che il diritto vantato in giudizio non appartiene all’attore.

La titolarità del diritto sostanziale attiene, invece, al merito della causa, alla fondatezza della domanda. Ritiene in particolare la Corte che i due regimi giuridici sono, conseguentemente, diversi, essendo poi effettivamente il secondo quello che rileva in particolare.

Ciò è stato già affrontato dalla giurisprudenza di legittimità, in particolare la sentenza Cass., SU, n. 2915 del 2016, ha affermato che: “i) la titolarità della posizione soggettiva, attiva o passiva, vantata in giudizio è un elemento costitutivo della domanda ed attiene al merito della decisione, sicché spetta a chi la invochi allegarla e provarla, salvo il riconoscimento, o lo svolgimento di difese incompatibili con la negazione ad opera della controparte; ii) le contestazioni, da parte di quest’ultima, della titolarità del rapporto controverso dedotte dall’istante hanno natura di mere difese, proponibili in ogni fase del giudizio, senza che l’eventuale contumacia o tardiva costituzione assuma valore di non contestazione o alteri la ripartizione degli oneri probatori, ferme le eventuali preclusioni maturate per l’allegazione e la prova di fatti impeditivi, modificativi od estintivi della titolarità del diritto non rilevabili dagli atti; iii) la carenza di titolarità, attiva o passiva, del rapporto controverso è rilevabile di ufficio dal giudice se risultante dagli atti di causa” (si leggano inoltre Cass. n. 24050 del 2019, Cass. n. 1943 del 2011, Cass. n. 25344 del 2010, Cass. n. 15352 del 2010 Cass. n. 22244 del 2006 e Cass. n. 13685 del 2006).

Afferma in questa sede la Suprema Corte che ai fini della prova della cessione di un credito, benché non sia di regola necessaria la prova scritta, di certo non può ritenersi idonea, di per sé, la mera notificazione della stessa operata al debitore ceduto dal preteso cessionario ai sensi dell’art. 1264 cod. civ., quanto meno nel caso in cui, sul punto, il debitore ceduto stesso abbia sollevato una espressa e specifica contestazione, “trattandosi, in sostanza, di una mera dichiarazione della parte interessata”.

Pertanto, il soggetto che agisce o resiste in giudizio in qualità di successore, a titolo universale o particolare, di colui che era stato parte nel precedente grado o fase di giudizio, deve non soltanto allegare la propria legitimatio ad causam per essere subentrato nella medesima posizione del proprio dante causa, ma altresì fornire la prova – la cui mancanza, attenendo alla regolare instaurazione del contraddittorio nella fase della impugnazione, è rilevabile d’ufficio – delle circostanze costituenti i presupposti di legittimazione alla sua successione nel processo ex artt. 110 e 111 cod. proc. civ. (cfr. tra le più recenti, la già citata Cass. n. 24050 del 2019).

Non è quindi sufficiente a titolo probatorio la “notificazione” della cessione al debitore ceduto, necessaria ai fini dell’efficacia della cessione stessa nei confronti di quest’ultimo e dell’esclusione del carattere liberatorio dell’eventuale pagamento dal medesimo effettuato in favore del cedente, ma non anche prova dell’effettiva avvenuta stipulazione del contratto di cessione e, quindi, dell’effettivo trasferimento della titolarità di quel credito.

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